Profezia. L’Africa di Pasolini

Pier Paolo Pasolini

Quando Enrico Menduni, direttore artistico del documentario e professore della Facoltà di Sociologia della Sapienza da dove proviene chi scrive, introducendo la serata, ha avvertito che nel film non si sarebbero incontrati accenni pruriginosi agli aspetti più contestati del Pasolini uomo o particolari scabrosi sulla sua tragica e discussa morte, il pubblico non ha fatto una piega, perché chi ricerca appuntamenti culturali come quelli racchiusi nella cornice del Festival Ossigeno (tra il teatro Palladium ed il Centro Elsa Morante a Roma) e poi vi presenzia è un pubblico maturo che si rende conto della portata di certi messaggi e del peso specifico di certi personaggi.

Il Pasolini intellettuale proteiforme e sensibilmente avanti rispetto agli scenari italiani non può essere ridotto ad un capitolo di cronaca, per quanto epocale. E infatti il documentario di cui vi parliamo (proiettato il 29 settembre 2014 proprio al Centro Elsa Morante; ma potete vederlo in giro e ancora in altri festival) lancia un lunghissimo ponte tra l’esperienza lirica e critica di questo interprete straordinario del Novecento e la nostra attualità più urgente, quella che poi porta a sua volta a prefigurare ulteriori sviluppi, in un futuro ancora preoccupante pur in presenza di segni di speranza quali una maggior sensibilizzazione del pubblico più avvertito. Il film si intitola infatti Profezia – L’Africa di Pasolini proprio perché, così come nel 1968 il regista di origine bolognese concepiva il film “Teorema” per dimostrare come un assioma la verità soggiacente alla lettura che dell’amore nella società borghese facevano i giovani della controcultura, nel 1964 lo stesso autore componeva una poesia dal titolo appunto “Profezia” in cui prevedeva la massiccia immigrazione di quelli che oggi chiamiamo extracomunitari e che allora potevano rappresentare il sottoproletariato mondiale; e nei due titoli si rinviene facilmente la lucidità analitica, sociologica appunto, con cui Pasolini si dedicava ad indagare rapporti sociali e relazioni con la Storia stessa che avevano a che fare con dati antropologici profondi, si rintraccia quel razionalismo tipicamente occidentale che nell’autore di “Petrolio” trovava però un ideale contraltare in quel sentimento irrefrenabile di pietas per gli emarginati che lo ha sospinto lungo tutto il corso della sua ricerca.

Una ricerca che dal Friuli si sposta ben presto a Roma, che elegge a fulcro delle riflessioni; il documentario, che alterna sapientemente, a volte con autentiche sovrapposizioni, gli scorci dei quartieri più periferici di Roma come il Pigneto, a quegli stessi angoli rivisti oggi, a colori, più inurbati e quindi più animati e trafficati (le automobili sono dovunque) è puntuale nel partire da questi aggregati sociali, in cui le dinamiche umane più sconfortanti prendono forma eterna in “Accattone” di Pasolini, del 1961 (di cui ci viene mostrato un ridondante promo d’epoca, che insiste sulla novità e l’intelligenza dell’operazione culturale). In questi ambienti, flagellati dalla implacabile logica della sopravvivenza, Pasolini com’è noto riscontrava la “purezza” dell’inciviltà, l’origine delle specie, la potenza delle fasi aurorali della Storia. Il sottoproletariato romano è il protagonista assoluto del primo Pasolini, che dalla scrittura (romanzo, poesia) evolve verso il cinema, il mezzo che gli permette, quasi con un isomorfismo, di riproporre l’esperienza della vita, perché in grado di riprodurla senza infingimenti letterari di maniera. Dopo l’uscita de “Il Vangelo secondo Matteo”, Jean Paul Sartre fu l’unico intellettuale in Francia che difese dalle critiche della sinistra questo lavoro di Pasolini, tacciato di essere “un film fatto da un prete per i preti”. Ne seguì uno scambio di opinioni e di attestati di stima tra i due, che produsse tra l’altro questa lirica, “Profezia”, che probabilmente si origina anche dalla constatazione di come tutta la società francese avesse mal metabolizzato la guerra d’Algeria. Ne riportiamo un passo, che descrive trent’anni prima l’esodo degli africani sui barconi e la loro “conquista” dell’Italia:

“(…) Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
 a milioni, vestiti di stracci
 asiatici, e di camice americane.
 Subito i Calabresi diranno,
 come malandrini a malandrini:
 «Ecco i vecchi fratelli,
 coi figli e il pane e formaggio!» 
Da Crotone o Palmi saliranno 
a Napoli, e da lì a Barcellona,
 a Salonicco e a Marsiglia,
 nelle Città della Malavita (…)”.

