Nei Albertí, prima personale a Roma dell’artista spagnolo e storia di una mecenate. Intervista

immagine per Nei Albertí
Nei Albertí - opera

Nei Albertí è un artista catalano noto nel mondo dell’arte contemporanea per le sue opere tridimensionali di forte impatto visivo. Non si tratta solo di scultura – ibridata – ma di installazione: anche quando di piccole dimensioni. Nei, cioè, realizza serie di cubi entro ognuno dei quali è tesa una geometria di fili che impone un movimento del pubblico per essere percepita, anche nella luminosità, dato che tutto, letteralmente si accende. Se si rilevano radici nella tradizione Optical e Cinetica, esse hanno generato altre ramificazioni che accolgono riflessioni sul concetto di Spazio, in cui abita la scultura in senso generale e in quello particolare della sua; e di Tempo: perché la luce si muove, cambia e cambiamo noi nel tempo della fruizione di fronte all’opera. Un’altra considerazione dell’artista è legata ai binomi  contrapposizione-distensione, tensione-equilibrio, in cui il dispositivo intimo, psicologico, personale, si apre a quello di ogni spettatore che si fa, attraverso la sua arte, partecipe anche emotivamente.

Tutto è in quelle trazioni reticolari e filiformi, rese vitali dai led, e  organizzate in quelle scatole che le contengono – valorizzandole e preservandole –  da intendersi come delle vere e proprie stanze, se pur piccole, che hanno il senso di uno spazio in cui abita la scultura, appunto. Ebbene: talvolta, quelle strutture escono da lì e rischiano il confronto con un campo più grande, più aperto: il contatto è, così, più diretto con la vita. In essa l’opera entra dentro, interagendovi, secondo i dettami ben espressi e applicati dai Futuristi e poi messi in pratica da moltissimi movimenti e artisti successivamente.

Ancora una volta, il lavoro di Nei dimostra basi affondate nella Storia dell’Arte e una altrettanto solida capacità di dare corpo e anima a qualcosa di nuovo, ad alto tasso retinico, emotivo e problematico.

Così, ecco nascere organismi colorati fatti di intrecci ordinati di trame organizzate in forme o forma elicoidali: quasi un DNA fermato nel suo massimo splendore. A Roma, ad esempio, al  Villino Pignatelli (un luogo magnifico in via Boncompagni 12), nella mostra “Divergenze al centro (fino al 20 luglio 2018), progetto ideato dall’agenzia londinese – che in effetti è una galleria se pure itinerante  EFG-Art-Ltd di Elena Francia Gabriele, con il patrocinio della Reale Ambasciata di Spagna in Italia, e la curatela affidata a Sveva Manfredi Zavaglia, è stato ingigantito in un’installazione site specific cromaticamente violacea, di notevole impatto visivo; anche qui, il risultato metamorfico dipende dalla posizione dell’osservatore rispetto all’opera. In essa, ad ogni modo, solidità e leggerezza, pieni e vuoti, opaco e trasparente, impressione di inquietudine e serenità, dissidio e suo contrario entrano in gioco in un unico campo pittorico/scultoreo immersivo. Immersivo ancor di più in apparati coinvolgenti come – nella citata mostra – una black room, che, ci dice la Francia Gabriele:

“è stata difficilissima da realizzare, anche per i vincoli di tutela del palazzo nobiliare che l’ha ospitata, ma che poi è stata perfetta, efficace nella sua costruzione, con un richiamo alle idee ingabbiate, alle sinapsi…”

A colloquio con l’artista, la conferma della sua autenticità è immediata così come quella della serena consapevolezza che lo sprona a confrontarsi con il mondo attraverso l’atto creativo che da subito verifica lo spazio in cui agisce e cresce nel tempo necessario a concretizzarsi. Quando tutti i pezzi del puzzle concettualistico combaciano, si armonizzano, inizia un nuovo processo, quasi espressionistico nella spinta emotiva, che inevitabilmente attiva un corpo-a-corpo con quello stesso spazio e tempo.

Il linguaggio, che parte da lemmi pittorici e scultorei, si amplia via via, prende respiro, si teatralizza e, a lavoro finito e consegnato alla fruizione,  tende a farsi ponte tra opera/artista e osservatore attivo; e si sa che “un ponte esiste quando le due sponde si amano” (Antoni Regulski).

Parlando con l’art advisor e tanto altro ancora, Elena Francia Gabriele, si evidenzia una storia particolare che l’ha messa di fronte a Nei Albertí:

“Ero alla ricerca di emozione d’arte. Ho scoperto Nei su Instagram, potere dei Social e della tecnologia! C’è stata una condivisione, ho seguito la sua prima ricerca e ho apprezzato le sue immagini postate che mostravano i suoi Tdl – le scatole con reti colorate di lycra semitrasparente e luci led spotlight – che ho continuato a commentare; ad un certo punto ha smesso di mettere online quelli e ha postato alcuni disegni di una sedia, un progetto forte, molto concettualistico. Mi ha spiazzata ma ho apprezzato quello spostamento verso una ricerca complessa, intellettuale, che mi ha fatto capire meglio tutta la sua ricerca. Ho anche avuto chiaro quanto quei cubi siano solo una parte del suo cammino, che giunge al culmine con grandi installazioni di cui i Tdl sono una parte…”

Come a dire che le installazioni sono il tema sviluppato ampiamente e i cubi un po’ una sinossi??

“Un riassunto, forse… ma valgono, dal punto di vista poetico, e di completezza del discorso, come l’installazione…”

Quindi dopo questa illuminazione cosa è successo?

