Cultura vs. Controcultura. Dirige l’incontro Mr. Damien Hirst a Venezia in Palazzo Grassi e a Punta della Dogana

“Venghino, signore e signori, venghino! Il Grande Circo è arrivato in città!”

…e con questo potremmo liquidare la faccenda.

Gli ingredienti ci sono tutti, giganti, bestie feroci, saltimbanchi, illusionisti, affascinanti donne in abiti estremamente succinti, pagliacci, strane creature, freaks.

Il Direttore del Circo, figura temibile nell’immaginario, con la divisa rossa, i lunghi baffoni e la frusta, qui è in t-shirt nera e jeans, attorniato da un gruppo di ragazzini in felpa e scarpe da tennis. Il gruppo sembra più in gita che all’inaugurazione della discussa e (si dice) costosissima mostra, distribuita su due tra le sedi veneziane più prestigiose, Palazzo Grassi e Punta della Dogana, affidate per la prima volta ad un unico artista.

Lui, si diceva, è Damien Hirst; nato a Bristol nel 1965, una laurea in Belle Arti al Goldsmith College di Londra, nel 1988 promuove l’evento espositivo “Freeze” assieme ad un gruppo di artisti che prenderà il nome di Young British Artists, tra cui Tracey Emin e Sarah Lucas.

Nella sua carriera è riuscito a scandalizzare e provocare, lo conosciamo soprattutto per i teschi tempestati di diamanti e per le teche contenenti animali immersi nella formaldeide.

Per questa nuova mostra, alla quale ha lavorato una decina d’anni, il controverso artista si dichiara piuttosto apertamente con una scritta posta al di sopra dell’ingresso di Punta della Dogana. In due toni di grigio, può passare inosservata tra i fuochi d’artificio sparati lungo tutto il percorso, recita “SOMEWHERE BETWEEN LIES AND TRUTH LIES THE TRUTH”, parole che pur prestandosi a svariate interpretazioni, semplicemente ci avvertono che la verità sta da qualche parte tra vero e falso.

Vediamo allora cosa si propone al pubblico, diviso tra chi lo ama e chi lo contesta: gli animalisti possono stare tranquilli e almeno questa volta, se si escludono alcune perle, niente che sia stato precedentemente vivo è stato utilizzato. Si troveranno, invece, quantità esagerate d’oro, argento, platino, bronzo, pietre preziose, marmi tra i più pregiati, malachite, cristallo di rocca, agata, lapislazzuli, turchesi, smeraldi, rubini, interi blocchi di giada, opali e così via. Del resto il titolo della mostra si riferisce ad un tesoro recuperato, Treasures from the Wreck of the Unbelievable, quindi siamo in tema.

E cosa tiene insieme questo sfacciato accostamento di opere gigantesche, come il demone alto quanto il terzo piano di Palazzo Grassi, tracce di antiche civiltà e pezzi di arte classica, fino a monili di raffinatissima fattura, dove niente è lasciato al caso… alla finzione sì, ma non al caso. In primo luogo il fantastico (in tutti i sensi) allestimento, con vetrine ricolme di reperti archeologici; imponenti lightbox con le immagini di sub che recuperano sculture coperte di coralli e madrepore, l’anello di congiunzione tra Disneyland e il museo di storia, divertimento e provocazione, in continuo dialogo con l’intorno, tanto che alle spalle di improbabili personaggi o dalle valve aperte di una enorme conchiglia, è Venezia che esce dalle acque, come Venere e dalle vetrate dei due palazzi, si intromette fra le opere, reclamando il proprio ruolo di Prima Donna.

Questo fa da collante, insieme al gioco enigmistico che accompagna lo spettatore nel percorso della mostra, una sorta di “Indovina Chi?” che nasconde e rivela connessioni azzardate tra i significati delle opere.

La curatrice Elena Geuna introduce così la storia che Hirst si è inventato:

“C’era una volta un ricchissimo collezionista, Cif Amotan II, un liberto originario di Antiochia, vissuto tra la metà del I e l’inizio del II secolo d.C.

