L’ambiguo futuro dei droni fra uso militare e sviluppo civile

Civil UAV - unmanned aerial vehicles
Civil UAV - unmanned aerial vehicles
Civil UAV - unmanned aerial vehicles
Civil UAV – unmanned aerial vehicles

Da arma di distruzione spregiudicatamente mirata a distributore di pizze e articoli di consumo?
Sembra un passaggio da fantascienza ma la tecnologia continua a proporci possibili stravolgimenti da impieghi militari ad applicazioni civili al punto che armi micidiali divengono di colpo preziosi strumenti per lo sviluppo civile. Può succedere, anzi sta succedendo anche con i drones, il cui uso pacifico è ormai dietro l’angolo.
Negli Stati Uniti anzi è appena nata un’azienda start up, la DroneDeploy, che sta mettendo a punto il software atto a dirigere i droni nel rilevamento terrestre e nella sorveglianza di terreni agricoli. Uno dei suoi finanziatori, Tim Draper, dice che un giorno i droni gli porteranno la cena quando sarà lontano da casa. Il signore in questione è un venture capitalist, uno di quei finanzieri che scommettono con il loro denaro su progetti legati a innovazioni in certi casi avveniristiche. I venture capitalist americani stanno investendo grosse somme sui droni, qualcosa come quaranta milioni di dollari nei primi nove mesi di quest’anno, il doppio dell’ammontare investito l’anno scorso.

Se gli investitori puntano sui droni con l’aspettativa di ritrarre un forte ritorno dallo sfruttamento civile di questi velivoli autocomandati, grosse compagnie dotate di ampie risorse finanziarie – come la petrolifera Conoco Phillips– hanno già allo studio progetti di impiego dei droni per esplorazioni come quella di monitoraggio degli spostamenti delle masse glaciali e contemporaneamente dei mammiferi marini dell’Artico.

Le vendite di UAV (unmanned aerial vehicles) da adibirsi a scopi civili stanno prendendo quota tanto che si stima che entro la fine del decennio supereranno gli otto miliardi di dollari. Il settore dei droni si sta espandendo grazie a tre compagnie start up, ossia agli esordi, oltre alla DroneDeploy basata in California, un’altra start up, la Airware di Newport Beach, in California, ha già ricevuto investimenti per oltre tredici milioni di dollari per produrre sistemi di pilotaggio automatico di valore oscillante tra 4.500 e 7.500 dollari.
Sullo sviluppo dei droni civili pesano peraltro grossi interrogativi di natura regolatoria. Gli UVA non potranno infatti volare negli spazi aerei riservati agli aerei e conseguemente gli investitori attendono che la Federal Aviation Administration metta a punto un piano organico per l’integrazione dei droni nello spazio aereo territoriale, possibilmente entro il 2015.
Si prevede che verranno istituite norme in base al peso e alle dimensioni dei droni, una questione di estrema delicatezza perchè i droni di piccole dimensioni attualmente in circolazione già pongono un serio rischio agli aeromobili in fase di atterraggio. Qualche tempo fa fu proprio il pilota di un aereo dell’Alitalia a segnalare la prossimità di un piccolo UAV radiocomandato nello spazio aereo di New York.

Ma già incalza un’altra problematica connessa ai droni, quella che tali apparecchi vengano usati nel territorio nazionale a fini di sorveglianza sui cittadini. In questo caso sarebbero gli organi di polizia di stati e muncipalità a munirsi di droni per controllare non soltanto il traffico ed ogni genere di attività, lecita o illecita, ma per condurre un controllo massiccio della popolazione.

È una prospettiva che forma già oggetto di forti moniti delle  organizzazioni libertarie come la American Civil Liberties Union. La ACLU spinge affinchè il Congresso decreti che le informazioni raccolte per mezzo dei droni non vengano usate per altri scopi.
Al Congresso nello scorso marzo si è levata alta una voce di protesta contro i droni, da parte del Senatore Rand Paul che ha denunciato il pericolo che i droni vengano impiegati per targeted killings ossia per l’eliminazione di bersagli classificati terroristici all’interno degli Stati Uniti. Il Sen. Paul ha inscenato un’insolita protesta di ostruzionismo in aula, parlando ininterrottamente per dodici ore e condannando l’incostituzionalità di potenziali attacchi per mezzo di droni ai danni di cittadini americani nel territorio nazionale.

La filippica anti-droni del senatore repubblicano di nota fede libertarian ha raggiunto lo scopo quando l’Attorney General Holder ha dichiarato che il Presidente non ha la “autorità” di ordinare l’uccisione di americani non combattenti sul suolo americano.

