Maria Mulas e il suo sguardo raddoppiato

immagine per Maria Mulas

Maria Mulas è nata nel 1935 a Manerba del Garda in provincia di Brescia. Quarta di cinque figli, si appassiona subito alla pittura poi si trasferisce nel 1956 a Milano dove inizia la sua attività artistica in un momento di grande fermento in Italia, fatto di sperimentazione e di mescolanza tra i linguaggi la cui forza rinnovatrice la Mulas deve avere avvertito se, a metà degli anni Sessanta, si orienta verso la Fotografia. Questa, già praticata con fortuna dal fratello maggiore, Ugo Mulas, rimarrà il suo mezzo di espressione privilegiato per sempre.

Mi dice:

Ugo mi regalò la mia prima macchina fotografica, che era appartenuta a mio padre. Ero una ragazzina… Così prese il via tutto: con una vecchia, magnifica Leica.” (intervista con la sottoscritta , Roma, 26 settembre 2018)

In questo campo Maria primeggerà e attraverso l’immagine racconterà storie, persone, atmosfere, diventando una tra le più autorevoli fotografe italiane (e non solo italiane!).

 

Tra il 1965 e il 1976 realizza soprattutto fotografie di teatro, ma sono i ritratti che la rendono popolare.

A tal proposito, in una nostra conversazione nel suo studio a Milano,  racconta:

“Ho fotografato tutti, allora, artisti, intellettuali, tanta gente che vedevo quotidianamente; moltissimi erano artisti, legati all’ambiente che mio fratello e io frequentavamo”, mi racconta (conversazione, 9 settembre 2018).

Sono, infatti, tantissimi i personaggi da lei inquadrati. Essi si ritrovavano prima o poi tutti al celebre Bar Jamaica, dove Maria era un’habitué ma dove non ha fotografato molto, a differenza di altri suoi colleghi e del fratello; ci tiene a specificare, infatti:

“Non ho voluto, perché quello era un luogo-soggetto prerogativa di Ugo; anche alcuni artisti lo erano: pensa a Piero (Manzoni, n.d.a.)… No, io ho fotografato molto altri autori; e il gruppo di Marconi: amici veri, Gianni Colombo, Tadini…, che quasi vivevano la galleria un po’ come casa loro…” (conversazione, ibidem).

Davanti al suo apparecchio fotografico è passata proprio tutta la Milano che conta, che Maria Mulas ha conosciuto e conosce bene lavorando e vivendo tutta la vita nella città meneghina. Nel 1973 molte di quelle foto saranno parte del bel libro fotografico Milano vista da…

Non mancano incursioni più glamour, tra gli anni Sessanta e Settanta, realizzate per “Vogue Italia”, così come alcuni memorabili scatti di dive e modelle con preziosissimi gioielli (se ne riconosco alcuni, strepitosi, anche di Bulgari).

Tanta è la produzione di Maria Mulas, talvolta che non ti aspetti, come quella basata su una indagine legata a una qualche ritualità collettiva: una raccolta di ritratti che rivelano una sottile e spietata valutazione sociale.

Durante un nostro precedente colloquio (Milano, 7 novembre 2017), Maria ha svelato una profonda sensibilità etica, lamentando una “generale omologazione” in tutti i settori, una “autoreferenzialità dilagante” e una preoccupante latitanza di senso di responsabilità condivisa, che si è alleggerito “anche in ambiti più intellettuali e artistici”. Questa preoccupazione e questo sguardo critico le appartenevano anche in passato, palesati da quei ritratti esposti nel 1976 nella sua la prima personale alla galleria Diaframma di Milano, dove campeggiavano anche una serie che perpetua attori e artisti del tempo.

Ecco: gli artisti. Maria ne ha immortalati tanti, come abbiamo premesso:

“Mi piaceva in quel momento quel che vedevo e… clik!, lo fermavo; erano tutti compagni di avventura, non ho mai pensato di fotografare qualcuno perché era famoso o poteva finire utilitaristicamente in una pubblicazione o in una mostra un domani… Capisci? Erano sodalizi, o buone conoscenze: sono tantissimi quelli che oggi mi mancano, e quanto…” (conversazione, ibidem).

