Ricordo di Sylvano Bussotti

Silvano Bussotti - ©Piero Tauro

Il mio primo ricordo di Sylvano Bussotti, lui che tanto ama immergersi nei luoghi della memoria, risale all’epoca felice degli studi musicali. Erano gli anni ’80 e il suo nome era moneta corrente nei programmi di sala dei teatri europei dove la sua vasta produzione, iniziata durante il periodo avanguardistico di Darmstadt, era oggetto di culto per molti giovani insofferenti delle rigidità accademiche e del pensiero negativo e autoflagellante degli adorniani. E ricordo i miei primi acquisti discografici: un sontuoso Bergkrystall interpretato dall’allora semi-sconosciuto Giuseppe Sinopoli e, soprattutto, il capolavoro dei capolavori, quel The Rara Requiem che, grazie anche all’acquisto della preziosissima partitura (un salasso per le tasche di un giovane!), segnerà per sempre i miei gusti artistico-musicali. Il «Monteverdi galeotto e bussotto», Arbasino docet, faceva rivivere l’incanto e l’aura perduta della sensualità, dell’eros più provocatorio, della décadence più golosamente esibita e le sue partiture così «belle», così «devianti» rispetto alla semplice notazione funzionale, arrischiavano segni musicali sull’orlo dell’esplosione, reinventano uno spazio sonoro da gustare con tutti i sensi.

E i teatri di allora non soltanto facevano a gara nel rappresentare le sue opere e balletti (Lorenzaccio, Nottetempo, Phaidra/Heliogabalus, Le Racine, Le Bal Mirò) ma gli commissionavano regie, scene e costumi dei capolavori operistici sia della tradizione (Il Trittico pucciniano, Simon Boccanegra di Verdi, Il Barbiere di Siviglia di Rossini) sia del teatro contemporaneo come Torneo Notturno di Malipiero, con quel cortège funèbre finale, uno dei vertici della regia teatrale contemporanea, che provocò allora stupore e sconcerto.

A partire dagli anni ’90 l’AstroSylvano sembrò spegnersi, non per consunzione interna ché la produzione continuò felice come un tempo, ma a causa forse del suo anticonformismo senza compromessi, che già decenni prima aveva fatto storcere il naso a molti «guardiani» dell’ortodossia, o forse per la sempre e costante dimensione «privatissima» della sua arte o per la sua visione «manierista» del mondo, fatta di incantesimi stregoneschi, di vertiginosi giochi di specchi, di mise en abîme estreme. Ma nonostante il quasi completo silenzio critico e il diradarsi delle esecuzioni, Bussotti scelse di continuare il suo percorso labirintico con nuove proposte teatrali in ambienti volutamente «marginali», segno di pudore e fastidio nei confronti del «grande albergo globale» della musica.

Ma il ritorno «vichiano» era atteso e il genetliaco di un compositore nato nel 1931 ha provocato un profluvio di incontri, convegni, esecuzioni: e se mesi orsono è riapparsa la mitica e scandalosa (per gli anni ’60!) La Passion selon Sade (Teatro dell’Opera di Roma in collaborazione con l’Accademia di Santa Cecilia) pochi giorni fa, grazie alla  Fondazione Tempo Reale e  a Romaeuropa Festival, il geniale laboratorio bussottiano si è riproposto in un concerto-vademecum dove l’amatissima voce umana è stata protagonista indiscussa.

Così Foglio la CathyCanta per voce sola (dall’opera Silvano/ Sylvano, 2001-04) è omaggio e celebrazione dell’amica e musa (perduta) di Bussotti: Cathy Berberian. Una sequenza di «gesti vocali» (sospiri, mormorii, fino al canto fiorito e ornato) al limite dell’illusione a più voci. O Lachrimae, per voce ed elettronica (1978), chiaro riferimento alla composizione omonima del liutista elisabettiano John Dowland, esaltazione di quella dimensione intima e emotiva tipica del compositore. Una folgorante visionarietà anima invece Autotono per ensemble (1978): un lavoro «pittografico» realizzato dal compositore insieme allo zio, pittore e illustratore, Tono Zancanaro in cui gli esecutori vengono chiamati a rielaborare e completare musicalmente le complesse circonvoluzioni del quadro-partitura. Infine Sypario. Sigle sceniche, balletto ad libitum in 15 pezzi scritti nel 1993, che richiede l’utilizzo di danzatori e scene e dove il pluristilismo musicale (che sfiora e attraversa la musica colta come quella folk, pop e jazz) trova come unico elemento unificante, l’apertura e la chiusura del sipario tra una scena e l’altra.

Interpreti, ça va sans dire, bussottianamente «estremi».

Tempo Reale e Romaeuropa Festival
Macro Testaccio La Pelanda
SyparioSylvano. Omaggio a Sylvano Bussotti

Tempo Reale Electroacustic Ensemble
Coordinamento musicale Voce Monica Benvenuti
Pianoforte Oumoulkhairy Carroy
Violino Luca Paoloni
Contrabbasso Guido Zorn
Batteria Stefano Rapicavoli
Live electronics Francesco Giomi
Sintetizzatori Salvatore Miele

Programma musicale

  • Sylvano Bussotti, Foglio la CathyCanta dall’opera Silvano/ Sylvano, per voce sola (2001-04) Sylvano Bussotti, Lachrimae, per voce ed elettronica (1978)
  • Sylvano Bussotti, Autotono. Un divertimento, per ensemble (1978) con i disegni di Tono Zancanaro Sylvano Bussotti, Sypario. Sigle sceniche, esecutori ad libitum (1993) prima esecuzione assoluta.
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Nato a Torino nel 1964, dopo gli studi musicali (pianoforte) e dopo la scuola per interpreti e traduttori, dal 1984 ha intrapreso una lunga carriera in campo editoriale che lo ha portato a collaborare con molte case editrici torinesi (EGA, Seb 27, Ananke, Edizioni Sonda, Utet) in qualità di traduttore e editor. Del 1989 escono le prime traduzioni dal francese da Voltaire (per i tipi di Seb 27) e articoli e traduzioni di semiologia (per la rivista universitaria Quaderni di semiotica). Contemporaneamente è stato coinvolto nella ricerca di nuove modalità della comunicazione nell’ambito della mostra Progetto Sonda, curata dal Centro di Ricerche Semeion di Roma, occupandosi di analisi linguistica e testuale e seguendo i corsi di perfezionamento sul modello Mac P (Modello Attanziale Cognitivo-Paradigmatico). Organizzatore culturale è stato responsabile dell’ufficio stampa e dei rapporti con l’estero della casa editrice Ananke dove ha curato in particolare le collane di Filosofia e Psicologia (testi di Friedrich Nietzsche, Stefano Zecchi, Olivier Abel, Simone Sausse-Korff) e ha tradotto il saggio di studi culturali di Bran Nicol Stalking, quando la passione diventa ossessione e, per le Edizioni Sonda, il Dizionario Madre/Figlia degli psicologi Joseph e Caroline Messinger. Dal 2010 è iniziato l’impegno di organizzatore e curatore di mostre di arte contemporanea presso la Pow Gallery di Torino. Attivo anche in ambito giornalistico si è occupato di cinema e di musica prima di diventare, nel 2010, responsabile della redazione romana del “Corriere dell’Arte” e autore di centinaia di articoli dedicati all’arte contemporanea e alla scena artistica torinese e romana.

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