Flavio Favelli, Palmira, il tonno, Iglesias, l’ISIS e una buona Scuola ma davvero

Flavio Favelliper Scuola Civica d'Arte Contemporanea, Mercato Civico, Iglesias, luglio 2015.

Che succede alla Scuola Civica d’Arte Contemporanea di Iglesias?  Cosa è avvenuto, in questa buona Scuola, ma buona davvero? Che Flavio Favelli, Visiting Professor in Residenza nel mese di luglio, ha realizzato, con la collaborazione degli studenti del Summer Program della stessa realtà sarda, Palmira – Fatto come piace a noi italiani, un Wall Painting di metri 2,20 x 24 al Mercato Civico, lato via Oristano, Iglesias (CI).

Prima di tutto: cosa è la Scuola Civica d’Arte Contemporanea? Ce lo chiariscono Eleonora Di Marino e Pino Giampà, che con Roberto Casti, Riccardo Oi e Davide Porcedda, fanno parte del collettivo Giuseppefraugallery di Normann: nucleo di artisti e operatori di settore, ma anche spazio espositivo, realtà movimentista e sperimentale del territorio e fuori dai soli gangli locali con base nell’ex villaggetto minerario sopra Iglesias, a due passi da Carbonia…

“La Scuola è un’opera d’arte pubblica e sociale del collettivo giuseppefraugallery realizzata, con la collaborazione del Comune di Iglesias, con la mission di informare, formare e aggiornare la comunità sui linguaggi, i codici espressivi, le opere, gli artisti e le dinamiche proprie dell’arte contemporanea.”

Quindi è anche una specie di Scuola: pubblica o privata?

“E’ totalmente gratuita, non riceve finanziamenti pubblici, si occupa di ricerca e formazione attraverso una serie di corsi trimestrali articolati su tre livelli, con docenti e relatori di primissimo piano nel panorama dell’arte contemporanea regionale, nazionale ed internazionale, organizzando, a cadenza mensile, incontri con la comunità, elaborando progetti d’arte pubblica e sociale, contribuendo a disegnare il futuro del territorio più povero d’Italia, ospitando in residenza alcuni tra i più importanti artisti contemporanei.

La Scuola, così come la giuseppefraugallery sono quindi realtà completamente autonome, autosostenute, che, infatti, si sono assunte il carico economico anche della realizzazione dell’opera dell’artista ospitato, che ha creato un lavoro di grande potenza anche politica, come si conviene alla vis artistica e concettuale che emerge nelle due entità sarde.

Favelli ha giocato sul logo di un noto tonno industriale cambiando una sola lettera: una minima modifica e il lemma si trasforma in “Palmira”, con chiaro riferimento alla città siriana e alla mattanza – e ancora il tonno ritorna ad essere citato – compiuta tra le sue mura da parte dei miliziani dell’ISIS. Un sito dichiarato Patrimonio dell’Umanità che è stato “fatto come piace a noi italiani”, per tornare allo slogan che accompagna il prodotto in scatola, oggi a rischio anche a causa di vergognosi commerci internazionali da parte di committenti e collezionisti, pure stranieri, disposti a tutto – anche di sovvenzionare i terroristi – pur di aggiudicarsi pezzi di beni artistico-archeologici di tale bellezza e rilevanza anche economica… Ma questa è un’altra (oscura e ancora poco approfondita) storia… mentre quella che stiamo raccontando ci dice che, tra l’altro, da decenni non avveniva che un artista di chiara fama realizzasse un’opera nella città di Iglesias.

Prosegue Giampà:

“Sì, dal 1950, per l’esattezza. All’epoca, Aligi Sassu dipingeva un murales sul tema della miniera, un lavoro importante ma in netto ritardo con le vicende che in quegli anni si riconoscevano nell’Arte Informale. Oggi Flavio Favelli, oltre ad essere uno degli artisti italiani di maggior spessore a livello internazionale, porta avanti una ricerca perfettamente inserita nei linguaggi più attuali dell’arte contemporanea.”

Molti altri i richiami alla cecità politica, oltre che alla terra sarda e alle sue criticità: Favelli, infatti, senza cadere nel didascalico ricorda anche la miserevole vicenda dell’operazione della multinazionale che comprò il  famoso marchio e poi chiuse lo stabilimento sardo, lasciando senza lavoro centinaia di persone; non solo: adottando la parete del Mercato Civico (anch’esso “fatto come piace a noi italiani”, per la precisione da Ettore Sottsass) l’artista sposa la causa della valorizzazione del Centro Commerciale Naturale, costantemente messo a dura prova dai Centri Commerciali.

Specifica Di Marino:

“Sicuramente ci sono altri livelli di lettura e di significato, in ogni caso l’intento dell’artista non va rintracciato in una sterile provocazione, ma in un invito alla riflessione, sopratutto in un territorio in cui il rapporto tra il logo e la scritta sul muro può essere interpretata anche letteralmente, non solo perché ad alcuni mancano gli strumenti necessari per fruire pienamente di un’opera d’arte contemporanea: a pochi Km (Domusnovas) c’è una fabbrica che ha prodotto e venduto le bombe che stanno seminando morte e distruzione nello Yemen. Del resto Favelli è diventato uno degli artisti italiani di maggior rilevanza a livello internazionale (sono già due le Biennali di Venezia a cui è stato invitato), proprio perché riesce a creare cortocircuiti tra le immagini di largo consumo e le cronache della storia.”

Come è nata l’idea di usare tale luogo e in esso proprio quel muro, ammalorato,  gravemente compromesso?

“L’amministrazione aveva dato all’artista la libera scelta su dove realizzare l’opera. E lui ha individuato il muro, da risanare e valorizzare.”

Domandiamo: quale è stata l’accoglienza della collettività per quest’opera?

“L’operazione è stata accolta con favore ed entusiasmo dal consorzio degli operatori del Mercato Civico, attivando con l’Amministrazione Comunale e la Scuola Civica d’Arte Contemporanea un processo che dovrebbe portare a ripensare tutto l’edificio come contenitore di opere realizzate site specific da grandi artisti”.

Sul territorio, dopo l’Imaginary Museum (esperienza utopica ma non distopica che ha visto chi scrive impegnata nella sua teorizzazione e formalizzazione), il Rockbus Museum (ignobilmente snaturato da accadimenti e situazioni altre e ora finalmente in rottamazione), il Territorium Art Museu e questa Scuola Civica, il collettivo riuscirà a far nascere un vero e proprio Mercato Civico dell’Arte Contemporanea?

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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