Focus-on Sardegna. Racconti d’estate dall’isola dell’estate e autunno che sarà

E Cagliari si candida a Capitale Europea della Cultura: dopo il tentativo censurato (e svenduto) da parte di Carbonia, gettato alle ortiche dalla miopia di certa politica locale, il capoluogo dalla Sardegna interpreta con coraggio le potenzialità di un’Isola che non si arrende.

Nel Sulcis intanto, e nonostante il Sulcis, il Distretto Culturale Open Source continua nel suo percorso, la rete (Fondazione MACC-Mangiabarche, Cherimus, GiuseppeFrau Gallery, Agri-Factory Barega) sembra funzionare; anzi, questa lunga e non troppo calda estate ha visto Cherimus operare direttamente negli spazi del MACC con Sulcis Oddity, una mostra che ha cercato di raccontare l’esperienza dell’Associazione di Perdaxius nel territorio: oltre che la dimensione antologica, ha anche permesso un’azione che sa quasi di collettivo, anche se, in realtà, sono più gli sviluppi di ogni singolo progetto di Cherimus a rendere possibile un’azione collettiva, che la natura stessa degli artisti coinvolti di volta in volta. Collettivo è quindi il risultato dell’incontro con la popolazione, quasi sempre con bambini e ragazzi in età scolare. Intrigante ed intrigata, più che accattivante ed accondiscendente, è spesso la produzione dell’opera, che scaturisce da questi incontri con la comunità locale, dove l’aspetto ludico rimane, e si manifesta costantemente, restituendoci un senso di leggerezza, insolito ed inaspettato, in un territorio ostile e travolto da una crisi epocale. Cherimus ha saputo coinvolgere artisti ben noti nel sistema dell’arte, invitandoli ad interagire con il tessuto sociale, trasformando e cortocircuitando i processi tradizionali del difficile rapporto tra comunità rurale, l’arte e gli artisti contemporanei, restituendo proprio all’arte una dimensione libera da conflitti e distanze stilistiche: il gioco, i laboratori e gli workshop sono sempre stati condotti con allegria ed entusiasmo, in un clima sì ludico e festoso, senza però mai perdere terreno sul piano della sperimentazione e della ricerca artistica. Anima e cuore dell’Associazone sono Emiliana Sabiu e Matteo Rubbi, con l’assistenza dal cielo di Marco Colombaioni, ed intorno a loro tanti artisti, che non poco hanno contribuito a fare della Provincia più povera (inquinata, depressa e ostile) d’Italia un centro incredibilmente attivo nella ricerca artistica contemporanea, che, proprio con il MACC (Mangiabarche e Beyond Entropy) ha acceso un faro già punto di riferimento per tutto il bacino del Mediterraneo. D’altro canto il MACC, grazie al suo inarrestabile direttore, Stefano Rabolli Pansera, fresco del Leone d’oro all’ultima Biennale veneziana, prosegue nella programmazione con artisti per ora provenienti dall’area britannica (ora è il turno dell’artista londinese Robert Pratt), ma ben muovendosi per coinvolgere, prossimamente, artisti provenienti dall’Africa e dal bacino del Mediterraneo.

Sul versante iglesiente del Sulcis, il collettivo della Giuseppefrau Gallery continua, sempre nelle pratiche dell’extreme non-profit, la sua lotta per denunciare lo stato di degrado ambientale, politico, economico e culturale in cui versa il territorio e, a dargli man forte, sono arrivate le prime inchieste della magistratura, frutto anche delle loro inarrestabili denuncie contro quella che si configura come una vera associazione a delinquere di stampo politico-mafioso. La GFG, che ricordiamo ha sede in un villaggio minerario sperduto tra Gonnesa ed Iglesias, ha recentemente realizzato una serie di interventi (Political Platform) ospitati all’interno di manifestazioni politiche, portandosi sullo scontro diretto verso quella strategia operata dal sistema politico locale che ha volutamente creato e sostenuto una sorta di regno governato dall’amatorialità e dal dilettantismo cronico, che ha relegato la cultura a forme di autointrattenimento per la massa elettorale, assecondando una popolazione, sempre più povera e sempre meno numerosa, che continua a comportarsi come se il territorio fosse ancora al centro dell’economia e della produzione isolana, ma che in realtà ha toccato il fondo della dignità culturale. Ai grandi artisti ed architetti che nel loro passaggio hanno segnato la rinascita culturale dell’iglesiente (da Ciusa Romagna a Ettore Sottsass), si sono sostituiti pittori da cavalletto, scultori amatoriali ed un piccolo esercito di artisti provenienti dal sottobosco isolano, mentre sulla costa dilagano progetti realizzati da ingegneri edili e pericolosissimi geometri armati di licenza (comunale) con dolo. Anche la stessa tradizione mineraria è messa in discussione da belligeranti associazioni che cercano di trasformare la città dei riti barocchi e del Liberty in una disneyland medioevale.  In un territorio alla ribalta delle cronache per i caschetti degli operai battuti ritmicamente sulle strade della contestazione e della disperazione, queste mascherate iglesienti sfiorano il ridicolo anacronistico, alimentando la percezione patologica, da parte del resto del territorio, di un distacco dalla realtà. Comunque, anche a queste eccessive pratiche del racconto di una storia nonepistemologicamente corretta, va almeno il merito di aver salvato il centro storico (uno dei pochi intatti dell’intera Sardegna) dalla follia edilizia che regna nella costa di Nebida (frazione di Iglesias).

