Stockhausen, 10 anni dopo

Karlheinz Stockhausen

Non capita tutti i giorni di partecipare all’esecuzione di brani del repertorio della storia della musica elettroacustica.

Così, avevo segnato  da tempo sulla mia agenda ideale le date del 14 e 15 ottobre, la mia prima volta in ascolto dei lavori di Karlheinz Stockkhausen in concerto.

L’associazione Alessandro Scarlatti ha infatti omaggiato il compositore tedesco a dieci anni di distanza dalla sua scomparsa dedicando lui due appuntamenti che potessero tenere insieme diversi aspetti della sua produzione, usando come apposizioni il mistico per il primo concerto, il rivoluzionario per il secondo. Il tutto si è tenuto alla Domus Ars, una chiesa nel cuore di Napoli – poco distante da via Benedetto Croce – che ha perso la sua funzione liturgica per diventare luogo di ibridazioni artistiche.

Scarlattilab/Electronics, un gruppo di lavoro che lavora sul repertorio contemporaneo, sulla musica elettronica, sulla valorizzazione dei giovani interpreti e dei giovani compositori dei conservatori di Napoli, Salerno e L’Aquila, ha animato la serata di domenica 15 ottobre, mentre all’Ensamble Dissonanzen e a Michele Marelli era spettato il compito di portare in scena lo Stockhausen degli anni ’90 il giorno prima.

Lega i due appuntamenti la presenza di Agostino Di Scipio alla regia del suono, un interprete davvero consapevole ed attento del repertorio difficilmente ascrivibile alla categoria dell’intrattenimento e dello spettacolo cui la musica sembra essersi irrimediabilmente piegata.

immagine di Karlheinz Stockhausen
Karlheinz Stockhausen

A Karlheinz Stockhausen dunque, nel decennale della scomparsa, è dedicato un vero e proprio focus di due giornate che vede finanche il patrocinio del Goethe Institut Neapel.

E il pubblico risponde più o meno all’appello, complice l’aura che riveste il musicista in questione: stavolta, forse, sono più i giovani che gli adulti, sebbene la vecchia guarda presenzia al solito al suo posto.

Il programma messo a punto per l’occasione aiuta a prendere contatto con l’operazione decisamente musicale compiuta dal compositore classe 1928 al tempo della Neue Musik: Klaveirstück IX – per pianoforte (1954), Gesang der Jünglinge – per nastro magnetico a quattro canali (1955/1956) ed infine Mikrophonie I – per tamtam, due microfoni, due filtri e potenziometri (1964). Sarebbe a dire, abbiamo modo di ascoltare la prima e la seconda maniera di un compositore il cui nome trova spazio frequentemente nelle conversazioni sulla musica contemporanea – meno l’ascolto delle sue composizioni o la lettura dei suoi scritti.

Karlheinz Stockausen infatti, il compositore sui cui forse abbiamo più documentazione in assoluto, è assurto insieme a John Cage al ruolo di icona – quasi una icona pop – quale simbolo del pensiero costruttivista colorato di religiosità mistica.

In funzione di questa considerazione, mi permetto di segnalare come anche un insigne figlio della società dello spettacolo quale il pianista Giovanni Allevi non possa esimersi dal farne menzione nei suoi scritti autobiografici, quasi la sola presenza potesse estetizzarne la contemporaneità.

Non mi ha sorpreso leggerne, anzi. Ben lontani dalla poetica del rassicurante e del già udito del direttore del nostro inno nazionale in seduta comune delle camere, le composizioni del musicista tedesco rivelano un grado di complessità altro che infittisce la trama delle relazioni musicali tra le altezze dei suoni, la cui disposizione nel tempo risulta ancora straniante perché poco vicina alle nostre abitudini.

Aldo Roberto Pessolano esegue Klaveirstück IX al piano solo: la partitura deve averlo messo alla prova tanto che traspare un grado di stress psicofisico ad accompagnare la sua esecuzione che pur non inficia la sua attenzione e la sua disposizione a fare di questo brano un’occasione di raccoglimento ed immersione.

Il suono nella sua dimensione temporale come fenomeno acustico che coinvolge lo spazio sembra suggerire di per sé una diversa modalità di ascolto che sarà acuita nel caso di Gesang der Jünglinge (il canto dei fanciulli), un lavoro elettronico realizzato nello studio di musica elettronica della Radio della Germania Ovest a Colonia in cui è possibile ascoltare la realizzazione di processi statistici.

La metodologia compositiva per la realizzazione di microtexture musicali con metodi statistici infatti sarebbe diventata molto importante in musica e i diversi modi in cui probabilità e casualità sarebbero poi state applicate alla musica sembrano derivare da questa metodologia. Eppure Gesange conserva un appeal indiscutibile che va al di là delle considerazioni formali.

Infine, Microphonie I (https://www.youtube.com/watch?v=EhXU7wQCU0Y) quale rilevante esempio di musica elettronica dal vivo viene eseguito per la prima volta a Napoli dall’ensamble Elettroaqustica (Gabriele Boccio, Lorenzo Canzonetti, Stefano Giacometti, Daniel Scorranese) mentre la regia del suono è affidata a Maria Cristina De Amicis e ad Agostino Di Scipio.

Lo strumento solitamente chiamato gong vede in tam-tam la sua giusta definizione. Quello impiegato per il concerto è chiaramente diverso da quello del diametro di circa 155 cm impiegato da Stockhausen.

Chiaramente, parliamo di una esecuzione che fa affidamento alla filologia per la sua riproduzione e molto lavoro è stato fatto in questo senso dagli esecutori.

Interessa segnalare invece quanto l’aver incluso la parola “microfono” nel titolo segnali che il microfono venga trattato e suonato come uno strumento musicale, mentre “-phonie” funziona come in “sinfonia”: una “microfonia”, dunque. L’attenzione al visuale decreta il rapporto del pubblico con un’opera che trova nella diffusione la sua dimensione. Purtroppo, il tempo reale deve aver operato anche in questo senso.

Il concerto si chiude nei rituali applausi e nel sorriso degli esecutori ormai liberi dell’azione performativa. Così, me ne vado pago di questa esperienza che mi aiuta a prendere coscienza come in città appuntamenti del genere siano da promuovere al pari di altre iniziative decisamente reazionarie che segnano il passo dell’attuale produzione culturale.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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