Rori Palazzo. L’intervista: focus-on Sicilia

Asseriva Freud:

“dobbiamo trattare i sogni tenendo conto delle sfumature, dobbiamo trattarli come un’opera d’arte; non in modo logico e razionale… ma con un certo ritegno e una certa delicatezza. È l’arte creativa della natura a creare il sogno, e quindi dobbiamo essere alla sua altezza quando tentiamo di interpretarlo”.

Un fenomeno il sogno che si muove tra il piano dell’immanente e quello del trascendente. La fotografia come linguaggio artistico per traslare in immagine visiva i meccanismi di un’esperienza vestita di suggestioni profonde e di visioni intime. Rori Palazzo, classe 1977, palermitana, evoca immagini interiori, visioni, in una riproduzione dettagliata, minuziosa, attenta. Il mondo dell’inconscio in un viaggio attraverso racconti altrui, mescolati a personali impressioni e avvolti in un nebuloso lirismo. I sogni degli altri prendono il tempo e lo spazio di Rori, fotografa-depositaria delle riflessioni più vere di ognuno di noi, in una sorta di altra realtà, che è viva esclusivamente in quello spazio, in quell’istante. Permeandolo di un linguaggio simbolico, come solo i sogni possono essere, per giungere ad una vera realtà.

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Odilon Redon sosteneva che “la vera dimensione dell’arte è il sogno, che permette all’artista l’esplorazione di un fantastico mondo interiore”. Come ti sei trovata a dialogare e successivamente a essere narratrice per immagini dei sogni altrui?

“Il sogno è l’espressione più autentica della realtà, quella dimensione in cui si manifesta tutto ciò che nella veglia viene filtrato dalla mente, dalle convenzioni sociali e dalla paura di dialogare con l’inconscio. Spesso capita che nel sogno gli eventi appaiono come realmente accaduti, secondo un effetto di realtà che è indipendente dalla maggiore o minore stranezza o incoerenza di quegli eventi.
Durante l’attività onirica si manifestano i desideri e le visioni che durante il giorno cerchiamo in tutti i modi di sfuggire. Per questo motivo mi interessano i sogni ricorrenti, che esprimono la parte più vera delle persone, che penetrano la sfera più intima. Ne viene fuori un ritratto, un percorso di indagine dell’anima che passa da un processo empatico tra me e la persona ritratta, che nel rivivere il proprio sogno riflette sul proprio inconscio e quindi su se stesso.
“In questo meraviglioso ci è concessa un’anticipazione di quella libertà totale che si pone nella prospettiva della fusione del sogno con la realtà o della realtà col sogno, fusione che restituirà agli uomini, finalmente, la loro integrità”. (Mario De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento)”.

I tuoi scatti sono in bianco e nero. Perché questa scelta? Nel tuo immaginario i sogni, appartenendo a un’altra dimensione, non hanno colore?

“Il bianco/nero non è una scelta legata esclusivamente alla rappresentazione di un mondo onirico e visionario, che vede nell’assenza di colore l’espressione di una dimensione surreale, ma è soprattutto una scelta legata al perseguimento della bellezza assoluta e della purezza dell’immagine, dei contrasti e dell’equilibrio compositivo tra luce e forma, tutti elementi che mi servono per dare forza ai contenuti.
Non escludo l’uso del colore, non si tratta di una scelta assoluta ma determinata, che può cambiare a seconda della contingenza.”

Cosa deve avere un sogno per decidere di raccontarlo?

“C’è un momento che segue il racconto del sogno in cui capisco se potrò o meno tradurlo in immagine. E’ come se istintivamente si cominciasse a materializzare nella mia mente, inizio a vederlo. Da qui inizia un processo di elaborazione dell’immagine, di studio della simbologia e dei riferimenti che costruiscono l’immagine e che arricchisce la visione.” 

Perché la fotografia? Quale rivelazione per te contiene in sé?

