Giuliana Balice. L’ordine geometrico e la seduzione dell’architettura

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Contributo di Italo Tomassoni

Le forme plastiche delle sculture di Giuliana Balice hanno una matrice primaria: l’ordine geometrico.

Vista nella prospettiva di un’intera vicenda creativa, la sua ricerca ha sempre indifferentemente occupato le superfici contigue dello spazio orizzontale del foglio e quelle volumetriche e discontinue dello spazio ambientale, sviluppando un processo che va dalle sovrapposizione plastiche di piani orizzontali, alla massima concentrazione spaziale delle opere di design domestico (realizzate in metacrilato e in sicodur) fino alle volumetrie costruttive che analizzano i volumi plastici in sè o che interferiscono con l’architettura e l’ambiente urbano, realizzate con legno dipinto e materiali vari.

In tutti i campi attraversati, la geometria governa la proporzione e la coerenza di una creatività che, con la sua concretezza interna, allestisce realtà alternative alle presenze naturali mobilitando dispositivi che appartengono a un linguaggio che non si arresta alla coniugazione delle forme.

La sua geometria, infatti, lontana dalla tradizione purista dell’astrattismo classico, si confronta con una modernità che non essendo fonte di certezze ma, semmai, di contraddizioni, è venata da un’inquietudine che rende la sua resa creativa profondamente attuale e incidente anche rispetto a quella declinazione, puramente pitturale, dell’arte astratto-concreta dalla quale, pure, Giuliana Balice ha ricavato, nei Sessanta, un tangenziale alimento poetico.[1]

In questi termini la ricerca, portata anche su registri plastici in opere come Costruzioni Immaginarie, Intorno al Pentagono, Sagome deviate e Successioni ritmiche su Spartito, rappresenta, su piani morfologicamente differenziati, la configurazione più aderente della congiunzione orizzontale-verticale delle forme, nonché dell’inquietudine e dell’instabilità presagite in quella iconografia esteticamente ed eticamente responsabile che mosse Giò Ponti ad ospitare le opere di Giuliana Balice nel prestigioso spazio milanese del Centro Domus (1970, 1971).[2]

Oggetti protetti dalla loro logica anziché “opera aperta” a logiche esterne, le sculture della Balice materializzano entità che non soffrono di quella che Breton definì la “crisi dell’oggetto”.

Al contrario, affermano la vitalità dell’oggetto progettato e la sua presa sul reale pur restando fermamente all’interno dell’artistico e rifuggendo dalle lusinghe sociologiche dell’estetico. E fu proprio in virtù di questa impostazione improntata al rigore e al confronto dell’arte con il mondo, che, come detto, Giò Ponti concepì un progetto di immersione della scultura di Giuliana Balice nella realtà architettonica urbana (Struttura Ambientale) attraverso due mostre personali dell’artista a Milano e a Torino (Palazzo delle Esposizioni) incentrate sull’idea dei 4 Metri di Modulo.

E infatti già alla fine degli anni Sessanta la dislocazione dinamica delle forme dalla spazialità orizzontale alle volumetrie ambientali era diventato obbiettivo primario della ricerca di Giuliana Balice, concentrata sul dispiegamento delle masse plastiche nel paesaggio e nel confronto diretto con la modernità e l’architettura.

Sicché le forme, derivate dalla manipolazione di strutture compatte articolate nello spazio, trovavano la loro naturale collocazione en plein air fino a spingersi ad esplorare il sentimento di una sorta di monumentalità totemica moderna perfino simbolica (Nike, Hermes, Torre Anomala).

Una sensibilità poi rigorosamente calibrata nella esaltazione di strutture pienamente integrate alla spazialità ambientale (Prismatica 711/P, Delfica), nei Paesaggi Artificiali e nella felice declinazione degli Equilibri Instabili per i quali Attilio Marcolli, teorico della percezione visiva e della “Teoria del Campo,” parlò di “decostruttivismo” in un “Manifesto” che vide Giuliana Balice accanto a Massironi, Ballmer, Simonetti e Marcolli stesso.

Senza ripiegamenti, il lavoro di Giuliana Balice si è inoltrato nel secondo millennio (2005) con opere che hanno sempre più essenzializzato la percezione della forma nello spazio (Castore, Polluce), riabilitando l’oggetto nella sua presenza primaria e anche recuperandone cromaticamente le variazioni come nel prezioso Prismi Argentei del 2007.

Giuliana Balice (1931) vive e lavora a Milano dagli anni Cinquanta. È cresciuta a Napoli, dove ha frequentato l’Accademia di Belle Arti.

Ispirandosi al Costruttivismo Russo, all’Arte Concreta e al movimento De Stijl, l’opera della Balice privilegia l’astrazione geometrica e il minimalismo. In tutte le sue opere, il rigore del design e l’essenzialità delle partizioni modulari sono fondamentali.

L’architetto svizzero-italiano e padre del Razionalismo, Alberto Sartoris, ha definito la pratica artistica della Balice come “assolutismo estetico architettonico”.

La prima mostra personale di Giuliana Balice si tiene a Milano, presso la Galleria Numero, negli anni Cinquanta, a cura della critica e storica dell’arte Lara Vinca Masini. Alla fine degli anni Sessanta inizia a sperimentare la tridimensionalità, utilizzando materiali industriali come legno, ferro, acciaio e acrilico.

Nello spirito del Costruttivismo, il suo lavoro è stato riconosciuto anche per il suo impegno nel design al servizio dei bisogni sociali e della produzione industriale. Ha tenuto varie mostre personali in Italia e all’estero.

Si sono occupati del suo lavoro, tra gli altri, Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Gio Ponti, Lorenza Trucchi e Alberto Veca.

Info mostra Giuliana Balice: l’ordine geometrico e la seduzione dell’architettura

  • A cura di Italo Tomassoni
  • fino al 25 novembre 2023
  • Squero Castello, Salizada Streta 368 Venezia
  • orari: martedì – sabato, 11.00-17.00 – entrata libera
  • www.zueccaprojects.org

Note

1.  Cfr. Italo Tomassoni “Giuliana Balice. Una geometria inquieta” SKIRA, Milano 2021. Ma v. anche “Balice. Equilibri Instabili” nel Catalogo della mostra allestita a Ravenna negli spazi della Fondazione Sabe per l’Arte nel 2023, Danilo Montanari Editore, Ravenna ove sono state ordinate gran parte delle opere oggi presenti in questa mostra veneziana

2.  La mostra, successivamente, fu trasferita al “Centro Tempo” di Parigi a cura di Annie Robin

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