“Insomma: ci siamo incontrati, sono stata al suo atelier e ho deciso di collaborare professionalmente con lui. Mi ha raccontato del suo incidente e di come questo lo abbia necessariamente e dolorosamente allontanato dalla scultura – con cui aveva iniziato – portandolo, dovendo stare per un anno fermo, a dipingere, dipingere, dispingere… Ho pensato subito a Fida Kahlo… Poi, questa pratica minuziosa e pittorica, una volta guarito, è tornata alla tridimensionalità orientandolo verso progetti installativi.

Dalla Spagna, dove era già apprezzato, ci siamo mossi a livello internazionale, giungendo quindi anche in Italia – StreetScape 6, la mostra pubblica di Urban Art diffusa nelle piazze e nei cortili di Como, nel 2017 – e poi a Roma, che ci ha accolti benissimo…”

Un sodalizio…

“C’è sempre stata, tra l’artista e il critico, il mecenate, il gallerista, e ci deve essere ogni volta. Credo che deba essere un po’ così sempre, a livelli profondi.”

Mi pare tu abbia una positiva visione, direi romantica, del mondo dell’arte e del mestiere in esso…

“Forse, ma sento proprio questo. Se non è mosso da questa spinta diventa un lavoro meccanico, come tanti; invece non lo è: l’Arte è materia speciale… ha anche un po’ a che fare con la suggestione, l’incantamento, la malia…
Con Nei, infatti, si è creata una specia di magia: un legame empatico. Non potrei lavorare senza provare questo relativamente all’autore e alla sua ricerca. Ti dirò di più: in generale, ci vuole cuore per stare nell’arte, qualsiasi ruolo tu ricopra in essa.”

Ecco, appunto: esattamente, qual è il tuo ruolo nel vasto panorama dell’arte contemporanea?

“Ho una formazione linguistica ma grazie ad un esame universitario proprio in Storia dell’Arte l’ho scoperta e da allora non ho smesso di andare a mostre, frequentare musei, viaggiare seguendo fiere e kermesse, sfogliare cataloghi e avere un rapporto diretto con le opere d’arte. Sono italiana, di origini calabresi, di Catanzaro, laureata a Messina, con esperienza e contatti nel campo del Restauro, ho poi avuto incarichi di collezioni da privati. Vivo a Londra da tantissimo e apprezzo di quella realtà la libertà e professionalità che si vede ovunque, insieme a una grande sensibilità per l’arte contemporanea. L’Italia è piena di Storia, Bellezza, Beni Culturali ma in gran parte del resto del mondo – la Germania con Berlino, gli Stati Uniti con New York, i grandi centri del Giappone; e Londra, appunto – il contemporaneo ha più spazio nella vita delle città e delle persone, anche a livello legislativo, fiscale…”

Questo ti ha favorita anche a collezionare?

“Ho iniziato a collezionare, questo è il solo fatto importante per me. Un piccolo Chagall,  i Chapman Brothers, Ernesto Neto, Swoon, SAM Taylor-Wood, Pistoletto, Enrico Baj; opere fotografiche di Ai Weiwei; e poi di Marina Abramović,…”

Quali sono gli artisti che senti di più?

Maurizio Cattelan;  l’Abramović, che mi ha tenuta per mano, io e lei da sole, per almeno 15 minuti, alla Serpentine Gallery di Londra in cui ha creato un’oasi di silenzio e pace e la possibilità di entrare in un nuovo, diverso contatto con se stessi ma anche con lei…; ho amato molto Damien Hirst e ma nel tempo sembra aver perso di autenticità e forza…; e mi entusiasma la dirompenza e l’impegno di Ai Weiwei…”

…che Francesco Bonami ha bollato come “furbacchione”…

“Non sono d’accordo. Personalmente, con la mia galleria EFG-Art-Ltd e mio marito,  Richard Moor, ho contribuito sostanziosamente a un suo progetto (n.d.R.: alla Royal Academy di Londra, nel 2015, definita dalla stampa inglese “l’esibizione dell’anno”) che, per costi, aveva bisogno di fondi ed è partito a tal fine un crowdfunding internazionale. Questa mia partecipazione al progetto è stata straordinariamente coinvolgente a livello emotivo…

Alla domanda di una giornalista “Credi tu stia diventato un brand?” Ai WeiWei rispose “…un brand del pensiero libero…”!

“Esatto! Ed è così!”

Quali gli artisti che segui con più costanza?

“Giovani…”

Quanti sono?

“Due all’anno. Non credo di potere di più e così posso davvero seguirli, o meglio: accompagnarli nel loro viaggio d’arte…”

Peccato però concentrarsi su solo due nomi…

“Certo, mi rendo conto, ma solo così riusciamo a creare qualcosa di importante, anche dal punto di vista umano, emotivo, per noi e gli artisti; è una scelta consapevole, di mio marito e mia, che credo renda unica la EFG-Art-Ltd”.

Chi sono, quindi, i due… fortunati, in questo momento?

“Un fotografo emergente, di cui organizzo e produco l’esordio, Shantanu Amin, che sarà presto a Palermo in una collettiva a Palazzo Scavuzzo. Palermo, con Manifesta, in questo momento è la culla dell’arte: bellissima! Naturalmente, c’è Nei Albertí: e insieme abbiamo molti progetti itineranti e l’impegno di tornare a Roma per un’altra mostra-percorso site specific. Come non amare questa pur complicata, problematica città così piena di memoria e cultura, con luoghi tanto belli da mozzare il fiato?”

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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