A Roma da kamikaze consapevole, Bibo’s Place raddoppia. Intervista a Matteo Boetti

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Andrea Bizzarro e Matteo Boetti confermano il loro sodalizio e aprono un’altra sede, dopo la Bibo’s Place in Umbria, a Todi, inaugurata nel maggio 2013 e allocata nel bel Palazzo Pensi, storico complesso 500esco in Piazza Garibaldi, in quella che in precedenza era lo spazio della galleria d’arte di Giuliana Soprani Dorazio. La Bibo’s sarà dunque anche a Roma, dove i due, che qui avevano già fissato una parte importante della loro vita e un punto professionale di rilievo, hanno scelto, come area privilegiata del loro neonato progetto, il quartiere Prati. In tale zona,  già nel 2005, e per tre anni, Matteo Boetti aveva dato vita a un’altra delle sue creature – lo Studio Matteo Boetti – e qui, in Via Valadier n. 1, c’è anche l’Archivio Alighiero Boetti. Da giovedì 28 settembre si animerà in questo senso anche la vicina Via Ulpiano: al civico 51 si vedranno mostre con un carattere non lontano da quanto già proposto a Todi dai Bibo’s Boys; la superficie è più piccola, di 70 mq e con una suddivisione sia su strada sia sotterranea: ciò  consente una  programmazione scattante, con esposizioni più ravvicinate pur con un’attenzione per un vis-à-vis tra opere di storicizzati e più giovani proposte, che caratterizza le scelte di Andrea e Matteo.

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Chiediamo a Matteo Boetti di raccontarci la politica culturale della Bibo’s capitolina e di un esordio abbastanza paludato: una mostra che esamina la Storia dell’arte italiana, e nello specifico romana, dagli anni ’40 ai giorni nostri.

“Sì, la mostra ha titolo, non a caso, Scuole Romane e mette insieme opere di artisti delle correnti e dei movimenti attivi a Roma come la Scuola di Via Cavour, quella di Piazza del Popolo, di San Lorenzo, fino ad arrivare all’oggi. Quando Andrea (Bizzarro, n.d.R.) ha avuto l’idea, l’ho subito abbracciata e mi è sembrata un giusto omaggio alla città e a quei grandi autori”.

In linea con la vostra attitudine di galleria, avete anche in questo caso unito storici e giovani: l’accostamento funziona?

“Certo che sì! Ti indico, per esempio, la presenza di opere di Fausto Pirandello (un disegno del ’29 già esposto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea nella grande antologica del 1977), di Mario Mafai del ‘50 e di Franco Gentilini del 1954 – Le Streghe sopra New York, preparatorio per un dipinto mai realizzato, che avrebbe dovuto occupare i locali del Caffè Strega di Via Veneto e già nella collezione di Guido Alberti, fondatore di quel Caffè e del Premio Strega – nonché di Franco Angeli (del ’66), di Cesare Tacchi con un Kennedy, grande bozzetto preparatorio per un’opera poi andata distrutta; e c’è una carta del ’69, Erica, di Giosetta Fioroni, mentre di Tano Festa saranno esposti un importante Collage del 1960, un Senza Titolo del ’62 e un Michelangelo del ’67, mentre Mario Schifano c’è con un Paesaggio del 1970 e dei Gigli d’acqua del 1982. Il terzo momento delle Scuole Romane, di San Lorenzo, è rappresentata dai lavori di Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Piero Pizzi Cannella e Marco Tirelli con opere realizzate appositamente per la mostra, mentre Leonardo Petrucci, che già da anni ha il suo studio all’interno del Pastificio Cerere, ha una nuova opera per noi, come Andrea Aquilanti, con un lavoro site specific”.

Ancora una volta siete qui a sottolineare l’importanza dei maestri, delle radici e di una continuità tra tempi storici e ricerche, seppure spesso con l’esigenza sacrosanta da parte degli emergenti di “uccidere i padri”?

“Assolutamente. Così si forniscono possibilità di nuove letture e si… produce una nuova energia”

Su che basi avete scelto lo spazio romano?

“Casuale, quasi: vicino alle nostre case, era un negozio di vernici inglesi e un posto particolare. E’ andata così…”

Come è strutturato?