“Ho scelto istintivamente il linguaggio fotografico, e da sempre cammina parallelo alla mia vita, ne scandisce i tempi. La fotografia è lo strumento che mi permette di indagare il magico, la realtà dentro la realtà. Partendo da un dato reale e sensibile, dalla luce, vado alla ricerca delle sfere più intime e astratte dell’inconscio, per rappresentare visioni surreali, proiezioni mentali, sogni. Quello che amo della fotografia è la possibilità di bloccare un momento, di immortalare un gesto o uno sguardo che diventa racconto, memoria, diario. Per questo c’è sempre una storia dentro le mie fotografie.”

Se un giorno tutte le persone smettessero di sognare, cosa pensi inizieresti a indagare nei tuoi scatti?

“Se le persone smettessero di sognare cercherei un altro modo per attingere al loro inconscio, al di là dello specchio. Probabilmente cercherei di farli ritornare a sognare. Cercherei lo sguardo puro e disincantato che hanno perduto.”

Quale Cinema o Letteratura c’è (se c’è) dentro la tua ricerca?

“I rimandi sono tantissimi e differenti, c’è il cinema surrealista di Man Ray o di Buñuel, come il cinema visionario di Lars Von Trier o Inarritu. In letteratura ci sono i voli pindarici di Queneau, il realismo magico di Hoffmann, la letteratura visionaria di Calvino, Borges, Cortazar e gli altri scrittori latino-amricani. E poi c’è Alice nel paese delle meraviglie, o I Viaggi di Gulliver, c’è la mitologia greca e romana. Queste letture sono importantissime per il mio lavoro, capita spesso che una frase, o una parola, mi suggerisca con prepotenza un’immagine che cercavo da tempo.”

 Metti mai in scena i tuoi di sogni?

 “Metto in scena le mie visioni, la mia fantasia, la mia immaginazione. A volte sogno le immagini con cui rappresentare i sogni degli altri.”

Cosa ti piacerebbe vedere nel panorama artistico d’oggi che manca?

“La bellezza, ne vedo sempre meno. La grazia, la purezza e l’autenticità. Spesso il sovraffollamento di parole rivela la scarsa efficacia di un concetto. E poi la fantasia, mi sembra che manchino un po’ le idee, affogati come siamo in milioni di cliché visivi.
Questa però è una sensazione generale, nello specifico vedo tanta buona arte intorno a me, tra i miei amici ad esempio ci sono artisti raffinatissimi con cui amo confrontarmi e che mi arricchiscono ogni giorno con nuovi spunti di riflessione.”

 Esiste una responsabilità d’artista? E se si, in cosa consiste?

“L’arte è un linguaggio universale, e l’artista ha una responsabilità perché ha la possibilità di esporsi su un podio e comunicare, condividere. Molto dipende dalla volontà di ricezione del fruitore.
L’arte nella sua accezione più alta (e per arte intendo anche poesia, filosofia, letteratura, musica…) è protagonista della storia dell’umanità, e con la consapevolezza dell’atto della creazione può educare le masse alla condivisione, ai valori e alla capacità critica.”

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Laura Francesca Di Trapani è nata a Palermo dove vive. Storica dell'arte e curatrice indipendente, si è formata presso l'Università La Sapienza di Roma. E' critica d'arte contemporanea con un particolare interesse rivolto alle nuove generazioni di artisti (tra gli ultimi progetti di curatela vi sono la mostra personale di Fulvio Di Piazza a Palazzo Ziino a Palermo, la personale di William Marc Zanghi da BonelliLab a Canneto S.O, la bi-personale di Federico Lupo e Giovanni Blanco da Bt'f Gallery a Bologna, la curatela critica della ricerca fotografica di Stefania Romano al MIA-Milan-image art fair e la bi-personale fotografica di Alessandro Di Giugno e Francesco Paolo Catalano NORMALE). Si è interessata di mercato dell'arte per la rivista X-press edita dalla Deutsche Bank (Francoforte). Collabora con alcune riviste e redazioni di settore tra le quali Espoarte.

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