Il Sud Est Asiatico a Parigi. Se noi non andiamo a Singapore, Singapore viene da noi.

Da un po’ di tempo covo l’idea di andare a Singapore. Intanto però sono andata a Parigi. E invece di intrattenermi in conversazioni dalle r rotanti con artisti dal baffetto, basco rosso e maglietta a righe (e baguette sotto al braccio, e fazzoletto intorno al collo, e Tour Eiffel alle spalle…), ho finito per saltare da un caffè all’altro in compagnia di singaporiani ed indonesiani, ho vagato per padiglioni dedicati ad artisti birmani e tailandesi. Nessun paradosso culturale, se si pensa che l’Art Paris Art Fair, fiera che quest’anno ha spento tre candeline, era tutta dedicata a Singapore e al sud est asiatico, complice la ricorrenza dei cinquant’anni di legami diplomatici tra Singapore e Francia.

Sud est asiatico ma non solo. Le 145 gallerie presenti negli stand sotto l’alto soffitto vetrato del Grand Palais provenivano da una ventina di paesi diversi, facendo della fiera un’unica occasione di confronto. Non a caso Art Paris continua a distinguersi come la fiera che porta in rilievo le realtà artistiche considerate marginali fino ad una decina di anni fa, ma che ora si avviano ad occupare un posto di rilievo nella scena artistica internazionale.

Art Paris ha inaugurato in gran stile a fine maggio in concomitanza con la grande esposizione Secret Archipelago al Palais de Tokyo, sempre incentrata sul sud est asiatico e visitabile fino al 17 maggio. La ciliegina sulla torta per chi si trovasse a zonzo per la Ville Lumière è la più contenuta, ma altrettanto interessante: mostra di foto video arte indonesiana alla galleria Vanessa Quang chiamata No Worries: Halal.

Oramai si sa, se le fiere si limitassero a fare le fiere, il Gran Palais sarebbe una filiale di Carrefour. Fortunatamente, la tendenza (a beneficio di noialtri che contiamo sulle dita quando ci danno il resto in salumeria) è quella di unire un forte aspetto curatoriale alle esigenze del mercato. Infatti, sotto l’egida della curatrice Iola Lenzi, esperta di arte contemporanea dal sud est asiatico, Art Paris si è articolata in una serie di appuntamenti volti a diffondere la conoscenza dell’arte contemporanea asiatica, tra cui degli screening di videoarte.

L’aspetto principale che la curatrice ha messo in risalto nella scelta dei video è un eclettismo che tradisce la natura variegata e fluida della regione sud est asiatica. Molto più di un pugno di terra e isole tra India e Cina, il sud est asiatico e i suoi artisti hanno un approccio all’arte contemporanea originalissimo, marcato da un implicito impegno sociale e comunitario. Tematiche relative al postcolonialismo e alla storia recente dei diversi paesi emergono inevitabilmente nelle opere di questi artisti, sublimati da un certo concettualismo, spirito contestatario e da uno stile spesso narrativo.

Alle proiezioni si è aggiunta una conferenza, moderata dal gallerista Benjamin Hampe, che ha visto dialogare la Lenzi con altri protagonisti della scena artistica a Singapore. La conferenza ha introdotto il pubblico francese agli aspetti peculiari di questa città-stato, che sempre di più si sta imponendo come un punto di snodo per l’arte contemporanea. Da sempre un porto di mare, nel miglior senso del termine, luogo di scambio non solo di merci, ma anche di idee e stili di vita. Proprio per questo, piuttosto che emergere con una propria identità identificabile, Singapore e la sua scena artistica si stanno piuttosto ponendo come il luogo di incontro delle istanze del sud est asiatico.

Il maggiore punto di forza della cosiddetta “città del leone” è senz’altro costituito dagli investimenti governativi per lo sviluppo dell’arte contemporanea. Il nuovo museo nazionale, progettato da Jean-François Milou, è il più recente emblema di questo impegno.