Nel Sud-ovest dell’Isola va di scena quindi una Sardegna che non c’è, dove la lingua sarda viene utilizzata molto raramente, dove la musica delle launeddas è stata sostituita dal karaoke e dai tormentoni globali messi a palla dai chioschi nelle spiagge, che hanno nomi esotici come Maracaibo o Tropicana, e dalle feste che si chiamano Ibiza Party, quasi a pensare la nostra isola come un surrogato di paradisi altri e non come valore unico e glocale. Anche nella diffusissima produzione musicale è difficilissimo trovare un gruppo che non sia in lingua inglese (di nome e di suoni), rarissimi quelli in italiano, praticamente inesistenti quelli con un nome in lingua sarda. Questo è l’ambiente dove opera e contro con cui lotta quotidianamente la GFG, nella speranza che la riconversione culturale e turistica del territorio inizi ad essere qualcosa di più che un enunciato senza argomentazione logica, che il mezzo miliardo messo in campo dal Piano Sulcis non finisca per compromettere, nel futuro prossimo, ogni residua risorsa ambientale ancora recuperabile, e che molti politici finalmente scontino la loro miopia, sia sul piano elettorale che su quello giudiziario. Salvare il salvabile e creare una resistenza diffusa è l’obiettivo degli artisti della GFG: intanto un piccolo sistema dell’arte contemporanea, glocale e sostenibile, ha preso piede nel territorio, e questo non è poco.

Nel resto dell’Isola il Man sembra aver ritrovato un modulo giocabile: l’ultima mostra è esemplare. Divisa su quattro piani, il secondo dedicato alla collezione del ‘900, il terzo ad un’artista sedotta dal paesaggio del Supramonte, Laura Pugno, il piano terra ad un’artista internazionale Norman McLaren (Stirling 1914 – Montréal 1987), pioniere dell’animazione sperimentale e autore di culto della cinematografia d’avanguardia, ed al secondo, lo straordinario progetto Braccia-1 dell’artista sardo Alessandro Biggio (Cagliari, 1974), che ha coinvolto sei artisti internazionali – Alexandra Bircken (Colonia 1967), Michael Höpfner (Krems, Austria 1972), Luca Francesconi (Mantova 1979), Jessica Parker Valentine (Austin, Usa 1980), Ian Pedigo (Anchorage, Usa 1973) e Luca Trevisani (Verona 1979). Il risultato è un’azione che ha permesso ai singoli artisti di aumentare in modo esponenziale ogni singola personalità proprio nel momento in cui hanno ceduto le loro “braccia” all’idea dell’artista isolano.

A Sassari continua inarrestabile l’ascesa del piccolo grande Wilson Project Space, con un fantastico Renato Leotta che ha saputo esprimere un monumento alla genialità ed alla leggerezza, un vero colpo alle palle di un certo forzato formalismo di troppi artisti sardi, sempre più inclini a rovinare anche l’intuizione più fresca con certa eccessiva e ridondante artigianalità.

A Cagliari la Fondazione Bartoli Felter non ha ancora espresso tutte le sue potenzialità, ma la mostra di Carlo Spigasembra portarla sulla strada positiva. L’artista di Sestu è anche coinvolto nella programmazione della rassegna (dal nome poco originale di “rassegna d’arte contemporanea) che cercherà per l’ennesima volta di dare vita ad uno spazio da anni senza identità: l’Exmà. Forse questa è una buona occasione per portare a regime, almeno nel capoluogo, una generazione di trentenni, o giù di li, che non è stata ancora in grado di farci lasciare alle spalle quella precedente dei Lampis e dei Biggio, che ancora rappresentano gli unici spunti di ricerca interessante ed intrigante: magari questa, almeno nella nostra speranza, potrebbe essere la volta buona.

I segnali di un cambio di rotta, nell’atteggiamento verso un fare rete meno vincolato a frequentazioni ed amicizie consolidate altrove, non sono incoraggianti, basti vedere come tutto il mondo dell’arte cagliaritano ha snobbato la serata di inaugurazione della residenza Le Ville Matte nella vicinissima Villasor: sette artisti provenienti da tutto il pianeta (Justin Tyler Tate – Canada, Katharina Mayer – Germania, Sabrina Oppo – Italia (Sardegna), Fabrizio Monsellato – Italia, Vincent Ceraudo – Francia, Sahar Al Khateeb – Palestina, Andrea Kalinova Rep – Slovacchia) selezionati e guidati da dei visiting professor di livello internazionale (Andreas Altenhoff, Accademia di Arti Multimediali di Colonia e Marie Claude Beck, Centre Pompidou) sono stati lasciati soli in un’inaugurazione che doveva essere sotto il segno dell’accoglienza e dello scambio. In compenso, la presenza della popolazione è stata esemplare, direi straordinaria, e l’idea di legare l’esperienza con il valore storico ed ecologico delle case campidanesi in Ladiri (terra cruda) portano su un interessante piano altro (alto) il progetto nato tre anni fa da Francesca Sassu. Oltretturo, Villasor non compare, al contrario di Carbonia ed Iglesias, neppure tra i partner istituzionali per la candidatura di Cagliari a Capitale Europea della Cultura: un pessimo ed inquietante segnale per una città che vorrebbe presentarsi, proprio con il Sud della Sardegna, all’appuntamento della selezione per 2019.

 

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Pino Giampà vive e sopravvive nel Villaggio Minerario di Normann nel profondo Sud-Ovest della Sardegna, dove fa parte di GiuseppeFrau Gallery, www.giuseppefraugallery.com, uno spazio non-profit, un collettivo, una postazione di ricerca nel territorio più povero d'Italia. Progetta, realizza e scrive, collaborando per "art a part of cult(ure)" come occhio vigile sulle realtà culturali e artistiche in terra sarda

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