Riempire la testa e sciogliere la mano. Intervista ad Andrea Serio

Di solito i disegnatori si dividono tra quelli che prediligono ritrarre volti e sembianze umane, e quelli che si votano a scenari naturali e visioni architettoniche. Due tipi di sensibilità diverse corrispondono anche a due visioni del mondo. Eppure, sotto le morbide matite dell’illustratore e fumettista Andrea Serio, il volto si fa paesaggio, e il paesaggio assume connotati umani.

Lo abbiamo visto nel suo artbook Seriously, edito da Spaceman Project l’anno scorso, e ne troviamo la conferma nella graphic novel Rapsodia in Blu, uscita per Oblomov edizioni a fine 2019. Questa è la seconda graphic novel per Andrea Serio (dopo Nausicaa, l’altra Odissea con Bepi Vigna), la prima da autore unico.

Un silenzio pieno di vitalità pervade le immagini create dall’artista.

Per questa ragione Igort, direttore di Oblomov e fumettista di promozioni enormi, ha deciso di rivolgersi al lui per interpretare graficamente il romanzo storico di Silvia Cuttin Ci sarebbe bastato.
Nel coinvolgere Andrea Serio nel progetto di Rapsodia in Blu, Igort ha confidato nella sua capacità alchemica: “Limitati a raccontare i fatti, sii secco nello sguardo, tanto il tuo disegno è lirico anche se fai un sasso”.
Un po’ come Mina, di cui si diceva che poteva anche cantare persino l’elenco telefonico.

E in effetti, qualsiasi immagine toccata dallo sguardo di Re Mida dell’artista, che sia una copertina per Einaudi o un David Bowie per la rivista Linus, diventa magnetica. Influenza lo sguardo dell’osservatore, gli restituisce una visione della realtà più poetica, scomposta in maniera quasi divisionista.

Vorrei cominciare chiedendoti dei tuoi splendidi paesaggi mediterranei, che ritroviamo anche nelle prime e nelle ultime pagine di Rapsodia in Blu. Che rapporto hai sviluppato nel tempo con questo tipo di scenari naturali?

Ho iniziato a ritrarre l’ambientazione mediterranea alcuni anni fa, dopo aver visitato la Francia Meridionale, in particolare la Costa Azzurra, sulle orme di alcuni artisti che amo molto, come Bonnard e Sorolla.

È un genere di paesaggio che mi piace per la sua varietà: vegetazione e conformazione della costa possono cambiare molto da una zona all’altra e l’illuminazione mediterranea, calda e potente, offre sempre nuovi spunti per chi è interessato ai contrasti forti di colore e di luce.

Rapsodia in Blu è un adattamento del romanzo di Silvia Cuttin Ci sarebbe bastato. Come hai trasformato la narrazione in immagini? Hai creato una sceneggiatura o sei partito direttamente con lo storyboard?

Il romanzo di Silvia è frutto di una lunga e accurata documentazione e contiene quindi molti dettagli utili alla ricostruzione degli eventi, dei luoghi e dei personaggi. Già durante la prima lettura, alcune immagini si sono delineate molto chiaramente nella mia mente: sono partito da quelle, prima ancora di pensare alla scrittura.

Una volta fissate sulla carta, sono state i punti fermi attraverso i quali la storia sarebbe dovuta passare. Successivamente ho progettato la struttura narrativa, che ho scomposto e rimontato perché non seguisse un ordine cronologico lineare; poi ho disegnato lo storyboard e contemporaneamente ho scritto i dialoghi.

Da illustratore che si cimenta nel fumetto, quali sono stati i passaggi più ardui da affrontare?

Illustrazione e fumetto hanno regole e peculiarità differenti, non è semplice passare da una all’altro. Questo passaggio, in Rapsodia in blu, non l’ho compiuto del tutto, restando un po’ a cavallo tra i due linguaggi. Altro ostacolo sono state le tempistiche: un illustratore solitamente dev’essere veloce, il disegno viene ideato, realizzato e consegnato nel giro di pochi giorni, per poi passare al progetto successivo.

