Leonardo Petrucci. L’8, l’infinito, il nero, il polpo, l’asteroide, sonde, pianeti, l’immensità e la risonanza quantistica

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Leonardo Petrucci, una panoramica della personale 8, 2018 - Bibo's Place Roma...

Visitare la mostra 8 di Leonardo Petrucci (Grosseto, 1986; vive e lavora a Roma) nella sede romana della Bibo’s Place Gallery è un’esperienza iniziatica. Del resto, l’artista si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma con una tesi dal titolo Arte dell’Alchimia e Alchimia dell’Arte e, come evidenzia anche questa sua personale, egli tiene fede alla sua basilare ricerca.

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Leonardo Petrucci, una panoramica della personale 8, 2018 – Bibo’s Place Roma

Tutto ruota, come sempre, intorno al tema della Natura: con uno sguardo antropologico e scientifico e allo stesso tempo rivolto all’archetipico e all’insondabilità misterica; si concentra, quindi, attorno all’evoluzione sia delle scoperte connesse al progresso, come momenti di riflessione e analisi del rapporto uomo-infinito ed anche come desiderio atavico di abbandonarsi all’ignoto, sia della fascinazione esercitata da discipline quali la Matematica, la Fisica, la Geometria – considerata anche nei suoi risvolti simbolici e legati alla sacralità ritualistica –, la Cabala, l’Astrologia, la mitologia più ermetica, l’Archeoastronomia e, come detto, l’Alchimia.

Ciò attraverso una riflessione e visualizzazione, da par suo, del microcosmo – ad esempio insetti, rocce, bestie acquatiche e altre animali – e del macrocosmo – sistema solare etc. –, quindi dell’universo e dell’universale, nell’eventualità di un bilanciamento di ogni dualismo concreto o immateriale: sino a una vera e propria sovrapposizione degli opposti, secondo quella meravigliosa, consolatoria teoria della risonanza morfica e biologia quantistica.

La mostra, ampia, si apre con 4 disegni realizzati con la  biro – pratica molto boettiana! – che restituiscono immagini essenziali ma minuziose di cefalopodi intricati e ripetuti: questi elementi acquatici sono usati come matrice per costruire il pattern di altri disegni, altre opere; anche in esse, Petrucci, come usa fare, gioca con la percezione: occulta, svia, concede disgressioni per consegnare all’osservatore  l’incombenza di decifrare, di lasciarsi andare all’avventura seria dell’arte. La – presunta – oscurità della sua investigazione e della relativa formalizzazione, così come nell’antica alchimia, lascia spazio a una sua lettura stratificata e alla fantasia.

Tornando a tale suo recente lavoro, ad esempio, è nuovamente molto importante la relazione tra positivo e negativo e, in questo caso, con il colore nero. Il nero è anche quel che può salvare l’animale marino raffigurato.

Infatti, la specie usa scura melanina espulsa da ghiandole quando si sente in pericolo, così da occultare in acqua la vista degli aggressori con questa sostanza detta nero di seppia; ebbene, l’artista – come ci racconta Matteo Boetti (che con Andrea Bizzarro è al timone delle sedi di Todi e di Roma della galleria) – “ribalta la realtà usando il nero per mettersi in mostra; solo le arti permettono tale spostamento” e dimostrano che l’artista non “ha paura di nessuno”. Così, Petrucci ha anche costruito un’installazione-acquario, Sublimatio, che, simile a un antico (o futuribile?) alambicco, contiene proprio il nero di seppia, che se oggi è essenzialmente usato in cucina come condimento, in passato era adoperato come inchiostro; esso interagisce con il bianco del fumo/vapore sprigionato da ghiaccio secco. Nero e bianco, appunto, come yin e yang dei patterns, e come pure troviamo nell’apparente macchia chiara – costituita in realtà dai soliti polpi intersecati e moltiplicati – sul nero di uno dei disegni in mostra.

Lo stesso acromatico, inoltre, è la nuance alchemica all’inizio della Grande Opera nell’esplorazione per raggiungere la pietra filosofale: è, cioè, la nigredo della putrefazione e decomposizione affinché la materia tutta ritorni al suo stadio primitivo… come nel ciclo della morte, trasformazione, resurrezione. Petrucci, inoltre, adottando il cefalopode, che è octopus, un polpo con otto tentacoli, e componendolo in decorazioni ottagonali, convoca il simbolo dell’infinito. Quanti contenuti accumulati entro quelle forme: che quasi galleggiano in un ambiente volutamente modificato da un colore-non-colore; ancora una volta, il nero, che ricopre l’intero spazio del piano-strada della Bibo’s Place.