Si tramanda che questa figura leggendaria fosse molto nota ai suoi tempi per le immense fortune e che l’eco della sua storia sia risuonata infinite volte nel corso dei secoli. Dicono, infatti, che, appena acquistata la libertà, Amotan abbia iniziato a raccogliere sculture, gioielli, monete e manufatti provenienti da ogni parte del mondo, dando vita a una sterminata collezione. I cronisti del tempo narrano che gran parte di questo straordinario tesoro fosse stata caricata su un enorme vascello, l’Apistos (Incredibile).

La nave, le cui dimensioni nessuna imbarcazione aveva mai raggiunto prima, era diretta ad Asit Mayor, luogo nei cui pressi Amotan aveva fatto costruire un tempio dedicato al Sole. Per cause a noi sconosciute – il peso eccessivo del carico, le avverse condizioni del mare (la zona era, ed è tuttora, soggetta a forti venti) o, forse, l’esplicita volontà degli dei – la nave si inabissò insieme al suo preziosissimo carico. Con il trascorrere dei secoli, la storia di questo drammatico naufragio si è sempre più arricchita di particolari: fatti realmente accaduti sono stati inseriti in nuove narrazioni, dando vita a una miriade di racconti paralleli, spesso diffusi solo oralmente, e rendendo sempre più difficile distinguere gli elementi autentici da quelli fantastici. Si narra persino che durante il periodo rinascimentale, con l’intento di dare forma visiva a ciò che si poteva solo pensare per immagini, alcune delle sculture che si supponeva facessero parte della collezione siano state, per ignote vie, fonte di ispirazione per disegni, studi preparatori e opere di alcuni artisti dell’epoca. Nel corso del 2008, questo leggendario tesoro, rimasto sommerso nell’Oceano Indiano per quasi duemila anni, è stato scoperto al largo della costa orientale dell’Africa e lentamente riportato alla luce.”

Teniamo a mente il nome del personaggio principale, Cif Amotan II, anche per questo c’è una spiegazione; è uno schiavo che si libera e diventa collezionista, ruolo fondamentale per l’artista e viene rappresentato anche in alcune opere, che poi sono autoritratti dello stesso Hirst. Secondo quanto dichiarato dall’autore, il collezionismo rappresenta:

“la mappa della vita di una persona; rivela tanto del collezionista, dice in cosa crede, di cosa ha paura, conduce inevitabilmente a verità particolari e universali. Ho sempre raccolto molti oggetti e cercato di comprendere il rapporto tra scienza, arte e storia naturale. Ho iniziato da ragazzo con rocce e minerali, che poi mettevo in mostra organizzandoli in vari contenitori, anche per capire come la visione venga influenzata dalle varie forme espositive, sono attratto dalla creazione di luoghi di finzione che imitano la realtà. Mi interessa l’ossessione vittoriana per la natura e la ridicola convinzione di dominarla, ordinandola secondo canoni estetici umani. E per la tassidermia della stessa epoca, un tentativo di replicare la vita nella morte che però, quando si deteriora, sottolinea il fallimento in cui si incorre uccidendo qualcosa per guardarlo.”

Dalle rocce è passato poi ai libri, in particolare ai trattati di medicina, le cui immagini lo terrorizzano e che trova molto simili a quelle religiose, di martìri e macabre torture inflitte.

Raccogliere è, secondo Hirst, anche un modo per rendersi immortali, per contrastare la perdita e quindi la morte. Ama la ripetizione in serie, perché gli consente di riproporre le varie domande sulla vita, in molte forme diverse.

E conclude:

“Penso che i collezionisti abbiano la responsabilità di non cedere gli oggetti all’oblio, condannandoli a prender polvere in qualche magazzino dimenticato. Meritano di stare con noi, ci svelano il significato della vita e il valore del  passato.”

