Only lovers left alive di Jim Jarmusch. Vampiri dalla morte all’amore

Tom Hiddleston e Tilda Swinton

“Amor ogni cosa vince”
Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, 1478-1518

Adam vive a Detroit segregato in una casa/bara stracolma di ricordi, oggetti e una collezione di strumenti a corda. Eve vive a Tangeri sepolta viva da caterve di preziosi libri antichi; unica compagnia che può concedersi oltre a quella del suo anziano maestro Marlowe, ovvero il reale autore di molte opere shakespeariane.
Adam ed Eve sono angeli caduti, scacciati da qualche sorta di paradiso.
Una coppia di vampiri radical chic/punk nostalgico fisicamente lontani ma uniti spiritualmente da un indissolubile amore.
Sopravvissuti che si aggirano in un luogo desertico, già immersi in un regno post-apocalittico.
Testimoni privilegiati del decadimento del mondo e dell’uomo contemporaneo. Spettatori di tutti i primordi e gli epiloghi che si sono susseguiti nella storia dell’umanità.

Non sono feroci succhiasangue. Si sfamano con sacche di purissimo sangue aquistate in laboratori ospedalieri. Una vera prelibatezza psichedelica.
Vivono pacificamente cercando di non farsi contaminare dalle brutture estetiche, fisiche e immorali per mantenere pura la loro sete di sapienza.
In questo presente, in cui la vitalità umana si sta spegnendo, chiamano gli uomini ‘zombie’ e preferiscono vivere ai margini della società nutrendosi di arte come ultimi estimatori e depositari del sapere umano.

Depressi e lamentosi (ma con stile), per l’imminente ondata dell’ennesimo buio medioevale , decidono di ricongiungersi carnalmente.
Preoccupa la tendenza suicida di Adam che si è fatto coniare una meravigliosa pallottola di legno per infliggersi la vera morte, stanco di assistere a cotanto insopportabile sfacelo culturale.
Eve possiede un’indole meno disfattista. Riesce a cogliere, nonostante tutto, la straordinarietà dell’esistenza e suggerisce di appagare lo spirito e il lento passare dell’eternità con tutto ciò che rimane di bello dimenticato dall’uomo: l’arte, la natura, l’amore.
Solo chi è in grado di amare rimane vivo. Chi riesce a mantenere acceso dentro di sé il fuoco della vera passione per un legame sentimentale, per ogni forma d’arte e il rispetto per il mondo che abita.

L’amore celebrato dai non-morti. Un inno alla capacità creativa dell’uomo purtroppo sempre minacciata da quella distruttiva. Ovviamente il film fornisce una mappatura di tutte le passioni di Jim Jarmusch in primis la musica regalandoci tappeti sonori pregiati e poi le chitarre vintage, le teorie scientifiche, la letteratura.
Orgoglio analogico con vinili e monitor a tubo catodico per l’anacronistico Adam contro un modernissimo iPhone per il gusto più minimale e contemporaneo di Eve.
Dopo il noir, il western, il road-movie, il gangster-movie Jarmusch prosegue la sua rielaborazione dei generi cinematografici con un horror/melò che diventa un pamphlet filosofico/visivo sullo stato di crisi della società odierna.
Dimenticatevi di tutte le problematiche ed iperattività vampiriche a cui il cinema e i serial tv dedicati ai non-morti ci avevano abiutati negli ultimi anni.
I vampiri esistenzialisti di Jarmusch filosofeggiano per tutto il giorno sulle disfatte umane, sugli scienziati incompresi, sulla purezza del suono di una parola, sulla illogica ubicazione di un funghetto come nefasto presagio di un ordine del creato ormai annientato.
“Hanno già cominciato la guerra per l’acqua?”

Spietate ma allo stesso tempo fragili creature che ricordano l’algida sensualità di David Bowie e Catherine Deneuve in Miriam si sveglia a mezzanotte di Tony Scott.
Un ritorno al vampirismo ascetico, metafora di altri mali della società come in The Addiction di Abel Ferrara.
Only lovers left alive è un oggetto filmico bello e sofistico col suo esasperato estetismo dai dorati riflessi bizantini. La flemmatica camera fissa di Jarmusch si sofferma senza fretta su ogni pieno e vuoto. Le inquadrature dall’alto immortalano i due protagonisti come se si trovassero all’interno di una magnifica scatola lynchiana e il regista fosse il loro perverso carceriere.
Detroit come emblema di una produzione industriale marcita.
L’esotica aura decadente di Tangeri, dove ancora rifugiarsi, in cui sognava la Beat Generation. Ambita destinazione di molti letterati da Tennessee Williams a Truman Capote e dei rockers degli anni Sessanta.
Compaiono tristemente i templi della cultura ormai in rovina. Il diroccato Michigan Theater che da sala per concerti e cinema da 4000 posti si è trasformato in un posteggio per auto.

Adam ed Eve come divi sfatti e consumati legati al filo rosso del degradamento con le frivole starlets di The Canyons anch’esse sul baratro del vuoto esistenziale insieme alle disperate e spregevoli celebrità hollywoodiane dai nervi a pezzi in Maps to the Stars.
Il cinema alleva i suoi idoli e poi li distrugge. Atti d’accusa, ritratti dissacranti di una Hollywood mummificata, orrifica ormai in frantumi.
Ancora una riflessione sul sogno americano disilluso. Il declino dell’impero capitalista che paga il suo misfatto. Perché morire insieme a tutto questo?
Alla fine dopo tanta gentilezza e buoni propositi arriva ‘l’azzanno’ anche se non visto. Gli amanti sopravvivono dissanguando altri amanti in un’unica e ultima necessaria azione lasciata sospesa fuori campo ad iniziare un’altra storia possibile.
Excuse moi.. però di solo amore non si campa.

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“L’arte è l’anima del mondo, evita che il mio inconscio s’ingravidi di deformi bestie nere.” Laureata in Scenografia e in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma ha lavorato in ambito teatrale collaborando con esponenti della scena sperimentale romana come Giuliano Vasilicò e l’Accademia degli Artefatti e, come fotografa di scena, per teatri off. Negli ultimi anni, accanto alla critica d’arte affianca la critica cinematografica. Ha scritto per Sentieri Selvaggi, CineCritica e attualmente per Schermaglie oltre che per art a part of cult(ure). Nel 2012 ha curato la rassegna cinematografica “FINIMONDI: Cataclismi emotivi,cosmici ed estetici nel cinema” presso la libreria Altroquando di Roma.

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