Molti di loro sono in altri suoi libri fotografici: Hans Richter (1976), Annotazioni sul linguaggio di Hans Richter (1978), Sul linguaggio organico di Henry Moore (1977). Nel 1979, sempre a Milano, alla galleria II Milione è in mostra (Biennale 78 – P.A.C. 79) con altri scatti di artisti internazionali, accanto a quelli di noti intellettuali.

In tutti i suoi volti emergono – allora, e per un biennio circa, anche grazie a un sapiente uso dell’obiettivo grandangolare 20 mm – i significati simbolici che i protagonisti incarnano: è molto evidente, nel suo lavoro di quegli anni, così come in quello successivo, come le immagini, in linea con le sperimentazioni concettualistiche e sulla Fotografia, siano – come correttamente qualcuno ha scritto – idee. Preciisate attraverso un certosino avoro in camera oscura.

Allo stesso tempo, ogni ritratto è un po’ un autoritratto. Ce lo conferma la stessa autrice (3 luglio 2017. Da ora in poi, ogni citazione della Mulas è da ritenersi afferente a tale contesto e data):

“In qualche modo, ho restituito anche quello che io vedevo e percepivo di loro, delle persone che fotografavo; molti amici. Tanti fanno parte di bei tempi e mondi ormai finiti…, ma che ritornano quando riguardo le immagini che ne ho tratto… La Fotografia è in fondo un eterno presente…”

Un eterno presente che avvicina a noi, ad oggi, ad esempio, Sonia Delaunay, Meret Oppenheim, Marcelle Cahn, Bice Lazzari e altre sodali fotografate nei loro studi. Stiamo parlando del 1979, quando la Mulas inizia una ricerca, affidata a Lea Vergine e voluta dal Comune di Milano, sulle artiste donne della generazione impegnata nelle file delle avanguardie storiche; è con questo lavoro che partecipa alla dirompente, celebre mostra L’altra metà dell’avanguardia curata da Lea Vergine (1980-1981: Palazzo Reale, Milano; Palazzo delle Esposizioni, Roma; Kulturhuset, Stoccolma) che entrerà nella Storia dell’Arte.

Racconta Patrizia Zappa Mulas, una delle figlie di Maria:

“Quando scattava foto stava guardando dentro se stessa.”.

Prosegue:

“Da bambina la vedevo tornare a casa fresca di strada con la borsa piena di rullini fotografici. FP4, HP4 ci stava scritto sopra. Avevo già imparato a riconoscere quelli vergini con la pellicola che penzolava fuori come un lingua. Era il pezzo da agganciare ai denti della Leika prima di chiudere lo sportello e cominciare a scattare. Quando il rullino era finito usciva dalla pancia della macchina liscio e concluso, senza quella smorfia, con tutti e trentasei gli scatti arrotolati dentro. Lo stato dei rullini era la misura dell’umore di mia madre. ”

L’esplorazione visiva di Maria Mulas è stata sempre originale anche per questo e pure nel suo sapere afferrare, dei soggetti, l’indole autentica, senza reticenze e qualche loro nascondimento, senza però mai barare: riconosciamo la spontaneità del loro mostrarsi a Maria e a noi, e, al contempo, un minimo offuscamento originato da peccatucci veniali, da vezzi di ricercatezza. Un doppio registro, dunque, che contrassegna le foto della Mulas che dei vari protagonisti immortalati esalta la più tranquillizzante normalità e lo straordinario che è in loro.

Questo, che mi piace definire sguardo raddoppiato, parallelamente reportagistico e introspettivo, lo avrà e userà ogni volta.

