Ego, ergo sum… L’Ego, Io, miti e Narcisi nell’Arte visiva

EGO, dal Latino Io, corrispondente a “se stesso”, è indicato in psicanalisi e in psicologia come la consapevolezza di sé, della propria identità. Rappresenta una struttura psichica – organizzata e relativamente stabile – delegata alla contiguità e ai rapporti con la realtà, sia interna che esterna.

Come in molti sanno, la mitologia, che ha un racconto per ogni elemento e personaggio dell’Olimpo e della Terra in forma di simbologia, ne ha una anche per Ego (Io), la bella figlia di una ninfa e di un re, nonché sacerdotessa di Era – corrispondente alla romana Giunone- la moglie paziente ma vendicativa di Zeus/Giove. Immancabilmente, questo incontenibile dio fedifrago desiderò a tal punto la giovane che, pur di averla, e in spregio al rischio di scatenar l’ira della moglie, la sedusse con l’inganno; così, assumendo le fattezze impalpabili e incontenibili di una nuvola, “la ferma e le toglie il pudore” (Ovidio, Metamorfosi I, 588), come mirabilmente palesa  la celebre opera del Correggio, Zeus e Io, datata 1532 e conservata al Museo del Louvre a Parigi.  Era, però, intuì il tradimento e Zeus, come indica anche la pittura nel quadro dell’olandese Pieter Lastman, Era scopre Zeus con Io, 1618, alla National Gallery di Londra.

Insomma: Zeus, per uscir dall’impaccio e dall’impiccio per salvarsi, si trovò costretto, suo malgrado, a celare l’amante trasformandola… in giovenca, la cui custodia fu affidata al gigante Argo, “colui che vede tutto”, che la costrinse a una vita animale faticosa e misera (Papinio Stazio, Tebaide, VI, 405-410); passata la buriana, Zeus si prodigò per farla liberare: chiamò Ermes che, irretito Argo con il suono della siringa – il suo famoso strumento a fiato fatto di canne – lo cullò con la dolce melodia, lo fece addormentare e lo uccise gettandolo da una rupe, liberando infine, così, la giovane Io.

L’avvenimento, ben raffigurata in una pittura murale nella casa di Livia a Roma e in un celebre vaso antico (Ermes, Argo e Io ed esposto al Kunsthistorisches Museum di Vienna), non chiude questa avventura poiché Era non si placa: come una stalker punitrice, perseguita Io con l’attacco continuo e doloroso di un terribile insetto, il tafano, costringendola a scappare e a cercare riparo in mare (che da lei si chiamò Ionio) sino all’approdo in Egitto. Una moglie adirata così si liberò della rivale che, finalmente tornata umana, darà alla luce Epafo, figlio di Zeus. Quanto ancora la poveretta dovrà pagare per la sua ingenuità e leggerezza? Assai: perché Era, non sazia di vendetta, le farà rapire il figlio dai demoni Cureti obbligandola a peripezie fino al ritrovamento del pargoletto e all’epilogo felice: una vita serena, da madre amorevole – non a caso, nella mitologia egizia Io fu identificata con Iside, dea della maternità e della fertilità – con suo figlio, futuro re in terra d’Egitto.

Quale difficile cammino – sembra suggerir questa storia – è quello per giungere alla conoscenza di sé e al riconoscimento della propria identità! Per essere se stessi, liberi…!

Non dobbiamo, a questo punto, dimenticare la versione negativa dell’Ego, accolta da molti pensatori e discipline, anche olistiche, che ne attestano la natura parassitaria; trascuriamo la fanciulla, perché l’EGO è maschile, ed è sfruttatore delle risorse dell’essere umano – che pure lo contiene – a suo esclusivo vantaggio: profano, superficiale, fatuo, attore di un regno dell’infelicità umana. L’EGO è quindi antitesi dello spirito e non a caso, nella visione cattolica, il San Giorgio e il drago – nel Medioevo simbolo della lotta del bene contro il male – è anche inteso come allegoria della morte dell’EGO. Questo talvolta si sovrappone a Narciso: quando, cioè, la coscienza di sé e della propria identità si fa vero e proprio culto, patologico e soprattutto pericoloso. Così sembrano dirci Michelangelo Merisi da Caravaggio (Narciso, 1597-1599 olio su tela, Galleria Nazionale d’Arte Antica – Palazzo Barberini, Roma) e il surrealista spagnolo catalano Salvador Dalì (Metamorfosi di Narciso, olio su tela, 1936-1937, Tate Gallery, Londra); e così, più scadentemente, pare manifestare l’invasione, sia Social sia nella quotidianità meno liquida, dei selfie e del bimbominkismo-style (nulla a che vedere con Graffitismo, Street Art e creatività giovanile), vera e propria sindrome dei “15 minuti di celebrità” – volatile, però – per tutti. La frase, non a caso ascritta al Pop-artista Andy Warhol (ma forse mutuata dall’amico fotografo Nat Finkelstein), lucida al suo tempo, è stata quanto mai profetica per leggere l’oggi.

