The Hateful Eight di Quentin Tarantino. Amaro destino di un cacciatore di taglie

The Hateful Eight di Quentin Tarantino

Una lunga inquadratura sull’immagine desolante di un grande crocifisso che sta scomparendo sotto la neve, in un luogo assolutamente dimenticato da Dio.
Suggerisce solo una riflessione laica. L’emblema più famoso della crudeltà umana.
Un uomo torturato e inchiodato ad una croce finché morte non sopraggiunga.
Cosa ci può essere di più barbaro e orrendo? Preannuncia al pubblico il carnaio che presto avrà inizio in una completa assenza di perdono e pietà.

Sull’inquietante e improvviso incalzare della musica di Ennio Morricone compare dal nulla una diligenza che sfreccia nel paesaggio innevato del Wyoming con a bordo il noto cacciatore di taglie John Ruth detto il boia e la famigerata fuorilegge Daisy Domergue creatura rabbiosa e razzista destinata alla forca.
Sono trascorsi pochi anni dalla fine della Guerra Civile Americana.
Una Nazione ancora dilaniata e confusa sui concetti di moralità, giustizia e legalità.

In giro molti fuorilegge, disertori, sopravvissuti che non hanno nulla da perdere dopo essersi calati nell’abisso dei disastri della guerra. Si vive pensando di poter morire da un momento all’altro.
E’ in arrivo una tormenta e la diligenza, diretta a Red Rock, decide di sostare all’emporio di Minnie.
Il grosso del lavoro di John Ruth sembra concluso ma in realtà tutto è pronto a complicarsi terribilmente.
Gli uomini che incontrerà lungo il tragitto e quelli che troverà nel bungalow forse non sono quello che dicono di essere.

In un ristretto spazio si ritroveranno otto veri bastardi a confrontarsi con le conseguenze e i rancori della Guerra di Secessione, le questioni razziali, la legge della frontiera ma soprattutto con un carico d’odio sconsiderato che ognuno cova per motivi diversi.

“L’odio è un sentimento autolesionista. Ci toglie dignità e grandezza, è come una catena” (Ingrit Betancourt)

Odio nei confronti del prossimo perché nero, perché nordista o sudista, perché straniero, perché donna, perché pericolo a prescindere.
Basta molto poco per mettere mano alla fondina come una parola di troppo o una sciocca storiella inventata ad arte.
Una polveriera pronta ad esplodere con dentro yankee, schiavisti, neri, messicani, cacciatori di taglie, fuorilegge. Il candido manto nevato non impiegherà molto a tingersi di sangue.

Chi è veramente quello che dice di essere?
Nel gioco delle identità da scoprire arrivare alla verità costerà molte vite come in Dieci piccoli indiani di Agatha Christie.
Nessuno si salva, tutti sono veri autentici odiosi.
Tanto marciume, dialoghi sboccati, corpi maciullati che deflagrano, cattiveria, sadismo, menzogne.

Questa parabola dell’odio appartiene solo al passato?
Tarantino è cambiato ma non rinnega gli inizi. Torna alle sue folgoranti origini con un impianto teatrale che ricorda dichiaratamente il tutti contro tutti di Le iene anche se qui in The Hateful Eight i personaggi sono trattati con più distacco. Vengono raccontati con meno amore e non ci si preoccupa di farli conoscere meglio tramite flashback.
Abbandonati a se stessi dal loro autore, Quentin Tarantino, lo spettatore può unicamente affidarsi alle loro parole e ai fatti estemporanei.
Quella crudeltà che si sviluppava in un variopinto mondo criminale odierno adesso viene collocata in un preciso quadro storico: Il nazismo in Bastardi senza gloria, lo schiavismo in Django Unchained e il post-Guerra Civile Americana in The Hateful Eight.
Un Tarantino meno interessato a giocare con il cinema per il cinema, il citazionismo, la caricatura, il maniacale tecnicismo, il puro splatter.
Diventa più riflessivo, più indagatore sulle origini del male contemporaneo anche se il gusto per l’artificio supera l’autenticità della narrazione.
Quella rappresentazione funesta e grottesca della cattiveria dell’uomo e della sua avidità si apre verso un preciso contesto storico e tutto sembra diventare improvvisamente più greve, nonostante non rinunci al pulp.
Ovviamente ad essere presa di mira è proprio la sua Nazione carica di irresolutezze ed espiazioni da scontare, in cui l’odio razziale è ancora molto presente e all’ordine del giorno.