Lo vediamo, ad esempio, posato su Andy Warhol, che Maria ha stampato anche nella mente, benissimo: come artista geniale, ovviamente, ma anche come persona brillante, disponibile, simpatica…

“Anche se lo hanno descritto e lo descrivono come un tipo spesso scostante, con me non lo è mai stato; e si è rivelato molto spiritoso…”

Infatti, in una foto, lei lo ha eternato mentre a sua volta la fotografa (Milano, 1987); mi dice:

“chissà se avrà mai stampato quel mio ritratto mente lo immortalo; non lo so perché poco dopo è morto e non ho mai avuto modo di chiederglielo…”.

Quella normalità e quello straordinaro dei suoi soggetti, e il suo doppio sguardo,  lo rintracciamo anche nelle varie foto di Inge Feltrinelli (da poco scomparsa), amica e “regina dell’editoria”.

Quello sguardo raddoppiato di Maria ha colto gli amici Alix Cavaliere, Gianni Colombo, Gillo Dorfles, di cui restituisce alla perfezione la vivacità intellettuale e “il suo impegno, anche etico, nella vita”; Alberto Burri “burbero ma divertente”; Fausto Melotti, Georg Baselitz, Henry Moore, John Cage, Hermann Nitsch; “lo sperimentatore” Hans Richter; le pasionare Louise Bourgeois, Gina Pane: della prima ha bloccato un’espressione dolce, persino mite, mai vista prima in ritratti fatti da altri; della seconda, “un’amica anche lei”, nasconde un velo di stanchezza dietro gli occhiali scuri e la posa classicheggiante; ed ecco Maria anche in Grazia Varisco e nelle citate Delaunay, Oppenheim, Can, Lazzari; in David Hockney immortalato nel 1986; in “alcuni della rivoluzione della Pop Art alla Biennale di Venezia 1964!”, ovvero Jasper Johns, Robert Rauschenberg, Claes Oldenburg; in Joseph Beuys, che ha anche composto in un bel doppio-ritratto del 1984; in Christo, Gilbert & George, Bruce Nauman; e Anish Kapoor, portato per la prima volta in Italia da Salvatore Ala nel 1981; il gallerista organizzò anche la prima personale a Milano, nel 1984, a Keith Haring, artista “un po’ folletto, geniale”, come lo ricorda la Mulas, che ce lo propone in alcune foto memorabili. In una a colori, traspare un velo di malinconica tristezza dietro lo sguardo vispo e vitale.

E ancora, stesso sguardo moltiplicato, e sempre benevolo, per cogliere Giorgio De Chirico – all’aperto, tra la sua amata archeologia, ma non solo –, Antonio Calderara, Francesco Clemente, Mario Merz, Luciano Fabro; “l’ironico” Mimmo Rotella; Jannis Kounellis, spesso con la sigaretta in bocca;  Enzo Cucchi, giovane e dall’attegiamento quasi eroico in una foto doppia a colori; e poi: Ugo La Pietra; Emilio Isgrò; Pino Pinelli; Gianni Asfrubali; Marco Tirelli sorridente in una posa rilassata ma calibratissima;  Luigi Ontani in diversi scatti tra i quali uno, dov’è in primissimo piano, giocosamente deformato, simile alle sue maschere; e le intense Giosetta Fioroni, quasi nadariana, e Carla Accardi in una immagine in un certo senso doppia, mentre si riflette nello specchietto di un portacipria.

Tutti sono stati presi nei loro studi, durante gli allestimenti delle mostre o alle inaugurazioni, non solo a Milano, ma anche alla Biennale di Venezia, a Kassel, a New York…

Attraverso Maria Mulas vediamo una performance del 1977 di Marina Abramović – “Marina Abramović e Ulay, molto intensi, tanta partecipazione intorno, una emozione!” – e anche Jeff Koons e Ilona Staller – Cicciolina – coppia nella vita e nell’arte: “allora si amavano, si amavano davvero, e molto; si percepiva la passione tra i due! Le foto le ho scattate alla Biennale di Venezia del 1990”.

