Ucraina. Dichiarazione dei ministri europei della Cultura e dei media sulla situazione interna

Nel semestre di presidenza francese dell’Unione Europea l’iniziativa politica nel mondo della cultura dopo la durissima crisi generata dalla pandemia ha subito uno sconvolgimento. Il sette marzo, il pre-vertice ad Angers fra tutti i Ministri della Cultura europei, presieduto da Roselyne Bachelot-Narquin, preludio a quello che si terrà in aprile, si è svolto in uno scenario non calcolato: l’aggressione della Russia all’Ucraina.

Allo spalancarsi di una crisi che coinvolge un paese di 44 milioni di abitanti e più di un milione e mezzo di profughi, ormai incolonnati sulle lunghe vie dell’esodo che tagliano l’Europa, proprio il modello europeo, fondato sulle diversità culturali e sui principi di solidarietà e integrazione, è sembrato quanto mai in causa.

La priorità politica dei ministri convenuti da tutti i paesi europei è diventata quindi quella di dare una risposta unitaria, provare a rispondere con una sola voce europea agli eventi.

Si è approvata all’unanimità una dichiarazione formale di solidarietà al popolo ucraino e di ferma condanna alla Russia. La comunità si è presa l’incarico di mettere in atto tutte le azioni necessarie a preservare i diritti di quanti, intellettuali, artisti, giornalisti, professionisti della cultura nell’esercizio delle loro libertà fondamentali rischiano in questo momento la vita.

Si è quindi impegnata a promuovere ogni forma di tutela e formale accoglienza affinché la società ucraina possa continuare a esercitare la sua libera funzione critica nel consesso internazionale attraverso i suoi esponenti. E, infine, prendendo atto delle minacce e dei gravi danni che colpiscono il ricco patrimonio museale, monumentale e urbano del Paese, ha espresso l’impegno predisporre quanto è nel potere dell’Europa e delle sue istituzioni per preservarlo, in stretta collaborazione con le organizzazioni internazionali e i partner interessati.

Tutto ciò, alla presenza in videoconferenza del Ministro della cultura Oleksandr Tkachenko, mentre il senso del dramma è stato riassunto dall’immagine del Crocifisso ligneo che ha invaso i social di tutto il mondo. Come una Deposizione contemporanea, la foto raffigura un gruppo di uomini intenti a preservare l’opera di epoca medievale, che per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, viene portata in rifugio dalla Chiesa apostolica armena di Leopoli – Lviv, in ucraino – definita la seconda capitale del paese.

Lo scatto e il fotogramma sono diventati il simbolo dello sforzo di tutte quelle autorità rimaste in Ucraina a presidio delle loro istituzioni museali, come Andrii Saliuk, direttore della Società di Conservazione che, insieme a molti volontari, in tutto il paese tenta di assicurare, in una sproporzione di mezzi e di eventi, il più alto numero di beni culturali esposti a rischio.

Il corpo scarnificato del Cristo con le braccia spalancate, sembra riattivare tutto in una volta i suoi significatati, universalmente noti, laicamente accolti, se si vuole, come fatto presente di un sacrificio collettivo, a lato dell’eterna necessità dell’uomo di difendere ciò che gli è altrettanto imprescindibile per vivere. Le sue opere, la sua memoria. Per ricordarsi ciò che si è, in quello che li oggetti ci dicono che siamo e siamo stati.

Dichiarazione Unesco

Da Odessa a Kiev, da Charkiv a Leopoli, i siti dichiarati Patrimonio mondiale dell’umanità in Ucraina sono sette, più un altissimo numero distretti territoriali considerati di estrema importanza culturale. Perché l’Ucraina è un paese pieno di storia, bellissimo, moderno. E forse è questa la sua colpa.

Fra i beni dell’Unesco, la Cattedrale armena dell’Assunzione di Maria con i suoi complessi architettonici compositi, risalenti al 1300, iscritta nel patrimonio dal 1998, con l’intero centro storico di Leopoli, e almeno altri nove siti di interesse individuati nella sua regione; quindi la Cattedrale di Santa Sofia con le relative costruzioni monastiche, il monastero delle grotte di Kiev iscritto nella lista nel 1990; e ancora: l‘antica città nei pressi di Sebastopoli fondata dai dorici nel V secolo a.C., le antiche Tserkvas in legno; il centro storico della città portuale di Odessa, con il suo teatro neobarocco e la sua enorme scalinata progettata dall’italiano Francesco Boffo; insieme a Palazzo Potocki, dove ha sede il Museo d’Arte di Odessa con una collezione di 10.000 opere tra le quali quelle di Vasilij Kandinskij; quindi la città di Kharkiv, entrambe membri del Creative Cities Network dell’Unesco; e i suoi archivi nazionali, alcuni dei quali figurano nel Registro della Memoria; con i siti che commemorano la tragedia dell’Olocausto.