Un fumetto di centinaia di pagine ha tempi molto diversi: Rapsodia mi ha tenuto impegnato per quasi tre anni, durante i quali ho dovuto diradare la mia attività da illustratore, ho sospeso e ripreso il lavoro diverse volte, cambiando spesso idea sul modo di procedere. Distribuire le energie e mantenere alta la concentrazione è stato difficile.

La proposta per l’adattamento di Ci sarebbe bastato è venuta da Igort. Cos’è secondo te che Igort ha visto nel tuo stile che si sarebbe prestato bene a raccontare questa storia in particolare?

Io credo che Igort cercasse un disegnatore di paesaggio e, per mia fortuna, non ce ne sono moltissimi in circolazione. Probabilmente ha immaginato che l’atmosfera sospesa e malinconica che spesso emerge dai miei disegni avrebbe potuto adattarsi bene alla narrazione della vita di Andrea Goldstein.

Igort mi ha lasciato grande libertà d’azione e gli sono molto grato per la fiducia che mi ha concesso. Il suo primo consiglio è stato: “Limitati a raccontare i fatti, sii secco nello sguardo, tanto il tuo disegno è lirico anche se fai un sasso”.

In che momento del lavoro c’è stato un confronto, con Igort o altre persone che ti hanno dato dei feedback?

Il confronto è avvenuto a metà della lavorazione. Fino a quel momento le cose procedevano molto lentamente; inizialmente avevo rinunciato a uno storyboard, sopravvalutando le mie doti d’improvvisazione, ma dopo circa un anno iniziavo ad avere l’impressione di essermi perso.

Gli interventi provvidenziali della editor Orsola Mattioli e di Igort hanno dato una forma più ragionata e ragionevole al lavoro, permettendomi di ritrovare il bandolo della matassa e superare quel blocco. Le ultime 40 tavole le ho disegnate in meno di due mesi: ancora adesso, se ci penso, mi sembra impossibile.

Il tuo stile è molto cambiato da Nausicaa, L’Altra Odissea al quale hai lavorato su sceneggiatura Bepi Vigna. Riguardando quel lavoro del 2012, cosa è cambiato in termini dell’approccio visivo?

Direi che sono diventato un disegnatore adulto. Oltre che prima prova nel fumetto professionale e dura palestra, Nausicaa è stata per me il punto conclusivo del mio apprendistato alla scuola di Lorenzo Mattotti; da lì in avanti ho intrapreso un percorso di smarcamento e maturazione che mi ha portato alla conquista di un segno più personale.

Per questo motivo (Bepi lo sa e non me ne vorrà) guardo a quel libro, cui sono affezionato comunque e al quale devo molto, come se non mi appartenesse (più) completamente.

Due medium paralleli informano il tuo linguaggio: la Pittura e il Cinema. Nel tuo assorbire influenze, lasci che queste siano casuali, o segui dei filoni in maniera più metodica?

Nulla nel mio modo di lavorare può essere definito metodico. Procedo in modo disordinato e faccio un certo affidamento sulla casualità. Pittura e Cinema sono sicuramente due universi ai quali attingo a piene mani; a questi vorrei aggiungere la letteratura, che per me è sempre stata grande fonte d’ispirazione. E la musica, che ascolto continuamente, grandissima evocatrice di atmosfere e di immagini.

Come hai ricercato, utilizzato e gestito le references per il periodo storico e le atmosfere di questo volume?

La storia di Rapsodia in blu attraversa un periodo storico ben definito e lo scenario in cui si svolge cambia nell’arco di poche pagine: l’Atlantico, l’Istria, Trieste, New York, Napoli, la Toscana, l’Appennino tosco-emiliano.

Ho cercato di rendere credibile la messa in scena, documentandomi sui luoghi, ricreando l’aspetto che potevano avere in quegli anni, setacciando libri e siti fotografici, guardando documentari, filmati d’epoca, ascoltando e trascrivendo interviste. Per quanto riguarda le atmosfere, mi sono ispirato in modo particolare alla pittura di Hopper e di Turner e al cinema di Rossellini e Malick.”