Riconosciamo gli storici e critici d’arte come Giulio Carlo Argan, Tommaso Trini, Lea Vergine, Flavio Caroli, Rossana Bossaglia, Vittorio Sgarbi, Stefano Zecchi, Giancarlo Politi con la figlia Gea, con Helena Kontova o con i loro gatti; e non manca anche Achille Bonito Oliva. Di lui dice:

 “Ad Achille voglio molto bene, lo stimo sempre tanto Non ci vediamo più molto, ma tanto tempo fa era più facile incontrarsi, a Milano e in giro, e l’ho fotografato più volte…”.

Nel suo archivio ci sono scatole e scatole, e provini, con volti e pezzi di Storia dell’Arte e del nostro paese: Mondadori, gli Agnelli, i Feltrinelli, con la citata amica Inge in testa; i potentissimi Peggy Guggenheim e Leo Castelli; il gallerista Cardazzo e i tanti colleghi a Milano; architetti e designer quali Gae Aulenti, Bruno Munari, Achille Castiglioni, Giò Ponti, Paolo Portoghesi, Roberto Sambonet, Mario Botta, Pierluigi Cerri, Ignazio Gardella, Vittorio Gregotti; personalità del teatro e del cinema come Tino Buazzelli, Valentina Cortese, Omar Sharif, Luca Ronconi, Giorgio Strehler, Paolo Grassi, Ermanno Olmi, Liz Taylor, Franco Zeffirelli, Sophia Loren, Virna Lisi, Silvana Mangano, Jon Voight…; giornalisti, intellettuali e star della poesia e della letteratura come Umberto Eco, Jorge Luis Borges, Antonio Tabucchi, una giovanissima Dacia Maraini radiosa; l’area beat con Lawrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg e Fernanda Pivano; Natalia Aspesi, Lina Sotis, Dario Fo – in una foto con sovraimpresso un emblematico dettaglio di Milano –, Gunter Grass, Andrej Voznesenskij; personaggi come Paloma Picasso e Marisa Berenson, musa del Fashion e attrice “bellissima – e che occhi! Sua nonna era la grande stilista sperimentale Luisa Schiaparelli” – e non sono mancati i protagonisti del mondo della Moda, tra i quali Giorgio Armani, Gianni Versace, Krizia, Trussardi, i Missoni, Enrico Coveri, Miuccia Prada e le modelle durante le sfilate.

Nelle foto si percepisce la confidenza di Maria Mulas con ognuno di loro; si avverte un’empatia che nasce prima e durante lo scatto, che l’immagine fissa per sempre parimenti allo spectrum. Non è sempre così scontato trovare un tale forte legame tra l’operator e chi esso fotografa: tale caratteristica, assieme alla messa a fuoco di un momento vissuto insieme, è assai spiccata nelle immagini di Maria che la rendono così speciale tra le eccellenze della fotografia italiana e internazionale.

Nella sua produzione si possono rintracciare anche delle chicche; tra queste, scatti di architetture talvolta anche caleidoscopiche, giocate sulle manipolazioni della pellicola, con rielaborazioni manuali: montaggi funambolici, sovrapposizioni, deformazioni, scomposizioni e ricomposizioni, che creano una nuova realtà strutturale, impossibile, e, insieme, astrazioni di grande impatto visivo.

Perfetto, a questo punto, ci sembra quanto di lei, nel 1985, scrisse Lea Vergine:

“Se fotografare è un modo di raccontare senza essere interrotti (né contraddetti) – si potrà ben sostenere, nel caso di Maria Mulas, che il suo non è solo un discorso ma una girandola, addirittura un fuoco di artificio, con esiti clowneschi e raggelati al tempo stesso”.

Nulla da aggiungere, ora resta solo da guardare.

 

  • Una mostra di Maria Mulas a Roma è in corso dal 27 settembre al 27 ottobre 2018 a Howtan Space Via dell’Arco de’ Ginnasi, 5 – info@howtanspace.com
  • Orari:dal martedì al venerdì: h 12:00 – 19:00; sabato e domenica: h 15:00 – 20:00. Chiuso lunedì.
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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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