Isolario arabo medievale. Le 87 isole fantastiche di Angelo Arioli che pian piano diventano realtà.

Tabula Rogeriana

87 isole richiedono un viaggio così lungo che deve solcare i secoli tra il IX e il XV. Perché le 87 isole che Angelo Arioli ci propone nel suo Isolario arabo medievale (Adelphi, 2015, € 22,00) sono narrate da viaggiatori di ogni sorta.

Viaggiatori di terra, di miti, di biblioteche, di mare, di realtà che cominciano con “l’improbabile mercante Sulaymān” che scrive intorno all’851 per giungere al XV secolo di  Ibn Al-Wardī, bollato dall’accademia come uno scopiazzatore, ma poi onorato da parecchia, non coerente, attenzione da molti arabisti.

Insomma, un viaggio lunghissimo che l’autore apre e chiude prendendosi un po’ gioco di quello che spesso è un ignorante topos dell’antropologia – o dell’etologia se si preferisce – occidentale e cioè il carattere un po’ opaco, sornione, addirittura truffaldino dei viaggiatori arabi, persiani, diciamolo: musulmani.

Ma in mezzo si affacciano figure che con la loro autorevolezza confermano che lungo tutto l’arco del Medioevo la scienza parlava inesorabilmente arabo e quando ricominciò a parlare anche il greco dovette esserne grata all’acribia dei traduttori arabi. Ecco che compare allora, come esempio,  Al-Idrīsī, il grande geografo che alla corte palermitana di Ruggero II compilò nel 1154 la Tabula Rogeriana, una delle più precise mappe geografiche del Medioevo, e il Libro di Ruggero un testo ancora oggi denso di indicazioni preziose e utilissime che vanno dalla descrizione delle più imponenti rocche dell’Appennino abruzzese a quella attenta e precisa della Gerusalemme crociata che lo studioso viaggiatore tuttavia non visitò ma che narrò con perfetta verosimiglianza degli spazi urbani e dei connotati reali compendiando accurati resoconti di viaggio che circolavano nella corte siciliana e che, ben più tardi, sarebbero serviti anche a Petrarca per il suo inedito Itinerarium ad sepulcrun Domini.

Arioli volutamente offre al lettore non filologo una navigazione fuori dal pericolo di venti troppo eruditi da leggere in bolina, ma ci obbliga, anzi ci invoglia, a compiere un viaggio salmastro dentro il suo libro perché appena letto il racconto di un’isola subito si corre, per non dimenticare ciò che quelle parole hanno disegnato nel nostro sguardo, a vedere se quell’isola nella realtà esiste, chi altri ne parla, dove punteremmo il dito su un planisferio, un libro o un portolano che davvero bisognerebbe avere accanto.

E questo continuo rimando crea un’enorme rete di apporti culturali, visivi, letterari, artistici e geografici che travalicano il libro, esondano dalle sue pagine e ci pongono dentro i nodi della storiografia.

Dopo aver letto l’Isolario e averne subito la fascinazione, aver girato per isole che tuttavia non ci concedono troppo il vagheggiamento, perché quelle isole le avvistiamo nella loro, seppur lontanissima, realtà, proprio come quando si avvistano all’alba e tra le nebbie del mattino, terre realissime. Ecco, dopo averlo letto ci sentiamo ben saldi sulla terraferma come saldi ma con una ben diversa apertura verso il mare ci si sente quando si leggono pagine come quelle di Roberto Sabatino Lopez a nel suo La Nascita dell’Europa.

Il grande storico passava la mano della sua profondissima ricerca per cancellare l’idea stessa dell’eurocentrismo. Quella terra, quella cultura era stata solo una delle molte possibile e molte sincrone tra loro e proprio in questo risiedeva la sua importanza, al pari del medioevo cinese o giapponese o di molte altre parti del globo terracqueo con cui il medioevo europeo aveva intrattenuto rapporti consapevoli e fecondi.

Così leggere l’Isolario è capire quanto la cultura non sia che un andare, un incrociarsi di rotte, una rete fitta di navigazioni, di racconti di viaggio, dati scientifici, scambi di immaginari e piani simbolici che cominciano sempre con il lato più fantasioso ma che poi, pian piano diventano realtà.