Hai dedicato un libro uscito con Topipittori al disegno En Plein Air, e troviamo online diverse pagine tratte dai tuoi Moleskine. Qual è l’importanza di portarsi con sé un taccuino di schizzi?

Credo sia molto utile, infatti lo consiglio anche ai miei allievi; io, a dire il vero, esco poco e, quando lo faccio, raramente ho l’abitudine di disegnare. Mi capita invece di decidere di recarmi appositamente in alcuni luoghi, dove so che troverò soggetti interessanti; in quei casi mi attrezzo con un quaderno e un paio di pastelli e mi diverto a fare qualche sketch veloce, solitamente in bianco e nero.

È un momento di relax, in cui il disegno torna ad essere soprattutto uno svago, ma che si rivela anche esercizio importantissimo, che regala nuova linfa vitale a tutto il mio lavoro.

Durante il lockdown è uscita una tua bellissima illustrazione per Robinson che ben immortala questo momento storico. Per un artista che ha fatto della luce e dei silenzi il proprio tratto caratteristico, hai avuto modo di trovare nuove profondità e nuovi orizzonti con questa quarantena?

Non ho percepito cambiamenti significativi, forse proprio perchè, come tu dici, il silenzio e la solitudine sono già tratti tipici delle mie illustrazioni. In questo mestiere, poi, si è abituati al distanziamento sociale, spesso si è costretti a lunghi periodi di isolamento; da questo punto di vista credo che la nostra categoria si possa definire privilegiata, allenata molto più di altre alla clausura e ai limiti imposti dagli spazi domestici, che di solito coincidono con quelli lavorativi.

Sapendoti anche docente alla Scuola Internazionale di Comics, potresti dare un compito a casa ai nostri lettori aspiranti fumettisti e illustratori, in tempo di distanzialemento sociale?

Consiglierei loro di approfittare di questa sospensione temporale per fare tutte quelle cose indispensabili a chi vuole lavorare con le immagini, ma che richiedono tempo: leggere, guardare film, studiare i Maestri, ad esempio. E poi allenarsi nella tecnica. Riempire la testa e sciogliere la mano, insomma. Credo sia saggio programmare le prossime mosse e non farsi trovare troppo impreparati, per quando le cose dovessero tornare normali (o anormali, secondo i punti di vista).

A cosa stai lavorando in questo momento?

A tante cose, per fortuna. Sto disegnando molte copertine di libri di narrativa, per vari editori, e sto terminando proprio in questi giorni le illustrazioni per un libro per ragazzi che dovrebbe uscire in Francia poco prima di Natale.

Nonostante i miei giuramenti, tornerò a lavorare a un fumetto: ho un paio di progetti in cantiere, uno dei quali ancora per le Operose Officine Oblomov, stavolta su una sceneggiatura non mia, scritta da un autore d’eccezione il cui nome non posso ancora rivelare.

Andrea Serio ha appena pubblicato con la casa editrice francese Seuil Jeunesse il suo nuovo lavoro “L’Epouse de Laque”, una favola giapponese con i testi di Anne Jonas.

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Naima Morelli è una critica e giornalista specializzata in arte contemporanea nel Sudest Asiatico e Medioriente, ed è un'autrice di graphic novel. Scrive regolarmente per Middle East Monitor, Middle East Eye, CoBo, ArtsHub, Art Monthly Australia e altri. Collabora con gallerie asiatiche come Richard Koh Fine Arts, Lawangwangi Creative Space, Tang Contemporary con testi critici e come liason tra Italia e Sudest Asiatico. E’ autrice di due libri-reportage intitolati “Arte Contemporanea in Indonesia, un’introduzione” e “The Singapore Series”. Sotto lo pseudonimo “Red Naima” ha pubblicato le graphic novel “Vince Chi Dimentica”, incentrato sulle tensioni artistiche di inizio ‘900, e “Fronn ‘e Limon”, realismo magico all’italiana.

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