Recentemente il regista ha suscitato la disapprovazione dei poliziotti statunitensi dopo aver partecipato ad una manifestazione contro la loro politica di violenza e brutalità, soprattutto ai danni della popolazione afro-americana.
Inoltre proprio in questi giorni, in cui The Hateful Eight esce nelle sale di tutto il mondo, ad Hollywood è in corso la polemica #OscarSoWhite in riferimento alla mancanza di nomination di rilievo a personalità di colore dell’industry cinematografica americana ai prossimi Oscar 2016, che si terranno il 28 febbraio. Molte le performance ignorate tra cui quella di Will Smith per Concussion o proprio quella di Samuel L. Jackson per The Hateful Eight.
Django Unchained, più lirico e maestoso, accoglieva in un magnifico connubio sapori diversi. Il gioco surreale, l’ironia, le rielaborazioni tarantiniane dei classici western con la drammatica riflessione sulle reali atrocità dello schiavismo.

The Hateful Eight è un’opera da camera dove lo spettatore è l’invisibile numero nove invitato ad entrare nell’emporio di Minnie e starsene in prima fila a guardare l’inesorabile svolgersi degli eventi.
Questi ‘odiosi otto’ si fanno continue provocazioni, si insultano, s’inventano storie e vite inesistenti. Tutto è affidato al gioco verbale, mai stato così nichilista, che diventerà gioco di sangue.
Qui non c’è nessun eroe, tutti sono delle carogne, nessuno è senza macchia.
L’unica cosa che riporta ad una composta emozione provocando, per qualche momento, una sorta di magica amnistia è quella lettera di Abramo Lincoln  che scuote gli animi.

Dentro le quattro mura di quel rifugio Tarantino concentra tutto il suo ingegno, gli innesti citazionistici, i suoi famosi arzigogolati dialoghi, i soliti girotondi tra  cacciatori e prede che si annusano in attesa di sferrare l’attacco.
Sappiamo come venera il cinema, lo conosce, ne ha grande consapevolezza tecnica, ne è completamente ossessionato e fagocitato.
E’ un regista che ama molto di più essere spettatore. Quando guarda nella macchina da presa pensa di essere seduto in sala a godersi il film.
Si è esposto in prima linea nella battaglia tra pellicola e digitale.
Al New Beverly Cinema di Los Angeles, la sala cinematografica di sua proprietà, si proietta esclusivamente in celluloide e per questa sua ottava opera filmica ha preteso ed è riuscito a girare in 70mm, ottenendo inquadrature molto ampie e profonde rievocando la maestosità visiva di certi kolossal del passato.
Una costosa sciccheria controcorrente.

Peccato che non ne potranno godere in molti. In Italia si potrà vedere The Hateful Eight, proiettato in pellicola, esclusivamente in tre sale (Cinecittà a Roma, il Cinema Arcadia a Melzo e la Cineteca di Bologna) introdotto da un’ouverture e interrotto da un intervallo di dodici minuti in cui si potrà gustare un accompagnamento sonoro composto appositamente dal maestro Morricone.
Tarantino incarna lo star system o se ne può fregare perché è tra quei pochi che possono starci dentro e uscirne quando vogliono senza alcuna conseguenza.

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“L’arte è l’anima del mondo, evita che il mio inconscio s’ingravidi di deformi bestie nere.” Laureata in Scenografia e in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma ha lavorato in ambito teatrale collaborando con esponenti della scena sperimentale romana come Giuliano Vasilicò e l’Accademia degli Artefatti e, come fotografa di scena, per teatri off. Negli ultimi anni, accanto alla critica d’arte affianca la critica cinematografica. Ha scritto per Sentieri Selvaggi, CineCritica e attualmente per Schermaglie oltre che per art a part of cult(ure). Nel 2012 ha curato la rassegna cinematografica “FINIMONDI: Cataclismi emotivi,cosmici ed estetici nel cinema” presso la libreria Altroquando di Roma.

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