Pasolini, dopo aver scritto di queste realtà nei suoi romanzi, con il suo primo film insegue la maschera di Accattone come portatore sano di una genuinità che, in un ripensamento delle concezioni marxiane, considera l’unica forza capace di contrapporsi alla fatuità della nascente società dei consumi e, più in generale, al dominio borghese sull’ordinamento sociale sia in Italia che in tutto l’Occidente. Tuttavia, esattamente come le previsioni di Marx, anche questa sembra infrangersi sulle muraglie erette dal materialismo capitalista, che negli anni ’60 assume i contorni desiderabili del boom economico: perfino le borgate romane sembrano contagiate dalle nuove ambizioni, il miraggio è quello di omologarsi al modello borghese. A quel punto Pasolini si rivolge ad un proletariato che sta ancora più sotto-, sia geograficamente che socio-economicamente, nella speranza di trovare in esso quel germe di speranza di rinnovamento che già aveva cercato inutilmente in Friuli e nelle borgate romane.
Ancora da “Profezia”:

“(…) scenderanno dall’alto del
cielo
per espropriare – e per insegnare ai compagni operai la gioia della vita
–
per insegnare ai borghesi
la gioia della libertà –
per insegnare ai cristiani
la gioia della morte
– distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica.
Poi col Papa e ogni sacramento
andranno come zingari
su verso l’Ovest e il Nord
con le bandiere rosse
di Trotzky al vento…”.

Di fatto, anche questa visione sarà destinata a scontrarsi con i contorni più problematici del previsto: l’Africa si rivela una polveriera, luogo immenso ed instabile in cui contraddizioni insanabili sfociano quasi sempre in maniera cruenta in scontri, regimi dittatoriali odiosi, eccidi sconcertanti. Pasolini era attratto dai residui tribali, ancora notevoli nell’Africa che lui conosceva, non ancora completamente deprivata delle sue tradizioni dall’era del colonialismo, ma il confronto proposto dal film con le coloratissime agitazioni attuali, le masse armate in lotta, le fluttuazioni delle etnìe, sottolinea come il passaggio del tempo abbia acuito le forme di protesta senza risolvere le problematiche di fondo, tra cui, primario, uno sviluppo perennemente atteso che tarda ad arrivare.
Anche “Mamma Roma” (Anna Magnani nel film omonimo) cerca un riscatto, eppure è sempre come se la eschilea condanna della colpa che ricade sui figli, inesorabilmente, affliggesse tutta una genìa, quella che vive ai margini della società, e a cui non è permesso di elevarsi.

Pasolini sentiva un’empatia profonda verso questa umanità lacerata, tanto da andarla a cercare nelle strade semiabbandonate della periferia della Capitale; cercava un contatto vero con i reietti, i sopravviventi a se stessi, con i Ragazzi di vita di cui aveva scritto pagine sentite ed ispirate. Il riferimento cristologico in alcuni momenti del percorso espressivo di Pasolini è più evidente, ma senz’altro la sua è un’interpretazione socialista della vicenda del Figlio di Dio: la portata rivoluzionaria del messaggio è stata sempre sottovalutata, sin da quando il mondo, non riconoscendo la natura del nuovo profeta, e della sua ribellione, perché anche di ribellione si tratta, ne ha deciso la crocefissione. L’accostamento a personaggi come il figlio di Mamma Roma, che si ribella al cambiamento della madre, delinque e finisce per morire in carcere, è indubbiamente azzardato, magari perfino provocatorio per taluni, ma riflette la sensibilità di Pasolini, che identifica la purezza che si accompagna alla miseria con una forma arcaica di sacralità, offesa da un contesto ostile che muove da premesse e logiche diverse.

Come dicevamo, l’alternanza nel film delle immagini b/n degli anni Sessanta e quelle dai colori violenti di oggi rimanda amplificata la persistenza dei nodi conflittuali e lo sconforto di una integrazione che sembra quasi impossibile. Quartieri come il Pigneto non riescono a trovare una definizione migliore di territori di confine in cui accanto a zone-dormitorio per migranti di varia provenienza convivono, senza mai amalgamarsi, locali di tendenza per borghesi che se pure hanno una certa cognizione dei fenomeni in gioco, tuttavia sono dominati dalla sfiducia e dalla diffidenza.
Un’altra materia di cui si alimenta il film sono i testi verbali o visivi, tratti da filmati d’epoca in cui Pasolini espone i suoi concetti fondamentali, estratti da sue poesie (lette magistralmente da Herlitzka e Maraini), e sequenze estratte dai già citati “Il Vangelo secondo Matteo”, “Accattone” e “Mamma Roma”, ma anche dall’“Edipo Re”, in cui l’estetica primitivista e spontaneista di Pasolini, ma anche i tipici rimandi alle figurazioni della pittura classica, e l’uso contrappuntistico della musica di Bach come commento sonoro catartico, emergono con illuminante fulgore. Va ricordata anche la citazione di “Comizi d’amore” in cui spicca l’illusione (antesignana delle ossessioni di oggi, scolpite su modelli accecanti) espressa da un soldato:

