[Kalporz] The National, “Laugh Track” (4AD, 2023)

immagine per The National, “Laugh Track” (4AD, 2023)

C’eravamo accorti che qualcosa era ripartito, ma non pensavamo a una “seconda giovinezza” dei National. E invece pare proprio che sia così: se “Last Two Pages of Frankenstein” uscito lo scorso maggio è un album di consapevolezza dei propri limiti, presupposto necessario per guardare avanti, “Laugh Track” – pubblicato a sorpresa il 18 settembre – è la dimostrazione di quella rinascita, la messa in pratica.

Nessun dubbio: altro che depressione, quella è sicuramente superata, i National sono qui e lo dimostrano con un album pimpante, determinato, volitivo.

immagine per The National, “Laugh Track” (4AD, 2023)

Si potrebbe parlare di “album gemello” di “Last Two Pages of Frankenstein”, ma non è propriamente così, forse si tratta più che altro di album opposti e inevitabilmente interconnessi.

Se volessimo fare una battuta, potremmo dire che i National hanno scritto i loro “Kid A” e “Amnesiac”, anche se lì c’è una comunanza di dna innegabile, mentre i National hanno differenziato maggiormente le esperienze.

Innanzitutto la copertina: entrambi i dischi condividono l’immagine principale, ma se in “LTPoF” questa è contornata nel grigio, come se l’innocenza di bimbo fosse ancora immersa in un luogo fosco, ora tutto è colorato, emerge una stanza sullo sfondo, un salotto elegante pieno di libri molto accogliente per ospitare persone, per sedersi sul divano e chiacchierare.

Se in “LTPoF” la rappresentazione della vita era nella sua fragilità e umanità, in “Laugh Track” quella vita diventa, se non felicità, serenità, si trasforma in quei momenti belli che poi si ricordano. E anche le registrazioni non sono state fatte tutte nelle stesse sessions di “LTPoF”, perché alcuni brani (che comunque esistevano già) sono stati registrati in tour e quindi in una situazione di eccitazione da live che si sente tutta.

E che “Laugh Track” sia un album di valore uguale se non superiore a “LTPoF” lo dimostra anche il fatto che contiene almeno quattro delle più belle canzoni dei National dagli inizi ad oggi, quattro canzoni splendide, impressionanti, definitive: “Deep End (Paul’s in Pieces)” riporta i National nelle lande di quell’anthem-rock a cui hanno attinto in passato (e a cui si riferiscono nel loro profondo, se è vero che Aaron Dessner a The Esquire ha rivelato che la sua collaborazione dei sogni sarebbe stata con gli U2 fino ai tempi di “The Joshua Tree”), “Space Invader” che parte piano ma che a metà si trasforma in quella che potrebbe essere la canzone di chiusura dei live (parola sempre di Aaron Dessner), minata da una scintilla convulsa che esplode in un’apoteosi di fragori tra Kraftwerk e Simple Minds, “Dreaming” con quel ritornello che si stampa nel cervello e non ne esce più: “You can stop dreaming”.

Che canzone meravigliosa, delicata e toccante, “Dreaming”. E infine l’esperimento più deciso, un brano che è una rivoluzione per la band di stanza a NY così abituata com’è a una certa compostezza, che è connaturata alla loro eleganza: la conclusiva “Smoke Detector”.

Qui i National si slacciano la camicia, iniziano a sudare, a picchiare sugli strumenti come se avessero 16 anni, provano, improvvisano, dilatano, e infatti “Smoke Detector” è nata proprio da una jam-session durante il tour.

Una canzone libera, non a caso messa a chiusura dell’album a rappresentare il nuovo corso della band che è privo di preconcetti, di frasi fatte, di luoghi già conosciuti, è un flusso di coscienza aperto a nuove visioni, a nuovi scenari.

Sono quasi otto minuti che non vorresti mai che finissero, dove il drumming potente e convulso di Bryan Devendorf si deforma sotto il flow di Matt Berninger che è un fiume in piena come se raccontasse la sua intera vita per setacciarla e trovare le pepite da conservare in tasca: l’amicizia, una risata, una bella giornata, uno squarcio di sole, un paesaggio, qualsiasi cosa sia giusto lasciare nel cuore di quello che è passato (“You don’t know how much I love you / Do you?“)

Setaccia la fanghiglia e la cenere e la polvere
Per trovare qualsiasi cosa si distingua, per qualsiasi motivo
Se è una risata o un brivido o un sentimento ricordato
Non sai cosa significhi, ma non vuoi abbandonarlo
Mettilo in una busta di plastica e mettilo in tasca
Appendilo a una gruccia e mettilo in un armadio
Saprai dove si trova ogni volta che ne avrai bisogno

Ora per favore, cari critici, vi prego e vi scongiuro: recensendo questo album e comunque da oggi in poi, vi chiedo cortesemente, non scrivete più quella frase, quella sentenza inappellabile che ora più che mai, con queste quattro canzoni e soprattutto con questa “Smoke Detector”, suona come una grandissima balla, un enorme luogo comune che non padroneggiate:

“I National sembra che facciano sempre lo stesso album”.

No, siete voi che scrivete sempre la stessa recensione.

foto presente nell’Instagram ufficiale della band e pertanto da ritenersi pubblicata a fini promozionali


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