“La galleria è più contenuta di quella di Todi, che è molto spaziosa e articolata e impone mostre più ampie, quindi inevitabilmente con una calendarizzazione più diluita nel tempo: lì curavamo cinque esposizioni ogni anno, tra grandi e qualche collettiva tematica, con i duetti giovane/storico, mettendo cioè insieme generazioni differenti; ora inevitabilmente ne faremo un po’ di meno – diciamo due l’anno – e avremo una maggior possibilità di cambiare e sostituire qualche opera come in una sorta di work in progress. Ciò, perché ovviamente Roma ci assorbirà; qui, diversamente da Todi, le mostre saranno più brevi, a cadenza serrata – cinque, sei settimane al massimo – e più agili, circa cinque l’anno, con opere, ma anche carte, progetti speciali e sempre mantenendo ovviamente la qualità e un’attenzione per i pezzi importanti anche nelle quotazioni…”

Una sorta di galleria più… sperimentale?

“Meglio: ciò che in un museo di Berlino, Madrid, Bruxelles, Londra sarebbe definito Project Space, o Project Room. Uno spunto, un’idea che diventa una mostra: micro-collettive con tema trainante, forte, accanto a esposizioni che affiancano, come nel nostro stile, alla Bibo’s Place, generazioni differenti…”

…impegnativo…

“Non ci spaventa: Roma e Todi distano un’ora e mezzo di auto o treno…; ciò che ci preme è altro: fare una programmazione coerente con noi e compatibile con le promesse fatte…”

Perché aprire una nuova sede, e proprio a Roma, in questa temperie tanto complicata e in affanno per quanto concerne la cultura e l’arte?

“Ma è sempre molto complicato e in affanno tutto; e non lo è… Mi piacciono le sfide. Andrea è con me e insieme ci completiamo”.

Dunque Todi resta e Roma – se non altro più facile da raggiungere, anche d’inverno, quando le strade a umbre gelano – torna…

“…in realtà non se ne è mai andata, Roma: veniva a Todi, ci raggiungeva alle fiere, dato che molti dei nostri collezionisti sono di Roma; poi, le nostre rispettive famiglie sono a Roma, abbiamo base qui, ci lavoriamo… Insomma: ci è parsa una scelta… naturale. Sarà un atto rischioso, il nostro, ma vogliamo credere che dedicarsi seriamente e con entusiasmo a qualcosa porti sempre risultati positivi…”

…pensi che Roma, così come è oggi, lo capirà?

“Noi non lavoriamo per Roma ma a Roma, ovviamente con ricadute sulla città che, certamente, è molto cambiata da quando, per esempio, io esordii con Autori Messa, Autori Cambi e poi Studio Matteo Boetti.

Vedi.., quando chiusi l’ultimo spazio a Roma – era il 2008 – questa era diventata o mi sembrò stanca, provinciale e trovai Todi, che era già legata alla mia famiglia da tempo, una città interessante da esplorare come luogo del contemporaneo, lontana dai consueti circuiti del sistema dell’arte, terra più vergine, genuina, con una qualità della vita diversa e migliore… Ora è arrivato il momento di guardare nuovamente anche altrove: da Roma siamo partiti, diversamente, un po’ tutti, no?”

Certo; però… perché non pensare anche, per esempio, a Milano, dove pure avete collezionisti e collaborazioni, e che è più organizzata, è sensibile al contemporaneo e ben posizionata nel Sistema dell’Arte…?

“Come ti dicevo, a Roma abitano moltissimi dei nostri collezionisti, oltre che tanti artisti con cui collaboriamo più continuamente e quindi la scelta è anche di opportunità… Inoltre, devi convenire con me che io esercito solo atti di incoscienza! Se una cosa è troppo facile, mi annoio. Sono anni che io lavoro così: adesso che faccio, cambio? Impossibile! Mai fatto il contabile: musicista, poeta, altro, ma mai il contabile… puoi capire che intendo, no? La sfida vinta in partenza non ha per me alcun sex appeal, e anche Andrea ritiene importante che una strada forse anche accidentata, ma praticata con fatica e serietà, porti a vittorie meritate sul campo che non solo ti fanno sentire bene e premiano, ma restano…”

Mi stai confermando che sei un idealista o un anarchico…: o tutti e due?