“In questa società se non sei un Don Giovanni sei un fallito”.

Il contrasto più stridente nel documentario è quello che propone, accanto alla miseria storica e alla sua traduzione artistica da parte di Pasolini, le manifestazioni più deteriori dello sviluppo, esemplificate attraverso il montaggio veloce di eterogenee fonti video televisive che oggi ci immergono, attraverso il televisore e lo schermo del computer, in rutilanti e ingannevoli promesse di lussi assortiti e sguaiate manifestazioni di vuotezza prive di una attendibile giustificazione. Ma già negli anni ’60 (prima della supremazia televisiva) – e questo è visibile nella scelta del materiale d’archivio dell’Istituto Luce, selezionato dai cinegiornali dell’epoca (La Settimana Incom, Orizzonte cinematografico, Cronache del mondo, Caleidoscopio Ciac, Cinemondo, Radar) – la programmazione cinematografica era accompagnata da questi notiziari di solito di stampo governativo, omologhi ai giornali di destra, e infarciti di quello che oggi chiamiamo gossip, comprese quelle presentazioni di eventi, premiazioni e serate di gala nel cui contesto generale si voleva confinare la figura emergente di Pasolini scrittore rendendolo inoffensivo.

A proposito delle offese, Enrico Menduni fa notare che con, più che ingenerosa, inqualificabile sintesi diffamatoria, si fece passare Pasolini come “il poeta e il regista delle parolacce” nonché frequentatore di personaggi di bassa condizione e poco raccomandabili, in ultima analisi incoraggiando subdolamente un inquadramento” dell’intellettuale come di un potenziale delinquente o, al minimo, favoreggiatore. Quando nel 1974 il regista fu insignito del Premio Anna Magnani a Roma per aver portato lo spirito delle borgate nel cinema, il tempo delle battute maligne sembrava finito, ma il riconoscimento non valse a tener lontano l’ultima offesa, quella insanabile e inumana. Ma anche questa era prefigurata, ed il documentario ce lo mostra, in quella scena dell’interrogatorio di polizia, in “Il gobbo” di Lizzani, in cui la crudezza del pestaggio di Pasolini attore nei panni di un pregiudicato è sconcertante.
Il film, così com’era cominciato, finisce con “Accattone”, scelta motivata non tanto dalla coincidenza dei luoghi e delle storie, come è stato sopra evidenziato, ma dal pensiero della morte che lo percorre, e che secondo molti critici sarebbe stato ben presente negli ultimi anni di vita del regista, e inscritto nel solco dell’ultima parte della sua filmografia, come se lui anche in questo caso presentisse un destino avverso a cui non sapesse sottrarsi. Questa è infatti l’altra profezia, quella ancora più dolente, che ci spinge ad osservare con partecipazione affettiva intensa anche gli spezzoni relativi alle partitelle di calcio di Pasolini “nel sole della Borgata Gordiani”, come ricorda Bernardo Bertolucci nella sua testimonianza. Lui che, al momento del famoso “cestino” della pausa pranzo durante le riprese, non mangiava quasi nulla ma giocava sempre mezz’ora con qualcuno della troupe. Si reggeva sui nervi e seguiva il vento dell’Utopia.

