Jeff Koons al Whitney: re del kitsch o artista concettuale?

Inflatable Flowers (Four Tall Purple with Plastic Figures), 1976 partially refabricated 2014, Jeff Koons, Photo credit Casey Gleghorn

E’ stata appena inaugurata, al Whitney Museum di New York, la mostra Jeff Koons: a Retrospective (27/06/2014 – 19/10/2014), con l’intento di raccontare le varie fasi del percorso individuale dell’artista. Passato dalla vendita di membership al Museum of Modern Art di New York al mondo dell’arte vero e proprio il re del kitsch ne ha fatta di strada e, nonostante le reazioni del pubblico e della stampa ad alcune delle sue opere, come le gigantografie della serie “Made in Heaven”, si è infine guadagnato, col suo modus vivendi alternativo e sopra le righe, una retrospettiva a lui dedicata in parte allo scopo di mettere in evidenza, per una volta, gli aspetti non soltanto ludici ma anche, perché no, intellettuali del suo lavoro.

La sala dedicata alla serie “Gazing Ball” lascia poco all’immaginazione, coi soliti riferimenti all’arte antica (Ercole Farnese e il Torso del Belvedere). L’opera “Gazing Ball (Mailbox) 2013”, tuttavia, contribuisce a bilanciare gli elementi formali e percettivi che si alternano fra antico e contemporaneo richiamando un’estetica netta e ben definita che non sembra temere confronti.

“I grew up in Pennsylvania where people put gazing balls in their yard. They do it as a way of showing their generosity, at least I think of them that way. It’s being generous to your neighbors because it’s such a visual thing to do, such an extravagance….”

Gli aspirapolvere della serie “The New”, alla quale ha cominciato a lavorare negli anni ’80, rappresentano invece un esempio di arte concettuale che va oltre la cosiddetta “arte per l’arte” e fa leva sulle esigenze di un pubblico attento alle dinamiche del contemporaneo, con sguardo critico rivolto al consumismo e alla filosofia del “new and improved”. Di nuovo c’è sicuramente la capacità di reinventare, smontando e “rimontando diversamente”; di “migliorato” c’è l’involucro dietro il quale vengono presentate delle opere in fondo provocatorie (durante la prima esposizione della serie “The New” al New Museum nel 1980, infatti, qualcuno pare abbia osato chiedere in giro se gli aspirapolvere fossero in vendita per le pulizie di casa!).

“Equilibrium is before birth, it’s in the womb, it’s about what is prior to life and after death. It’s this ultimate state of the eternal that is reflected in this moment.”

Anche le opere della serie “Equilibrium” sono fortemente concettuali e rappresentano l’esordio di Jeff Koons sulla scena newyorkese: dopo aver avuto problemi economici nel 1982 fu, infatti, proprio nel 1985, con la prima mostra personale in galleria intitolata “Equilibrium” tenutasi da International with Monument, che critici e collezionisti cominciarono a prendere le sue idee più seriamente.

“I never wanted real luxury. Instead, I wanted proletarian luxury, something visually intoxicating, disorienting”.

“Luxury and Degradation” è una serie dedicata alle tentazioni e illusioni prodotte dal “mito del lusso sfrenato”, ovvero dall’ossessione di natura pubblicitaria che induce a rincorrere un determinato stile di vita: è così che il materiale adoperato, invece di essere costosissimo, come ci si potrebbe aspettare, diventa emblema del confine sottile fra ricchezza e desiderio di ricchezza, trasformando l’acciaio e l’immagine di “commodity di basso livello” ad esso correlata in un ironico dibattito sulle differenze tra “ineludibilità del fattuale” e definizione.

“Inflatables and Pre-New” sono incentrate sul passaggio dai dipinti onirici ispirati a Dalì alla scoperta dei ready-made di Duchamp, che hanno segnato la sua carriera in maniera indelebile contribuendo a farlo diventare uno degli artisti più amati e odiati al mondo. Opera significativa, a tale proposito, è “Sponge Shelf” del 1978, una pila di spugne colorate appoggiate sopra una mensola davanti ad uno specchio che, ad ogni movimento all’interno della sala, ingloba volti, vestiti, espressioni incuriosite e perplesse dei visitatori: “Sono delle spugne colorate. Tutto qua.”, si sente dire nei corridoi. Che sia un inganno, un raggiro, un bluff senza capo né coda?

Sorvolando sulle opere della serie “Banality”, “”Easy Fun“, Easy-Fun Ethereal”, “Made in Heaven” e “Statuary”, alcune opere della serie “Popeye”, fra cui Seal Walrus (Chairs) 2003-9, Seal Walrus (Trashcans) 2003 e Dogpool (Panties) 2003 si distinguono per l’ambiguità percettiva e, ancora una volta, concettuale, suggerendo compenetrazioni tra idea, forma e found object in un vortice di informazioni e “contro-informazioni” che hanno il potere di manipolare la mente dell’osservatore e trasformare l’infanzia (uno dei principali spunti creativi per l’artista, fondamentale anche per la serie “The New”) in un coacervo di sensazioni alle quali viene finalmente concesso il “permesso di uscire allo scoperto”.

Anche Hulk (Organ) 2004-14 e Liberty Bell 2006-14 fanno la differenza, nonostante I colori disneyani di Hulk: l’arte dovrebbe “comunicare senza aver bisogno di una spiegazione”, è vero, ma un’opera che riesce a ripercorrere le varie fasi del concetto di “machismo” a partire dalle divinità greche maschili fino ai personaggi dei cartoni animati che oggi affollano gli schermi televisivi ostentando pettinature fuori dal comune e poteri paranormali merita certamente di essere menzionata. Liberty Bell è un “ready-made alterato” elaborato a partire dall’originale (La Liberty Bell che si trova a Philadelphia): con quest’opera Jeff Koons, come nelle opere della sala “Antiquity”, delle quali si salva soltanto Balloon Venus (Orange), 2008-12, vuole evidentemente fare sfoggio delle sue capacità progettuali e dell’abilità di ricreare un oggetto artistico a partire da un oggetto preesistente contrapponendo, come nel caso della Venus (palese riferimento alla Venere di Willendorf), il significato originale ad una versione attualizzata di quel medesimo significato.

“Play-Doh”, grande (quasi) novità concepita per stupire, lascia senza parole in senso negativo per la mancanza di originalità (nonostante l’idea abbia tutto sommato del potenziale). Si presenta come una delle tante opere a cavallo fra pop art e iperrealismo: un’opera autoreferente che parla di ambizione e virtuosismo, entrambi ad ogni modo privi di un valido supporto contenutistico che invece si può riscontrare, con qualche sforzo, perfino nelle opere della serie “Inflatables”.

Ben riuscito il tentativo di mettere a confronto le varie personalità dell’artista che, pur essendo poliedrico, mantiene sempre uno stile e una filosofia di fondo e abbina, alle facoltà ipnotiche delle quali si avvale nei panni di salesman e business man, una notevole conoscenza sia delle intersezioni fra arte, tecnologia e advertisement che del fenomeno arte in generale.

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Deianira Tolema è nata a Salerno. Fin da bambina si è dedicata all’arte e alla poesia, facendo del disegno e della scrittura i suoi principali strumenti espressivi. Dal 2008 collabora con artisti, curatori e direttori editoriali occupandosi principalmente di testi e traduzioni. Attualmente vive e lavora fra Italia e Stati Uniti.

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