Forse possiamo provare a vedere il personaggio sotto un’altra luce… anche se ci prende in giro, mettendo le Barbie assieme allo scudo di Achille. E’ tutto talmente folle che il limite tra falso e vero viene continuamente spostato: i visitatori, si producono nei commenti più disparati, arrivando quasi a convincersi che potrebbe essere tutto reale, se non fosse che dovrebbero spiegarsi come possono Mowgli e Baloo aver fatto parte di un tesoro di duemila anni fa.

Allora cosa si può fare se non seguire la curiosità e lasciarsi catturare da questo spropositato imbroglio, dal gioco di prestigio perfettamente inserito in una Venezia da sogno (vera o finta?) e provare a risolvere gli enigmi che si susseguono e si scompongono come parti di una Matrioska… si può persino correre il rischio di imparare qualcosa.

Come ogni rivista enigmistica che si rispetti, forniremo alcune soluzioni:

– Rihanna ha posato per “Aten”; in “Aspect of Katie Ishtar ¥o-landi” il riferimento è la cantante sudafricana Yolandi Visser; lo Sconosciuto Faraone ha le sembianze del rapper Pharrel Williams.

– “Remnants of Apollo” ricorda l’impronta lasciata da Neil Armstrong  giunto sulla Luna con l’Apollo 11; il Dio Apollo era detto Sminteo, per il potere di sterminare i topi; nel nostro caso il topo sul piedone di Apollo ha un orecchio sul dorso, come quello del famoso esperimento realizzato da Charles Vacanti, un biologo ricercatore dell’Università di Harvard che lavora sui trapianti.

– Il Collezionista, presente in un busto e con l’amico Topolino, è Hirst

– Il demone gigante è ripreso da un’opera di William Blake “Ghost of a Flea”; la Medusa da Caravaggio e al posto dei capelli ha quattordici tra più velenosi serpenti al mondo, perfettamente riprodotti; le mani in preghiera si riferiscono al famoso studio sulle mani del pittore Albrecht Dürer

– I vari busti pseudo-greci in realtà sono di Barbie (sul retro la marca Mattel)

– “Skull beneath the skin” è il titolo di un romanzo giallo di P.D. James, ma anche un brano dei Megadeth.

– “Proteus”, figlio di Oceano e Teti era un personaggio mitologico che usava trasformarsi per sfuggire alle pressanti richieste di vaticinio, ma esiste anche un’omonima Sindrome, malattia rara che causa deformazioni fisiche (come nel film “The Elephant Man”)

– DAMIEN HIRST anagrammato è IN THIS DREAM, ma soprattutto, l’anagramma di CIF AMOTAN II  è I AM A FICTION.

Info:

  • Treasures from the Wreck of the Unbelievable. Damien Hirst
    Palazzo Grassi – Punta della Dogana, Venezia
  • Palazzo Grassi – Campo San Samuele 3231 – 30124 Venezia
  • Punta della Dogana – Dorsoduro 2 – 30123 Venezia
  • Tel: + 39 041 523 1680 – Fax: + 39 041 528 6218
  • Maggiori informazioni sugli orari, le tariffe e le attivita di Palazzo Grassi e Punta della Dogana sono disponibili sul sito: www.palazzograssi.it
  • Il catalogo della mostra è pubblicato in co-edizione da Marsilio Editori, Venezia e Other Criteria, Londra e raccoglie testi di: Francois Pinault, Presidente di Palazzo Grassi – Punta della Dogana, Martin Bethenod, Direttore di Palazzo Grassi – Punta della Dogana; e: Il pescatore di coralli, Elena Geuna – Curatrice della mostra; Nel nome di, Henri Loyrette – Presidente-Direttore del Musee du Louvre (2001-2013); Inventario, Simon Schama – Professore di storia e storia dell’arte presso la Columbia University, New York; La scoperta di un naufragio, Franck Goddio – Presidente dell’Institut Europeen d’Archeologie Sous-Marine
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Vive a Bologna, dove lavora come logopedista al Servizio di Neuropsichiatria Infantile occupandosi prevalentemente di disturbi della comunicazione, del linguaggio e dell'apprendimento, è appassionata da sempre di Arte, in qualunque forma si presenti. Da alcuni anni ha iniziato un percorso nel campo della fotografia

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