Ad ogni modo, l’EGO è sviluppato nei grandi autori e creativi di ogni epoca, se giustificato dal talento e dalla “tendenza a considerare il proprio modo di essere, di sentire e di giudicare come l’unico possibile e valido in assoluto” (da vocabolario): qualcosa che, per esempio, mise sul piedistallo della Storia Giulio Cesare, Cleopatra, Alessandro Magno, Luigi XIV, Napoleone; e dandy immaginifici quali George “Beau” Brummell, il romantico Lord Byron, Charles Baudelaire, Oscar Wilde e il vate D’Annunzio; anche Virginia Oldoini, meglio nota come Contessa di Castiglione (Firenze, 22 marzo 1837 – Parigi, 28 novembre 1899), con i suoi pionieristici travestimenti fotografati nel tempo da Pierre-Louise Pierson; e, naturalmente, i futuristi: tra tutti Filippo Tommaso Marinetti; seguono artisti completi e complessi come il burbero Picasso, originali come il citato Salvador Dalì, eccessivi come il nipotino di Andy Wahrol, quel Jeff Koons che ha osato raccontare per immagini – accattivanti, patinate, talvolta scabrose, lucide, fashion, golose – la società dei consumi e dell’american way of life usando gli stessi dispositivi che nutrono quel sistema, inforcando le lenti dell’ironia, cavalcando il kitsch e rivelando, però, anche una posizione contraddittoria. Giocando con il fuoco ci si scotta. O, a saperci fare, si fanno un sacco di soldi…

Sia come sia, L’EGO, dalla Factory in poi, è stato ben pasciuto tanto che si può sancire un prima e un dopo: un prima e un dopo la Pop Art: con il patron, Andy Warhol (Pittsburgh, 1928 – New York, 1987), che ha prodotto opere per immagini, “pittoriche”, con una esattissima modalità di elusione proprio delle regole della pittura. Restituendo, come ha fatto, e senza giudicare, ma riportando la realtà così come appariva: quella americana, del boom economico e del benessere dei vincitori, della democrazia esportata, delle merci, dell’iper-consumismo sfavillante, dei colori sgargianti, dei bei pacchetti, del packaging attraente, della Tv e dei media spudorati e oscenamente dominanti nel quotidiano, quasi oracoli onniscienti (è vero: lo hanno detto alla Televisione).

Il sesso, Marilyn Monroe – la sua icona, non la persona – la Coca Cola, la Brillo Box identificano un mondo di cui Andy e company erano parte integrante e su cui hanno attecchito le radici di quel che siamo oggi, EGO compreso, nonostante tentativi di alternative da parte di ribellismi e di attivismi singoli o collettivi. Cosa ci resta, dunque? Scherzare con la morte: come fa lo Young British Artist Damien Hirst, specialmente nel suo For the love of God (Per l’amor di Dio), 2007, tempestato di veri diamanti: Vanitas, atto EGO/tico o solo spoglie che tentano di sublimare la fine (dell’Arte?). Quella, l’Arte, vale tanto oro quanto pesa, pardon: quanto brilla, dato che For the love of God costa spropositatamente quanto – esattamente – il valore delle pietre preziosissime. Una bella, scintillante provocazione, che sembra ottima palestra per aumentare i muscoli dell’EGO/archia: e in questo nero contesto l’Arte e la Cultura – pur coltivazioni di qualche EGO/centrismo – tornano ad essere candide scialuppe di salvataggio.

 

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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