C’è un altro lavoro interessante, Octomorphosis (Star#1), che risponde allo stesso criterio concettualistico: è un’anamorfosi a parete che, allontanandosi, vista di sguincio, si svela un ottagono dipinto con nero di seppia su un fondo reso con la stessa figura-tipo e con un ripetuto rapporto di contrapposizione chiaro e scuro, da intendersi – ormai il segreto è svelato – anche come naturale giustapposizione.

Scendendo al piano sottostante della galleria, altre opere disseminate nelle sale-scrigno; tra queste, una con la riproduzione dell’ultimo scatto della sonda Messenger prima di schiantarsi su Mercurio: Petrucci eterna questo che  sembrerebbe considerare un “sacrificio nobile” inscatolando la foto tra specchi che, quindi, la ripetono all’infinito …

Non ci si limita a guardare, in questa mostra, seppure con un terzo occhio suggerito… no: è possibile anche interagire con l’opera, nello specifico con SOL 759, e attraverso essa con il …pianeta rosso. Con uno scatto imprevisto, che affianca artigianalità tradizionale – della tessitura a mano di un tappeto in lana – a avanguardia – le immagini di Marte diffuse dalla Nasa grazie alla missione del Rover Curiosity – Petrucci rifà un dettaglio dell’astro sul quale, quindi, l’arte permette di passeggiare, aprendo un canale di comunicazione più diretta tra noi e quell’altrove temuto e favoleggiato in passato, protagonista di tanta produzione fantascientifica, spesso B, off (Cinema, Fumetto…), e fantapolitica, quindi idealizzato come alternativa al nostro mondo e divenuto nel tempo sempre più concreto e vicino. Non più sopra di noi, su nel cielo, ma sotto: ai nostri piedi…  Petrucci, del resto, è uso ribaltare anche il rapporto tra “ciò che sta in basso e ciò che sta in alto…”

Vediamo, in questa personale, Saturno, Mercurio, la Terra, Giove, gli Egizi, gli Etruschi, Sole Luna…; e 4 Vesta, l’asteroide luminosissimo riportato anche da Isaac Asimov nel suo  Naufragio (1938) e che con Cerere – curiosamente, Petrucci ha studio nell’ex pastificio e oggi Fondazione che ha lo stesso nome della divinità materna della terra, della fertilità e della vita – ha una certa influenza sulla Terra.

Una scultura, installata su una stele con qualche sentore totemico, campeggia in un’area della galleria: è 99942 Apophis. Si tratta della ricostruzione realistica in stampa 3D e scala 1:1 dell’omonimo, inquietante asteroide che l’arte di Petrucci ha reso ieratico, perfetto, a prima vista inoffensivo, in realtà motivo di allarme, nel lontano 2004, per un ipotizzato rischio di  collisione con la Terra, calcolata nel 2029, poi fortunatamente esclusa dagli scienziati.

Osservazioni, numeri, previsioni, talvolta giusti o invece no, talora preoccupanti oppure tranquillizzanti… Petrucci non dà mai nulla per certo, e non lo fa nemmeno l’arte.

C’è più di un cosmo e ci sono plurinarrazioni in queste opere che funzionano anche senza sapere tutto; sono quindi belle, risolte, indipendentemente dalla didascalia e dal livello di lettura esterna. L’Arte, in fondo, è proprio questa: niente formule risolutive ma investigazioni personali del loro autore che egli ci consegna e che possono essere condivise, farsi collettive; prospettive non omologate sulle tante realtà possibili e occasioni altre per intendere il nostro stare al mondo ed essere parte di esso. Qualunque esso sia.

 Leonardo Petrucci | 8

  • fino al 2 settembre 2018
  • Bibo’s Place
  • Via Ulpiano, 51 Roma
  • da mercoledì a venerdì: 16.00 – 19.00; sabato: 10.00-13.00 / 16.00-19.00
    su appuntamento contattando il 335.8420442 o scrivendo in galleria
  • contatti: tel. 335/8420442 – info@bibosplace.it
  • www.bibosplace.it
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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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