Il Caffè nelle Arti visive. Breve storia di tazzine, caffettiere e bevanda arabica nei capolavori degli artisti dal ‘700 ai giorni nostri

“La storia di una cultura è la storia di idee che entrano in azione”, indicò qualcuno (Ezra Pound); ebbene: la storia e la cultura che vogliamo raccontare è quella del Caffè, la nera bevanda che ha origini lontane e un poco incerte e che, entrata a far parte della tradizione italiana, diviene elemento della sua enogastronomia e dello stesso carattere nazionale. Un’idea che si concretizza e si espande, dunque, diventando anche un tema trattato dagli artisti nei secoli, raffigurato e usato nei quadri, reso nella scultura e motivo di performance e installazioni.

Abd el Kader, nel XVI secolo scrisse: “Come con arte va preparato così con arte va bevuto”.

Il caffè è divenuto simbolo, in qualche misura, dello scorrere degli anni:”Ho misurato la mia vita a cucchiaini di caffè” (Thomas Stearns Eliot), e, nel tempo, essenza della pausa nel rispetto di un elogio della lentezza; ma è anche emblema dell’energia, nonché della convivialità e del piacere della vita. E’ nei versi dei poeti, è nelle note dei compositori e dei musicisti (Johann Sebastian Bach scrive, nel 1734, “Cantata del Caffè”, e Bob Dylan “One More Cup Of Coffee”, solo per citare alcuni esempi); entra nel teatro: in “Questi fantasmi”, di Eduardo dè Filippo, che dice: “Quando morirò tu portami il caffè e vedrai che io resuscito come Lazzaro!”

E’ molto presente nei film: come non ricordare almeno Totò e Peppino ne “La banda degli onesti” (1956, di Camillo Mastrocinque,) in cui zucchero e caffè diventano metafora del capitalismo?

Se pure molto meno del tea, anche il caffè è ritratto in incisioni e quadri (per tacer della Fotografia). E’ nelle opere del fiammingo naturalizzato francese Jean-Baptiste Vanmour, che, a cavallo tra ‘600 e ‘700, ritrae la vita dell’impero ottomano che profumava di caffè bollente e conversazioni femminili; o del parigino François Boucher, con i suoi caffè mondani e regali; o del veneziano Pietro Longhi, considerabile il Molière o il Goldoni della pittura di genere, della mondanità e quotidianità del ‘700, che realizzò tazzine di nera bevanda a far da comprimarie e una famosa “La lezione di geografia” (1752) allietata da un’imminente sosta-caffè d’annata.

Per una serena digestione il caffè non può mancare: entra all’ombra di un graticcio nel 1868, ovvero nel celebre “Un dopo pranzo”, noto come “Il pergolato (Milano, Pinacoteca di Brera) dipinto dal macchiaiolo Silvestro Lega. E’ anche in alcune opere di Manet e “Alla fine della colazione” dell’altro francese, l’impressionista Pierre-Auguste Renoir, così cme nelle tante belle “Nature morte con caffettiera” di Van Gogh, Pisarro e Cezanne: quest’ultimo, per esempio, esegue anche una “Donna con caffettiera”, fra il 1890 e il 1895, nei toni dell’azzurro.

Se lo svedese Jakob Kulle realizza un interno domestico con due donne intente a consumare il rito del caffè (1876) in una chiave realistica, l’Art Nouveau ci lascia intravedere il risvolto elegante e sensuale di quella stessa quotidianità. Insieme ai Cafè Chantant della scena artistica e intellettuale bohemien, fermata nella reclame e nelle opere di Toulouse Lautrec, ci dà, infatti, manifesti di gentile bellezza come quelli di Henri Meunier e un capolavoro di Alfons Mucha – “Prima colazione – dove il fumo dalla tazzina di caffè avvolge sinuoso una donna seduta e le sale intorno, a creare una decorazione tipicamente Liberty. Simili linee raffinate sono rintracciabili nei manifesti dei belgi Fernand Toussaint – per il Cafè Jacqmotte – e Henri Privat Livemont – per il Cafe Rajah (1899) – nonché nelle più geometriche affiches dei vari Charles Loupot (Cafe Martin, 1929) e degli altri “moschettieri” Cassandre, Paul Colin e Jean Carlu così come di alcuni straordinari disegnatori pubblicitari italiani del calibro di Boccasile (Caffè Breda; Moretto), Mauzan e Cappiello (Café Martin, 1921; Caffè Victoria Arduino,1922).

Anche le Avanguardie trattarono il tema: lo fece l’espressionista Ernst Ludwig Kirchner, con la sua pittura tagliente, e Giacomo Balla in un suo autoritratto in cui sta per gustare il proprio caffè e a cui dà il nome – molto futurista – di “autocaffè” (Museo degli Uffizi di Firenze).

Saltando qualche decennio, ecco Edward Hopper che con la sua “Automat” (1927), che raffigura una giovane donna che gusta il proprio caffè immersa fra i pensieri e quella solitudine tipica della provincia americana e dei grandi spazi della sua modernità. Modernissima è anche la visione di Meret Oppenheim che ci consegna una tazzina… di pelliccia (1936), dunque inservibile al suo scopo quotidiano.

Questa breve carrellata, che si arricchisce di altri contributi, autori e aneddoti, è solo una delle panoramiche possibili su una bevanda che vede ancora oggi grandi brand della torrefazione affiancati a piccole aziende nazionali che ci continuano a offrire, con i neri, profumati chicchi di caffè, un rito collettivo che è diventata italianissima tradizione.

  • Imminente una nuova serie di Conversazioni ad Arte sul tema:
  • Il Caffè nelle Arti visive. Breve storia di tazzine, caffettiere e bevanda arabica nei capolavori degli artisti dal ‘700 ai giorni nostri.
  • A cura di Barbara Martusciello
  • in collaborazione con Rotarian Gourmet.
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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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