Cala il sipario su Altaroma

AltaRoma

Cala il sipario su Altaroma, la rassegna di alta moda capitolina ormai celebre per le proposte non convenzionali alle regole del settore. Un calendario, cinque giorni in tutto, che non guarda a quel che verrà nella primavera-estate 2015 con ammaliante predisposizione allo sfarzo nababbo e al lusso sfrenato, ma alla voglia di una contemporaneità ancora un po’ assiderata dai crolli di borsa e scottata dagli acuti di spread. La moda proposta a Roma, infatti, è più colta: lontana dai faraonici business dei colossi economici e dalla frenesia degli eventi che si accavallano nelle altre presentazioni-vetrina sparse per il mondo. All’ombra dell’austero cupolone, è tutto un simposio di inevitabili fusioni fra passato e futuro. Dice Alessio de Navasques, curatore di progetti per Altaroma:

«La città è stata letteralmente coinvolta in una moltitudine di attività collaterali che hanno stimolato con segnali di eccelsa innovazione. La moda a Roma fa esclusivamente leva sui talenti emergenti, mantenendo inalterata la vocazione di capitale europea dell’artigianalità».

Davanti agli sguardi famelici del parterre di stampa internazionale accorsa, a prova dell’interessante momento che il Paese sta vivendo, le piccole realtà – un po’ come avvenne nel dopoguerra quando facendo di necessità virtù si ricorreva all’estro per sopravvivere al dissesto – espongono, nel senso più autentico del termine, i loro manufatti.

Il neo-artigianato – dopo anni di infausti pregiudizi spesso mortificanti – viene così finalmente celebrato ed esposto proprio da Altaroma che a questa interessante ondata creativa dedica A.I. Artisanal Intelligence: un progetto che, prestando particolare attenzione alla promozione del made in Italy, favorisce strategiche comunicazioni per lo sviluppo economico e culturale delle varie competenze. Non solo moda, dunque, ma un vero e proprio fenomeno che caldeggia l’accesso delle idee nel perimetro dell’arte contemporanea. Una solida prerogativa di Altaroma, infatti, è quella di fortificare il legame tra gli abiti e le gallerie romane che hanno già messo a disposizione i loro spazi all’intuito sperimentale dei virgulti creativi, lontani anni luce dalle esasperate costruzioni d’immagine. Tra gli eventi di punta della settimana, la presentazione agli Horti Sallustiani – in un trionfo di radicalismo-chic degno dei migliori fasti della Roma veltroniana – del volume nato dall’amichevole frequentazione dell’attrice Isabella Ferrari con il poeta Aldo Nove. Isabella Ferrari – Forma/Luce (edito da Drago in collaborazione con Bulgari) non è una celebrazione del percorso professionale della sua protagonista ma un omaggio – attraverso gli scatti realizzati dal fotografo Max Cardarelli a Sabaudia – a una serie di donne dal forte potere narrativo come Emily Dickinson, Giovanna d’Arco, Aung San Suu Kyi a Leni Riefenstahl, evocate dalle poesie di Nove. Parte del ricavato contribuirà a sostenere Save the Children: l’organizzazione non governativa della quale Isabella Ferrari è stata ambasciatrice per l’Italia.

Così come l’arte, anche la moda può veicolare messaggi sociali? Pare proprio di sì, e a dimostrarlo è la collezione di Fabio Quaranta: lo stilista romano ha fatto sfilare in Santo Spirito in Sassia – bandendo eccessi e fronzoli – una moda unisex indossata da ragazze e ragazzi venuti dalla strada, tra i quali un diversamente abile. Nessuna spettacolarizzazione, soltanto un tentativo lanciato per sensibilizzare gli addetti ai lavori a ritrovare un contatto con la realtà e un ponte con le storie comuni. Il futuro di Altaroma?

conclude Alessio de Navasques:

«Crescere sempre di più e coinvolgere marchi importanti che sappiano sfruttare la potenzialità del calendario della settimana dell’alta moda romana». Distante da ogni stereotipo, Altaroma – voltandosi un po’ a ciò che è stato – guarda prima di tutto a quella “grande bellezza” che la Città Eterna ambisce a ritrovare.

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Preferisce perdere tempo a scrivere pezzi pop per non annoiarsi. Ama la bellezza e tutti i luoghi dove è possibile scovarla. Dice di sé: «Quando si parla di me non so mai che dire».

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