Il documentario, per la regia di Gianni Borgna e la supervisione artistica di Enrico Menduni, ha vinto il Premio Bisato d’oro alla 70° mostra del cinema di Venezia e il Gran Premio della Giuria 17° Terra di Siena Film Festival. L’Africa era “un concetto”, per P.P.P., che avrebbe voluto illustrare recandosi proprio lì, sotto “lo stupendo e immondo sole che illumina il mondo”, per realizzare gli Appunti per un poema sul Terzo Mondo, il film che il regista scrittore avrebbe voluto girare nel Continente Nero. Ora dinanzi alle immagini contemporanee dell’Egitto in piazza e alla conta dei morti, il documentario di Borgna può solo rendere conto del fatto che il disperato sguardo di “Alì dagli occhi azzurri” della poesia “Profezia” è ancora spalancato, affamato di quella verità che l’intellettuale italiano distribuiva in capitoli/episodi del suo film mai realizzato. Un occhio che contempla le colpe di un ambiguo mondo industrializzato che vorrebbe mantenere gli africani decolonizzati confinati nelle loro tragedie del mancato sviluppo. Tra le dune di Sabaudia, sferzato dal vento d’inverno, Pasolini chiosa se stesso: “Sono stato razionale e irrazionale, fino in fondo” e intanto scorrono sullo schermo alcune delle immagini che ci ha consegnato.

È auspicabile che tutti realizzino che è questa poesia, abrasa dall’insania del mondo, che governa quelle esistenze più o meno sommesse le quali cercano di rendere l’umanità un po’ più umana. E concludendo con un riferimento al tema dell’integrazione di tutte le periferie geografiche ed umane, sarebbe il caso ad ogni latitudine di abbandonare la follia di difenderci contro qualcosa o qualcuno, e di iniziare a lavorare per il bene dell’altro, chiunque esso sia. Si può convenire sul fatto che sia una opzione difficile. Ma è l’unica via.

Info

  • Profezia. L’Africa di Pasolini
  • Cast tecnico Soggetto : Gianni Borgna
  • Sceneggiatura: Gianni Borgna, Angelo Libertini
  • Supervisione artistica : Enrico Menduni
  • voce narrante : Dacia Maraini
  • voce di Pier Paolo Pasolini : Roberto Herlitzka
  • voce di Jean-Paul Sartre : Philippe Leroy
  • Montaggio : Carlo Balestrieri
  • Direttore della fotografia : Sergio Salvati
  • Musiche originali : Marco Valerio Antonini
  • Prodotto da Produzione Straordinaria s.r.l per CinecittàLuce s.p.a
  • Distribuzione: Istituto Luce-Cinecittà s.r.l
Website | + ARTICOLI

il7 - Marco Settembre, laureato cum laude in Sociologia ad indirizzo comunicazione con una tesi su cinema sperimentale e videoarte, accanto all'attività giornalistica da pubblicista (arte, musica, cinema) mantiene pervicacemente la sua dimensione da artistoide, come documentato negli anni dal suo impegno nella pittura (decennale), nella grafica pubblicitaria, nella videoarte, nella fotografia (fa parte delle scuderie della Galleria Gallerati). Nel 1997 è risultato tra i vincitori del concorso comunale L'Arte a Roma e perciò potè presentare una videoinstallazione post-apocalittica nei locali dell'ex mattatoio di Testaccio; da allora alcuni suoi video sono nell'archivio del MACRO di Via Reggio Emilia. Come scrittore, ha pubblicato il libro fotografico "Esterno, giorno" (Edilet, 2011), l'antologia avantpop "Elucubrazioni a buffo!" (Edilet, 2015) e "Ritorno A Locus Solus" (Le Edizioni del Collage di 'Patafisica, 2018). Dal 2017 è Di-Rettore del Decollàge romano di 'Patafisica. Ha pubblicato anche alcuni scritti "obliqui" nel Catalogo del Loverismo (I e II) intorno al 2011, sei racconti nell'antologia "Racconti di Traslochi ad Arte" (Associazione Traslochi ad Arte e Ilmiolibro.it, 2012), uno nell'antologia "Oltre il confine", sul tema delle migrazioni (Prospero Editore, 2019) ed un contributo saggistico su Alfred Jarry nel "13° Quaderno di 'Patafisica". È presente con un'anteprima del suo romanzo sperimentale Progetto NO all'interno del numero 7 della rivista italo-americana di cultura underground NIGHT Italia di Marco Fioramanti. Il fantascientifico, grottesco e cyberpunk Progetto NO, presentato da il7 già in diversi readings performativi e classificatosi 2° al concorso MArte Live sezione letteratura, nel 2010, è in corso di revisione; sarà un volume di più di 500 pagine. Collabora con la galleria Ospizio Giovani Artisti, presso cui ha partecipato a sei mostre esponendo ogni volta una sua opera fotografica a tema correlata all'episodio tratto dal suo Progetto NO che contestualmente legge nel suo rituale reading performativo delle 7 di sera, al vernissage della mostra. ll il7 ha quasi pronti altri due romanzi ed una nuova antologia. Ha fatto suo il motto gramsciano "pessimismo della ragione e ottimismo della volontà", ed ha un profilo da outsider discreto!

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.