Il discorso sui droni ormai si accentra su quello che viene definito il “potenziale trasformativo” di queste macchine il cui uso principale, se non esclusivo fino ad oggi, è quello di colpire bersagli ai conclamati fini della  sicurezza nazionale.

Ma i droni possono recare non solo micidiali razzi, ma apparati assai utili per il controllo delle frontiere, del traffico, della produzione agricola e delle conseguenze di disastri naturali, grazie alla strumentazione di termo-immagine e raggi infrarossi.

In pratica, lo spazio aereo americano è destinato a trasformarsi in virtù della capacità dei droni di svolgere attività di sorveglianza altamente sofisticate a fini non militari. Sono già centinaia le centrali di ordine pubblico, le università e i dipartimenti addetti al controllo dei trasporti che possono avvalersi dei droni su specifica licenza della FAA (Federal Aviation Administration). La stessa FAA prevede che nel giro di venti anni non meno di ventimila droni saranno in esercizio in America per conto di entità pubbliche e commerciali. §
Il Congresso ha già chiesto alla FAA di mettere a punto entro la fine del 2015 un piano di integrazione degli UVA nello spazio aereo degli Stati Uniti, conferendo priorità alla regolamentazione dei droni di peso inferiore ai 30 chilogrammi. Sulla regolamentazione allo studio pesa il fatto che i droni sono stati creati e ampiamente usati a fini militari, specificamente per decimare la leadership di al Quaeda nell’Afghanistan e nello Yemen oltre che per scompaginare le attività e i movimenti di gruppi definiti “militanti”.

Le accuse all’Amministrazione Obama si appuntano non soltanto sull’intensificazione degli attacchi dei droni ma sulla scelte operate dalla CIA in ordine agli obiettivi considerati legittimi e alle circostanze che giustificano gli attacchi stessi. L’interrogativo più scottante, al quale l’amministrazione non risponde in modo soddisfacente, è quello che riguarda i benefici specifici che l’America può ritrarre da un impiego indiscriminato dei droni, considerando che gli attacchi finiscono con alienare governi stranieri ma soprattutto le popolazioni nelle zone prese di mira. La critica più severa viene rivolta alla decisione della CIA di condurre i cosiddetti signature strikes ovvero di colpire bersagli prescelti per la presenza di “militanti” non identificati in base all’analisi dei comportamenti degli elementi sospetti ritenuti membri di un’organizzazione presumibilmente terroristica.

I danni collaterali turbano lo stesso Congresso che ha ripetutamente chiesto dati all’esecutivo, ma senza ricevere una risposta precisa. L’amministrazione riferisce di disporre di tali dati ma non li rilascia. Varie fonti americane e straniere rivelano che i civili uccisi dalle incursioni dei droni dal 2002 ad oggi potrebbero essere più di mille. L’intensificazione delle accuse per le morti di civili a seguito dei signature strikes ha forzato la CIA a rallentare tali operazioni. Da parte sua, la Casa Bianca ha sostenuto di recente che “non tutti gli uomini abili ad operazioni militari nelle vicinanze di un bersaglio vengono considerati combattenti”. Una dichiarazione che lascia il tempo che trova per il semplice fatto che un hellfire, il razzo teleguidato, non è certamente in grado di distinguere tra “militanti” e civili che si trovano casualmente nelle vicinanze. In conclusione, aumentano le pressioni sull’Amministrazione Obama e sul Congresso perchè gli Stati Uniti si facciano promotori di norme e regolamenti internazionali per gli UVA sia militari sia civili.

Uno dei più ardenti critici dei droni, Micah Zenco del Council of Foreign Relations, ha commentato il frequente ricorso a questo devastante sistema d’arma (si parla infatti di almeno 400 incursioni in soli tre Paesi: Pakistan, Yemen e Somalia), con questa lapidaria dichiarazione: “I droni sono la faccia della politica estera degli Stati Uniti. E sono una brutta faccia”.

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Marino de Medici è romano, giornalista professionista da una vita. E’ stato Corrispondente da Washington dell’Agenzia ANSA e Corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano Il Tempo. Ha intervistato Presidenti, Segretari di Stato e della Difesa americani, Presidenti di vari Paesi in America Latina e Asia. Ha coperto la guerra nel Vietnam, colpi di stato nel Cile e in Argentina, e quaranta anni di avvenimenti negli Stati Uniti e nel mondo. Ha anche insegnato giornalismo e comunicazioni in Italia e negli Stati Uniti. Non ha ancora finito di viaggiare e di scrivere dei luoghi che visita. Finora è stato in 110 Paesi e conta di vederne altri.

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