Street Food di Paolo Assenza e l’effetto Madeleine de Proust. E oltre

immagine per Paolo Assenza

Apprezziamo le realtà indipendenti, indipendenti davvero, e gli artisti talmente liberi da potersi concedere il lusso di gestire spazi autonomi, anch’essi indipendenti – Spazio Y a Roma – e aperti alla collaborazione ampia tra e di artisti e altri operatori di settore, teorici compresi.
Paolo Assenza è l’artista e Street Food la sua opera, un’installazione presente fino al 6 settembre (ore 19.00) a Fourteen ArTellaro – eccolo, un altro vero spazio d’indipendenza! – , Piazza Figoli, 14 Tellaro (SP) nell’ambito della rassegna La superficie Accidentata a cura di Gino D’Ugo

Come settimo appuntamento di Fourteen, l’artista romano (classe 1974) ci porta all’interno del cibo, e che cibo: da ‘O pere e ‘o musso a Napoli al lampredotto a Firenze, dalla porchetta e dalle coppiette romanesche e laziali al fish and chips in Inghilterra, dallo shawarma mediorientale, affine al Kebab turco, a Pani câ meusa a Palermo… fino a chissà quant’altro in Italia e nel mondo.

Si tratta di quelle pietanze già pronte per un consumo veloce, popolare (ma non solo), più economico e meno formale; sono vendute per strada e strettamente legate alla tradizione di un luogo e, seppure tornate in auge nella cucina di molti chef televisivi e di alcuni “stellati”, hanno carattere povero, antico, quasi primordiale.

Gustati e assimilati voracemente, sovete con curiosità, di questi alimenti più buoni resta, nel consumatore (come è restata in Paolo Assenza), la reminiscenza della sensazione provata, dell’attivazione delle papille gustative, che non si disgiunge da quella del  viaggio intrapreso e dei posti visitati, conosciuti, vissuti; cibo, scoperta dei luoghi, detonatore delle emozioni… Non si può prescindere, quindi, dallo stato d’animo, da quello visto e percepito, dalle impressioni ricavate tutto intorno: sovrapposte a quel che si è gustato…

Pensate, per capirsi, alle Madeleine, quel dolcetto tipico in Francia, più burroso ma simile al plumcake narrato da Proust in Alla ricerca del tempo perduto  in Dalla parte di Swann, che non a caso ha determinato l’effetto detto, appunto, Madeleine de Proust o sindrome di Proust. Infatti, quei cibi e i loro profumi, generando un fenomeno sinestetico, riportano a galla tanti altri pensieri e un’attivazione della memoria…: del tempo che fu, mai perduto, però, ma vissuto, anche fino a poco tempo fa…

Ebbene: l’arte ne diventa dispositivo propulsore che intensifica,  tutto questo processo concreto e interiore…

Ma di che tipo di Street Food speciale ci parla Paolo, mostrandocelo a suo modo? Nutre il ricordo e che cosa? L’anima, più profondamente. Infatti, è proprio una sorta di “nutrimento lirico, estetico, forse etico, trasmesso dai luoghi. Da gustare con i sensi e rielaborare con la ragione. Ricordi e suggestioni da contenere, far decantare e assimilare per poi magari trasmettere”.

Cosa resta?, ci domandiamo e si domanda Paolo Assenza; e si risponde con questa sua ricerca: “È qui che il viaggio non è fatto solo per viaggiare e, al di là dello scatto di una fotografia, scava qualcosa dentro, si stratifica nei meandri della memoria”, come fosse carta assorbente, e dissociandosi dal rumore di fondo, dal turismo di massa, “ci arricchisce e nutre di tradizione e di memorie degli altri.”

Cosa resterà di tutti questi dati e suggestioni?

Così ci dice l’artista, facendoci entrare nelle modalità che hanno generato, anche poeticamente, questo suo lavoro:

“Giugno/Luglio 2018. A Palermo ho passato lunghe giornate percorrendone le strade, ammaliato dai continui tesori che si nascondevano in ogni angolo della città, inoltrandomi in luoghi chiusi abbandonati, colori, profumi e una luce che dopo poco mi suggeriva alla memoria i netti contrasti che metteva in evidenza. Le strade della città erano un continuo sovrapporsi di cose, le tracce dei secoli e dei popoli che di tanto in tanto affiorano dalle mura che si sbriciolano, o riaffiorano come dettagli estetici ovunque, inaspettatamente.

Di lì a poco avevo assorbito una quantità tale di suggestioni che necessariamente, per fissarne i contorni, ho iniziato a riportare su dei piccoli tovaglioli, trovati nei tanti ristori di strada, appunti di viaggio che non volevo lasciare sbiadire nel tempo. Su un tavolo di vetro del mio studio improvvisato, con quei pochi materiali che porto sempre con me, ho iniziato a lavorare. La trementina rendeva trasparenti i fogli, che vi si impregnavano; l’olio e gli inchiostri si scioglievano passando oltre il sottile strato di carta. E così facevo quotidianamente, durante le notti, quando le strade su cui si affacciavano le mie finestre si popolavano di una vita che nelle ore diurne rimaneva nascosta in quelle intense ombre, che il sole altissimo all’orizzonte riduceva a sottili lame sfrangiate sulla pietra bianca, riflettendo la luce divenendo ancora più oscure.

Ossessivamente fino ai primi bagliori dell’alba svuotavo la mia memoria, come se sentissi che il giorno successivo avrei dovuto nuovamente ostruirla d’immagini… empty space. Distratto dal lavoro, ancora accecato dai contrasti che cercavo di trasferire sulla carta, notavo, soffermandomi pochi istanti sul vetro, che parte del dipinto rimaneva impresso lì, su quella superficie: una traccia misteriosa mi suggeriva di volta in volta d’esser parte di quella memoria che tentavo di cristallizzare. Molte delle forme sciolte si sfibravano prendendo dalle trame della carta nuove fattezze che dissimulavano le mie annotazioni.

Riflettevo (e rifletto) sul senso di queste tenue vestigia, che sempre più prepotenti iniziavano a interrogarmi su cosa sarebbe rimasto di quel divorare quotidiano, lì su quel vetro la notte successiva, prima di cancellarle implacabilmente, con un sol colpo di spugna. Effimere testimonianze che oggi ancora più precarie riporto sotto forma di luce, su quella stessa carta da cui si sono generate.”

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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