Come ha ricordato Emi Eu, direttore del Singapore Tyler Print Institute e dell’Associazione delle gallerie di Singapore, il paese ad oggi conta ben 450 gallerie d’arte, molte delle quali sono nate solo negli ultimi cinque anni. Ma recentissima non è solo la presenza di gallerie ed istituzioni. Anche per quanto riguarda lo sviluppo di quello che chiamiamo arte contemporanea, l’emergenza di Singapore risale a non più tardi degli anni ’80 (nelle regioni circostanti, in Indonesia per esempio, questa si è sviluppata dieci anni prima). Questa crescita vertiginosa ha fatto si che i cambiamenti sviluppatosi in occidente a cavallo di diversi decenni, nel sud est asiatico hanno avuto luogo nell’arco di una manciata d’anni.

Se Singapore mi è stata descritta più volte come una sorta di Svizzera dal cioccolato meno gustoso, il gallerista Frédéric de Senarclens, il quale proprio dalla terra dei quattro cantoni si è trasferito in Asia con tanto di galleria, ha respinto questa definizione. Il direttore di Art Plural Gallery considera infatti il mercato asiatico come assai più instabile rispetto a quello europeo, situazione inevitabile in relazione ai velocissimi sviluppi della scena artistica. Questa situazione rende più difficile ogni previsione di mercato, in una scena già di per sé molto competitiva.

Interpellato rispetto ai compratori d’arte, il gallerista li individua come appartenenti tanto alle famiglie singaporiane locali, alcune delle quali, di origini cinesi, sono stati collezionisti da generazioni, tanto agli espatriati. Oltretutto, sebbene tra sud est asiatico, la Cina e l’India, si aggirino figure dotati di pingui portafogli, non vuol dire che automaticamente sia presente una base stabile e affidabile di collezionisti. Proprio per questo Art Plural gallery non fa affidamento esclusivamente al mercato locale singaporiano, ma estende la propria presa al sud est asiatico, l’Australia e Hong Kong. Per Frédéric de Senarclens, così come per altre gallerie singaporiane fondate da europei, Art Paris è stata una vetrina per recuperare la propria influenza in Francia e ravvivare il contatto con il collezionismo europeo.

Altre gallerie nate a Singapore hanno partecipato alla fiera in un’altra ottica, principalmente quella di introdurre ad un pubblico francese talentuosi artisti asiatici. Element Art Space, uno spazio nato sotto l’egida del celebre gallerista Chua Soobin e oggi diretto da Aniela Rahardja, ha presentato al pubblico francese una rosa di artisti indonesiani tra cui Eddie Hara, Inge Rijianto e Leila Azra. La galleria pop-up Intersection Gallery, diretta da Louise Martin e Marie Pierre Mol, ha invece portato alla fruizione francese artisti sigaporiani e birmani, promuovendo un dialogo tra culture. Ed è proprio questa idea di contaminazione ed apertura verso una regione del mondo sempre più ribollente artisticamente, quello che risuonerà ancora a lungo dopo questa fiera. Come a dire; se noi non andiamo a Singapore, Singapore viene da noi.

Naima Morelli è l’autrice di Arte Contemporanea in Indonesia, un’introduzione, un libro che racconta lo sviluppo dell’arte in Indonesia rispetto al proprio contesto culturale, sociale e politico. Il libro è acquistabile online. Ulteriori informazioni sul sito personale dell’autrice (link: http://www.naimamorelli.com/arteindonesia/)

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Naima Morelli è una critica e giornalista specializzata in arte contemporanea nel Sudest Asiatico e Medioriente, ed è un'autrice di graphic novel. Scrive regolarmente per Middle East Monitor, Middle East Eye, CoBo, ArtsHub, Art Monthly Australia e altri. Collabora con gallerie asiatiche come Richard Koh Fine Arts, Lawangwangi Creative Space, Tang Contemporary con testi critici e come liason tra Italia e Sudest Asiatico. E’ autrice di due libri-reportage intitolati “Arte Contemporanea in Indonesia, un’introduzione” e “The Singapore Series”. Sotto lo pseudonimo “Red Naima” ha pubblicato le graphic novel “Vince Chi Dimentica”, incentrato sulle tensioni artistiche di inizio ‘900, e “Fronn ‘e Limon”, realismo magico all’italiana.

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