Omar Victor Diop a Paris Photo 2014. Breve intervista a Omar Victor Diop

Omar Victor Diop a PARIS PHOTO 2014 (foto Manuela De Leonardis)

Parigi, 13 novembre 2014. Omar Victor Diop (è nato a Dakar nel 1980, dove vive e lavora) sceglie colori saturi che plasma con la luce per affidare al mezzo fotografico l’immagine di sé. Un sé che entra nei panni di altri personaggi, tutti realmente vissuti e parzialmente dimenticati come El Moro, Dom Nicolau, Jean-Baptiste Belley, Kwasi Boakye, Don Miguel de Castro, Angelo Soliman o magari Juan de Pareja, pittore spagnolo che lavorò nello studio di Velázquez che ne lasciò memoria in un notevole ritratto del 1650. Ognuno di loro ha attraversato questi cinquencento anni di storia coloniale partendo schiavo e raggiungendo in vita onore e gloria. Tra notabili, rivoluzionari, filosofi, ingegneri e pittori c’è perfino un santo: San Benedetto il Moro. Il fotografo senegalese li interpreta nella serie Diaspora, realizzata durante la residenza presso il Centro Culturale del Consiglio Generale di Malaga (febbraio/aprile 2014) e presentata dalla galleria parigina Magnin-A in occasione di Paris Photo 2014. Assorbendo, più o meno consapevolmente, la lezione di predecessori del calibro di Malick Sidibé, Seydou Keïta e Samuel Fosso, Diop aggiunge un pizzico d’ironia.

“Durante una ricerca sulla rappresentazione degli africani nella storia dell’arte europea, ho scoperto che molti dei personaggi ritratti erano nati schiavi, ed erano stati portati in Europa durante l’infanzia.” – afferma Omar Victor Diop – “La loro storia inizia in una maniera molto oscura, ma durante la loro esistenza sono riusciti ad elevarsi, arrivando a vivere a stretto contatto con re e regine. Erano rispettati e talvolta perfino temuti. Ma, nella storia successiva, sono stati dimenticati. Per me questo progetto è un’opportunità per farli riscoprire. Attraverso il mio flash li riporto in vita, contribuendo in questo modo a riflettere su temi come quello dell’emigrazione, ma anche su ciò che l’Africa e gli Africani hanno dato all’intera umanità. L’arte è un ottimo strumento per farlo.”

Introducendo nell’inquadratura “elementi di disturbo”, come il pallone di cuoio, la coppa, i guanti o le scarpe da calcio il fotografo crea un collegamento tra il passato e il presente.

“La maggior parte dei personaggi ritratti si è fatta da sé, grazie al proprio talento e alle proprie capacità. Rapportandoci al giorno d’oggi il campo in cui gli africani emergono maggiormente è il calcio. Molti provengono da situazioni svantaggiate, ma sono diventati delle star. Mi piace giocare su piani differenti e confondere il pubblico.”
Quanto alla formula dell’autoritatto, spiega che voleva sentirsi completamente parte del lavoro, non solo vivendolo dall’esterno attraverso la macchina fotografica e l’attrezzatura. “Faccio ritratti da un po’, ma questa è stata l’occasione per approfondire la ricerca.”

Il progetto proseguirà con una riflessione che si sposterà nelle Americhe, in Asia e Medio Oriente:

“sono sicuro che ci siano molte storie che debbano ancora essere svelate.”

Conclude il fotografo:

“Ma non voglio che questa sia solo una storia legata all’Africa e all’Europa, piuttosto vorrei che diventasse dell’intera umanità.”

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Manuela De Leonardis (Roma 1966), storica dell’arte, giornalista e curatrice indipendente. Scrive di fotografia e arti visive sulle pagine culturali de il manifesto (e sui supplementi Alias, Alias Domenica e L’ExtraTerrestre), art a part of cult(ure), Il Fotografo, Exibart. È autrice dei libri A tu per tu con i grandi fotografi - Vol. I (Postcart 2011); A tu per tu con grandi fotografi e videoartisti - Vol. II (Postcart 2012); A tu per tu con gli artisti che usano la fotografia - Vol. III (Postcart 2013); A tu per tu. Fotografi a confronto - Vol. IV (Postcart 2017); Isernia. L’altra memoria (Volturnia Edizioni 2017); Il sangue delle donne. Tracce di rosso sul panno bianco (Postmedia Books 2019); Jack Sal. Chrom/A (Danilo Montanari Editore 2019).
Ha esplorato il rapporto arte/cibo pubblicando Kakushiaji, il gusto nascosto (Gangemi 2008), CAKE. La cultura del dessert tra tradizione Araba e Occidente (Postcart 2013), Taccuino Sannita. Ricette molisane degli anni Venti (Ali&No 2015), Jack Sal. Half Empty/Half Full - Food Culture Ritual (2019) e Ginger House (2019). Dal 2016 è nel comitato scientifico del festival Castelnuovo Fotografia, Castelnuovo di Porto, Roma.

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