Festa del Cinema di Roma #10. Abracadabra di Pablo Berger: ipnosi e possessioni

Maribel Verdù, Antonio de la Torre nel film Abracadabra

Periferia di Madrid. Finale di Coppa del Re.
Ritratto di famiglia in un interno: Carmen casalinga disperata, Toñi adolescente in fissa per Madonna e Carlos zotico maschilista.

Carmen è l’infelice e rassegnata moglie di Carlos, un uomo di Neanderthal che ha come unica ragione di vita la fede calcistica. Una moglie, una figlia, un lavoro ma in cima alle priorità il Real Madrid.

In questa bieca realtà succede l’impossibile che va a sconvolgere la monotona vita di questa famiglia.
Durante un kitchissimo matrimonio, il borioso Carlos si sottopone ad una seduta di ipnosi tanto per sbeffeggiare Pepe, il cugino/mago dilettante di Carmen da sempre invaghito di lei.
Apparentemente lo spettacolino di Pepe è un totale fallimento ma inaspettatamente qualcosa di straordinario accade. S’imbuca una presenza paranormale.

Da qui iniziano le avventure di Carmen per capire cosa è successo a suo marito che improvvisamente si è trasformato nel Renato Pozzetto di Mani di fata, con slanci discotecari alla Tony Manero e risvolti omicidi alla Norman Bates. Comunque, tutto sommato, meglio così che la precedente versione del Carlos bifolco.

Una commedia surreale e grottesca che avanza con un ritmo veloce, fin troppo vorticoso, non caratterizzando al meglio dei personaggi che meriterebbero più respiro e introspezione, almeno per quanto riguarda i protagonisti.

Ci sono richiami al cinema di Almodovar e Alex De La Iglesia ma sono riferimenti che rimangono molto aleatori, perché non incastonati in qualcosa di veramente originale.
Qui non abbiamo la passionalità, il peso del dramma esistenziale almodovariano o quella sfrenata inventiva tra follia, ironia e violenza di De La Inglesia.

Pablo Berger pur avendo suscitato interesse con il precedente Blancanieves, candidato spagnolo nel 2013 alla corsa agli Oscar come Miglior Film Straniero, ancora deve dimostrare di che sostanza è fatto il suo cinema.
Non era facile, dopo l’acclamato Blancanieves, realizzare un film che riuscisse a non essere oscurato da un’ opera molto particolare che aveva entusiasmato pubblico e critica.

Abracadabra mantiene ancora quel pizzico di magia fiabesca, quel mondo sottosopra, che viene sottolineato dallo stesso titolo.

“Ho assistito al mio primo spettacolo di ipnotismo in un piccolo club, più o meno trent’anni fa. Ci ero capitato con un amico che, nonostante fosse scettico, si offrì come volontario. Con mia – ma soprattutto sua – sorpresa questo mio amico finì con l’essere ipnotizzato all’istante. Da quel momento in avanti ho sempre creduto al potere dell’ipnosi.” (Pablo Berger, note di regia)

Berger crea, ancora una volta, una favola che si mescola al reale. Abbandona il b/n di Blancanieves e si scatena con il colore e la musica miscelando Bach, GoblinSteve Miller Band fino alla versione spagnola del Ballo del Qua Qua.

Un film molto curato esteticamente che oltre a rifarsi a noti registi ispanici tira fuori citazioni da Taxi Driver e da La febbre del sabato sera, per non parlare della storia dell’ipnosi che ricorda La maledizione dello scorpione di giada di Woody Allen.
Un patchwork di generi che si susseguono freneticamente alternando commedia, dramma, horror, thriller, fantasy.

Molte le battute divertenti e c’è una simpatica carrellata di personaggi assurdi, con manie stravaganti, che riesce a calarci in un altrove estraneo alla realtà ma la sceneggiatura è inconsistente e tutto si consuma davanti agli occhi dello spettatore in maniera troppo frammentaria.
Potenzialmente poteva essere una commedia nera interessante ma il suo sviluppo è privo di mordente e di originalità, nonostante un finale a sorpresa che ripaga un minimo le aspettative deluse.

La casalinga disperata si trasformerà in ‘spietata’, prendendosi la sua rivincita.

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“L’arte è l’anima del mondo, evita che il mio inconscio s’ingravidi di deformi bestie nere.” Laureata in Scenografia e in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma ha lavorato in ambito teatrale collaborando con esponenti della scena sperimentale romana come Giuliano Vasilicò e l’Accademia degli Artefatti e, come fotografa di scena, per teatri off. Negli ultimi anni, accanto alla critica d’arte affianca la critica cinematografica. Ha scritto per Sentieri Selvaggi, CineCritica e attualmente per Schermaglie oltre che per art a part of cult(ure). Nel 2012 ha curato la rassegna cinematografica “FINIMONDI: Cataclismi emotivi,cosmici ed estetici nel cinema” presso la libreria Altroquando di Roma.

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