“Non mi faccio mancare niente…! Però per me è la poesia che è più importante, in tutto. E’, per Andrea e per me, rilevante poter avere la capacità di sintetizzare un momento storico, di cogliere un passaggio fondamentale della creatività di un artista: questo è davvero ciò che conta…”

…conta anche un buon magazzino, investimenti virtuosi e guadagni…

“Certo, ma per quel che mi riguarda, come sai, lo sguardo è anche un po’ diverso… Ripeto: non calcolo, non faccio il ragioniere. In magazzino avrò accumulato, negli anni, oltre duemila opere… ed è proprio fuori controllo…; ma non riesco e non voglio che questo sia un freno al mio modo di lavorare e guardare, anzi, di vivere l’arte…”

Viverla l’hai vissuta eccome! Infatti, anche per questo tu usi spesso – come hai fatto anche prima – la parola energia… A tal proposito, Roma ne aveva da vendere, ai tempi in cui hai esordito, non solo come musicista ma come gallerista, curatore, amico di artisti, parte vitale di una scena in fermento, che prometteva innovazione e qualità… Le ha mantenute, quelle promesse? E oggi?

“Mantenute? Io penso che ciò non dipenda solo da che e come si fa ma da chi sa o non sa raccogliere quel fare di un artista, di un poeta, un intellettuale… Sai che voglio dire…”

Sì, certo: capisco che hai un approccio, oltre che, come abbiamo indicato prima, idealista e anarcoide, anche romantico… E’ questa l’architrave vera di Bibo’s Place?

“Come sai, e lo ribadisco, Andrea e io ci equilibriamo e completiamo. Siamo sinceramente complementari, dove non arriva uno arriva l’altro: l’anima di Bibo’s Place, la programmazione, la politica culturale, è tutta imperniata su questa condotta di rimbalzo tra le mie idee e quelle di Andrea e di concretizzazione tanto integrata che a progetto definito non sappiamo più chi ha detto cosa, e non importa; con lui ho anche imparato a sopire la mia notoria esuberanza punk e kamikaze…

Scherzi a parte, a proposito di quanto mi chiedevi, ti dico che a Roma vogliamo riportare l’attenzione sugli artisti promettenti delle generazioni degli ultimi quindici, venticinque anni, quelli delle promesse e della scena a cui alludevi, e quelli che stanno portando nuovi contributi… Va fatto. E va fatto adesso”.

Mi fai qualche nome di artista che secondo voi sta portando questi nuovi contributi?

“Te ne faccio di quelli a noi vicini, che abbiamo esposto, che seguiamo: Donato Piccolo, Davide D’Elia, Leonardo Petrucci, Alice Schivardi, Mariagrazia Pontormo, Luana Perilli, Silvia Giambrone… ma ce ne sono, ce ne sono…”

Mi stai indicando una nuova scena?

“Diciamo che rimane forte e chiaro per noi il principio: come sarà declinato nel concreto, domani, la ricerca di questi artisti, e dell’artista in generale, resta un’incognita, ma quello che è convincente per noi è la partenza, e lo sprint, una ricerca seria, opere belle, con un senso profondo… e l’azzeccata e feconda efficacia del confronto con le pietre miliari…”

…e rimane, mi pare, anche l’idea di un gallerista che sia, come il critico d’arte, un compagno di viaggio dell’artista…?

“Sì, e aggiungerei – credo di avertelo detto anche un po’ di tempo e di articoli fa – anche quello di pungolo, di fornitore di stimoli…”

Bizzarro, Boetti - Bibos place
Bizzarro, Boetti – Bibos place

Stimoli che speriamo siano fecondi tanto da (ri)generare un circuito capace di accendere nuovi riflettori su Roma e soprattutto di portare, al di là delle tante altre variabili che questo settore ingenera, altri artisti italiani a basi d’asta domani ragguardevoli, per la felicità di galleristi, collezionisti, artisti e collettività; dando proprio al punto di osservazione non omologato dell’arte la libertà di esserci come alternativa al conformismo, alla banalità, alla mediocrità, all’individualismo e all’oscurità sempre più dominante. Non solo a Roma.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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