Ancora più circostanziate in tal senso, sono le dichiarazioni rilasciate da Auderey Azoulay, direttrice generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che ricorda gli obblighi del diritto internazionale umanitario.

In particolare, fa appello alla Convenzione dell’Aia del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato e i suoi due Protocolli del 1954 e 1999. Chiede di astenersi dall’infliggere danni ai beni culturali ucraini e condanna tutti gli attacchi e i danni al patrimonio culturale in tutte le sue forme in Ucraina.

L‘UNESCO si appella formalmente alla piena attuazione della risoluzione 2347 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, da cui deriva che per la prima volta nella storia dell’Europa compare il simbolo con cui si applica la Convenzione internazionale per la protezione del patrimonio storico in stato di guerra: una sorta di immagine romboidale bianca e blu.

Danni alla Cultura.

La tenuta morale di un paese si sostanzia nel rispetto dei suoi simboli, e nonostante gli appelli delle principali istituzioni internazionali, la Russia consapevolmente ha già infranto questo principio.

E’ stato bombardato il Memoriale della Shoah di Babyn Yar, mentre il Museo di Storia Locale di Ivankiv nella provincia di Kiev è andato distrutto. Quest’ultimo, un museo di piccole dimensioni, forse il primo a essere colpito in questa avanzata, sorge in una regione a nord-ovest della capitale, su un sito di importanza storica archeologica risalente al medioevo; il Museo è rilevante per un nucleo di opere dell’artista Maria Prymachenko, esponente di spicco dell’arte naìf.

Maria Prymachenko è forse la più importante artista ucraina della seconda metà del XX secolo. Nata in una famiglia di contadini a inizio ‘900, non ha mai studiato arte. E’ un’autodidatta e trascorre tutta la vita nel suo villaggio, a Bolotnya, nella regione di Ivankiv, dove sorgeva il museo attaccato dai soldati russi.

Il luogo non viene scelto a caso, è apparentemente circoscritto a una zona di provincia, ma ha una sua importante cifra storico antropologica. Rappresenta le radici identitarie e culturali del paese, essenzialmente legato alla sua realtà rurale, ai suoi miti e leggende ancestrali, alle viscere di un immaginario fantastico di cui l’arte della Prymachenko ne rappresenta l’anima.

Le sue immagini luminose, piene di colori raffigurano animali, donne e uomini a cavallo di strane creature fiabesche, confuse in un fitto intreccio di campi, fiori e piante in epifanie di geometrie fittissime, figure ritagliate come tappeti, e che possono essere classificate sia come pittura grafica che come grafica pittorica.

La Prymachenko, non solo ha esposto in importanti paesi del mondo, riconosciuta e ammirata da Picasso, ma è tanto connessa con lo spirito dell’Ucraina che l’anno 2009 fu dichiarato dall’Unesco dedicato proprio a Maria Prymachenko, mentre il viale Likhachev a Kiev è stato ribattezzato in suo onore nello stesso anno, e un corposo numero di opere è custodito attualmente nel Museo Nazionale d’arte della capitale, assediata.

I bombardamenti hanno preso essenzialmente di mira l’Università e l’Accademia di Cultura di Kharkiv, importante città studentesca al confine est, dove è stata colpita la simbolica piazza delle Libertà, dalla quale si accede al Yermilov Centre, uno dei musei di arte contemporanea più importanti del paese.

Significative le proteste in tutto il mondo di importanti esponenti della cultura russa, che in questo momento si licenziano dai loro istituti in diretto dissenso con il governo di Putin, con le sue iniziative di terrorismo, morte e paura che hanno sconvolto il mondo. E si espongono in solidarietà del popolo ucraino, rischiando ritorsioni.

Ma sono gli artisti ucraini a essere sotto attacco, insieme ai civili, alle persone comuni, e raccontano le loro preoccupazioni, continuando a essere creativi. A testimoniare con la loro arte, il bisogno insopprimibile di essere liberi.
Fra loro, Olia Fedorova, che parla proprio da Kharkiv la città forse più martoriata in Ucraina, lo fa con i suoi interventi di arte concettuale e, con le sue riflessioni, attraverso le pratiche di scrittura, invita ciascuno a rompere il silenzio.

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Vive a Roma, specialista in Storia e Arte Contemporanea presso la Sapienza di Roma, ha conseguito un master e attualmente si occupa di progettazione europea nell’ambito del sottoprogramma cultura, con specifiche competenze nel programma “Creative Europe”. Ha collaborato ad alcune riviste culturali, scritto saltuariamente di politica per alcune testate on line.

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