Festa del Cinema di Roma 2016. Una di Benedict Andrews. Lacerazioni dell’anima

Rooney Mara in UNA, di-Benedict Andrew

“Un paradiso illuminato dai bagliori dell’inferno, comunque un paradiso. Lei era mia. Luce della mia vita, fuoco dei miei lombi, mio peccato, mia anima.”
(Vladimir Nabokov, Lolita, 1955)

Una è una ragazza interrotta, arrabbiata e psicologicamente instabile.
Disprezza se stessa, la sua vita, il suo lavoro.
Ormai adulta, vive ancora come un adolescente a casa della madre.
Impossibile per lei stabilire una relazione sentimentale.
Frequenta locali notturni dove consuma alcol e sesso occasionale.
Ferita da un trauma del suo passato, non riesce a vivere una vita normale.
Sembra che per lei tutto sia rimasto fermo a quel giorno in cui Ray è sparito lasciandola sola in una squallida camera d’albergo.
Dopo solo il buio, l’angoscia, la vergogna, il danno e una terribile verità da accettare.
Quello che lei pensava fosse una storia d’amore in realtà era stato l’abuso di un adulto nei confronti di una bambina di tredici anni.

Sono passati molti anni ma Una continua ad essere ossessionata da Ray e quando riesce a sapere dove vive decide di incontrarlo per buttargli addosso tutto il suo dolore e avere una risposta alla domanda che ha continuato a porsi per tanto tempo “Perché mi hai lasciato?’”
Siamo nell’universo mentale di un amore malato.
Una viscerale e feroce resa dei conti.
Un impensabile confronto tra un pedofilo e la sua vittima ormai cresciuta.
Un incontro impossibile. A tratti insopportabile, difficile da sostenere per lo spettatore.
Controverso, quando getta quella luce distorta, l’idea che si tratti di una storia d’amore per quanto malsana possa essere.
Non accusa e non discolpa. Analizza quell’aspetto psicologico morboso che può crearsi tra vittima e aggressore.

Ray sostiene di non essere un pedofilo “Non sono come loro…” ma di essersi innamorato di Una nonostante si trattasse di una tredicenne; di sentirsi felice solo quando potevano passare del tempo insieme. In questa follia voleva seriamente portarla lontano dai suoi genitori; vivere da qualche parte con lei come Humbert con Lolita.
Getti stranianti di sfumature sentimentali.
Questa ambigua, per meglio dire intollerabile, prospettiva di poterlo raccontare e definire come ‘un amore’ può non farlo considerare un abuso su una minorenne?
L’inquietante interrogativo posto allo spettatore sembra proprio questo.
Ma anche se per un attimo si può vacillare nei meandri dei rapporti umani, Ray rimane colpevole di abuso e manipolazione, non si può ammettere l’uso della parola amore e una tredicenne non può essere consenziente.
Nel romanzo di Nabokov il professore Humbert Humber, alla fine del suo racconto, ammette di essere un maniaco che ha privato Dolores/Lolita della sua infanzia.
Ray, in modi diversi, ha distrutto la sua vita ma soprattutto ha reciso la giovane esistenza di Una che non sappiamo se riuscirà mai a trovare una luce per andare avanti.

Una ha fatto già un bel giro di kermesses cinematografiche.
Presentato in anteprima mondiale al Telluride Film Festival poi al Toronto International Film Festival e nel mese di Ottobre giunto al London Film Festival e al nostro Roma Film Festival.
Adattato per il grande schermo da David Harrower da una sua stessa famosa opera teatrale,  Blackbird, che Andrews ha diretto sul palco a Berlino.
Interpretata in Italia da Massimo Popolizio e Anna Della Rosa con la regia di Lluís Pasqual nel 2011 e precedentemente con la regia di  Peter Stein con protagonisti Claudia Gerini e Ennio Fantastichini.
Sempre in teatro, si può citare inoltre l’interpretazione di Michelle Williams e Jeff Daniels fino ad arrivare a questo esordio cinematografico di Benedict Andrews, già affermato regista teatrale che ha scelto l’eterea Rooney Mara e l’inquieto Ben Mendelsohn come interpreti di questo lacerante confronto.

Tutto si svolge in una giornata.
Quel tranquillo e anonimo sobborgo inglese in cui Una è rinchiusa come dentro una bolla di sapone.
La fabbrica, luogo di lavoro di Ray, dove si svolge il doloroso confronto tra vittima e carnefice percorrendo il grigio squallore di labirintici corridoi, una mensa piena di rifiuti, i bagni aziendali, gli uffici degli impiegati.
La lussuosa casa di Ray dove si apriranno e rimarranno sospesi nuovi allarmanti quesiti.
Il comatoso presente di Una viene invaso da continui flashback, improvvisi e lancinanti come dei cortocircuiti.
Andrews, pur dimostrando cura e sensibilità, non riesce ad aggiungere altro a questa versione cinematografica dell’opera di David Harrower. C’è la potenza dei dialoghi, la bravura degli interpreti però manca l’audacia di esplorare, elaborare la vicenda sfruttando sul serio il mezzo cinematografico.

 

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“L’arte è l’anima del mondo, evita che il mio inconscio s’ingravidi di deformi bestie nere.” Laureata in Scenografia e in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma ha lavorato in ambito teatrale collaborando con esponenti della scena sperimentale romana come Giuliano Vasilicò e l’Accademia degli Artefatti e, come fotografa di scena, per teatri off. Negli ultimi anni, accanto alla critica d’arte affianca la critica cinematografica. Ha scritto per Sentieri Selvaggi, CineCritica e attualmente per Schermaglie oltre che per art a part of cult(ure). Nel 2012 ha curato la rassegna cinematografica “FINIMONDI: Cataclismi emotivi,cosmici ed estetici nel cinema” presso la libreria Altroquando di Roma.

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