Una realtà che se non è dato scientificamente provato, è l’incrocio di un asse cartesiano che costruisce e identifica un dato culturale o iconografico comune a tutto il mondo e proprio per questo assodato. Un esempio è nelle famose isole Wāq Wāq, chissà in quale piega dell’Oceano indiano nascoste, ma certo luogo dove nasce un albero dai frutti antropomorfi  che gridano “wāq wāq!” e di cui raccontano poeti cinesi dell’VIII secolo, ma anche marinai persiani e arabi e poi Firdousī, il più grande  poeta epico della Persia medievale, all’inizio dell’XI secolo parlando di Alessandro Magno che in quei frutti, appena un po’ mutati, si imbatté in India.

Ma in mezzo, questa volta per figura, bisogna citare certi tralci zoomorfi della cultura beneventana del IX secolo, per poi andare, già nel XIII secolo, nei breviari miniati della Germania renana e finire nel racconto di viaggio di Odorico da Pordenone, un francescano partito nel 1318 come missionario che attraversò l’Europa e l’Asia, a Thana si imbarcò auspicando i venti gettando in mare le ossa di confratelli lì martirizzati e fu infine ricevuto da Yesün Temür Khan, pronipote di Kublai Khan, che da bimbo aveva conosciuto Marco Polo.  Attenzione a non perdersi!

Ma si potrà anche opporre che viaggiatori, accompagnati da un dio o dalle merci, e artisti si sa bene quanto siano simili in tutto il mondo per millanteria e potere immaginifico. Allora guardiamo ai più attendibili scienziati e mettiamo in contatto Al-Idrīsī  con uno dei grandi scienziati della modernità e cioè Jean-Baptiste Lamarck.

Entrambi vengono catturati dalle nubi e il più antico narra di un’”Isola delle nubi”, forse incerta nella sua latitudine e longitudine, ma certamente luogo scientifico dove si formano le trombe marine: una sottile lunga lingua esce a congiungersi con l’acqua del mare facendola ribollire e agitare al pari di tremenda tempesta. Ma poi le nubi si alzano e viene giù la pioggia. Che le nubi prendano acqua dal mare, come sia, non si sa.

L’attenzione del geografo-scienziato di Ceuta  per le nubi e i loro fenomeni sembra davvero quella che appassionò il grande “collega” francese alcuni secoli dopo, quando nel 1774, lesse la memoria sulla meteorologia all’Académie des Sciences in cui veniva redatta per la prima volta una catalogazione delle nuvole, anche le più apparentemente fantastiche e al nostro sguardo meravigliose, e che così cominciava: Diamo il nome di nuvole a vapori acquei sospesi all’interno dell’atmosfera e che offuscano la sua trasparenza.

Ora che ci arrivano in quantità fotografie scattate dalla stazione spaziale e una fra queste ci mostra i riflessi argentei della luna sul mare lontanissimo e ciò che quella luce, così epica, mostra e evidenzia, le pagine di Isolario sembrano simili a quella foto:  è vero che ideale di tanta arte è potersi costruire con materiale scientificamente autentico, ma poco importa stabilire cosa esattamente e scientificamente determini l’incanto dell’osservatore, così come, seguendo Arioli, poco interesserà al lettore non filologo se sia l’Isola della Luna o le Comore, il fatto vero è che a guardare quel mare si viene perdutamente affascinati.

+ ARTICOLI

Michela Becchis è Storica e Critica dell’arte. Ha insegnato nelle Università dell’Aquila e di Chieti, all’Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa” di Napoli e ha collaborato con l’Istituto Universitario di Fiesole. Ha curato mostre e divide i suoi studi fra l’arte medievale (“Capolavori della terra di mezzo”, cat. della mostra, arte’m, 2012; “Pietro Lorenzetti”, Silvana editoriale, 2012) e quella contemporanea e relativamentea questo settore dirige la collana TAC-Tomografie di Arte Contemporanea per la casa editrice Exòrma; in entrambi i casi rivolge il suo particolare interesse al rapporto tra arte e storia e alla circolazione dei modelli figurativi e linguistici.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.