Viva Momix Forever. Un incontro tra musiche e uomini animati

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Momix

Neofita del teatro dedicato al movimento del corpo insieme alla musica, esordisco nella vita culturale del 2019 lontano dalla prosa ed in preda alla coreografia: assecondando la ciclica ritualità del calendario, i Momix arrivano con lo spettacolo Viva Momix Forever presso il teatro Bellini di Napoli nella cerniera tra il 2018 e 2019 conosciuta ai più come settimane di vacanza: da un lato l’assoluto richiamo dell’interprete, dall’altro la pausa festiva realizza il sold out nella misura di un pubblico felicemente pagante.

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Proprio la distanza rispetto a quanto in oggetto, mi permette di osservare poco lontano da lì, con uno sguardo meno disincantato ma pronto a raccogliere alcune urgenze spettacolari evidenti nella pratica di questo collettivo di danzatori il cui successo ne precede la storia, la cui ricostruzione lasciamo ad altri divulgatori.

Un montaggio di numeri in singolo o in collettivo con la musica che si posiziona a fare da sfondo all’azione performativa per i nove in azione sul palco del teatro Bellini di Napoli – cinque danzatrici per quattro danzatori – anima la composizione dello spettacolo. Si tratta di una replica audiovisiva segmentata dagli applausi del pubblico, a sottolineare la chiusura di ogni numero avendo la decenza di intervenire solo alla fine – mai nel mentre, come succede alle volte per la musica.

Capitiamo in una buona posizione, tale da notare dall’alto come l’applicazione più usata in sala sia whatsapp, a segnalare il carattere so busy del pubblico delle sale teatrali.

Il ritmo è affidato a composizioni non troppo entusiasmanti sotto il profilo musicale, di certo molto popular nell’applicazione alle immagini tali da non dover essere necessariamente originali; di certo prevale un atteggiamento e arrangiamento elettronico ma lo stesso non pretende sincronia dai protagonisti in gioco: possiamo parlare di atmosfera musicale ad adeguare i movimenti d’insieme di ballerini che non limitano la loro azione al corpo ma lavorano con efficace evidenza sulla ragnatela di oggetti con cui elaborare le coreografie.

La ricerca della figurazione come tematismo nella danza risulta evidente in alcuni interventi come quelli che imitano uno stormo di gabbiani ma anche il gioco nello specchio in funzione della riflessione di una propria metà, richiamando alla memoria quei movimenti simmetrici dal sapore vitruviano.

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Sono i bambini a incorniciare col sorriso alcuni cambi palco – come quando per togliere un l’enorme specchio di cui sopra dalla scena, viene simulato col sipario il movimento di una linea che ricorda il cartone animato di Osvaldo Cavandoli ai più e meno canuti presenti in sala, mentre il suono sottolinea i movimenti della luce sul tessuto.

I presenti in sala assecondano la loro disposizione d’animo tornando ad uno stato di risveglio dal torpore in seguito alle scariche della meraviglia nel vedere a quali possibilità espressive può essere piegato un corpo.

Eppure lo spettacolo dei Momix non deve avermi entusiasmato troppo se durante la performance mi sono lasciato scappare frasi del tipo: “sembra di assistere a Fantasia, quasi un incontro tra musiche e uomini animati”. Una tinta decisamente spettacolare – tanta è la carica dell’azione performativa dei Momix tale da esprimersi con la stessa forza anche sullo schermo tecnologico, lontani dall’assenza della quarta parte – infatti colora tutta la messa in scena, quasi che si potrebbe skippare il numero proposto se non fosse per l’irripetibilità evidente dovuta all’ambientazione teatrale delle loro coreografie.

Tutto si riduce all’orchestrare uno spettacolo derivato dalla giustapposizione di una decina di interventi per tempo, con grande responsabilità affidata al disegno della scena tanto nel suo allestimento che nella sua illuminazione.

La risposta della tecnologia è resa evidente dall’impiego continuo di proiettori di immagini che sottoscrivono il testo drammaturgico.

Insomma, non sembra difficile definire questo spettacolo qualcosa che guadagna della distanza con il pubblico tale da imprigionare quei danzatori sul palco nel quadrilatero di una fotocamera, se solo ci fosse concesso. Invece siamo pronti a saggiare solo con gli occhi quello che si rivela sotto i nostri occhi, così poco lasciato al caso da sembrare effettivamente artefatto.

I costumi di scena meritano un plauso per la loro multifunzionalità, allegria e opportuna aderenza ai corpi dell’ensemble, ma è nell’incontro tra il corpo e gli altri oggetti che viene premiata la logica di contaminazione col quotidiano che celebra un certo modello di danza contemporanea, laddove il corpo necessita di diverse estensioni, specie se residuali negli oggetti. Così, il momento evidentemente più fortunato è quello che esplora le possibilità materiche della carta, lunghi tappeti di cellulosa accolgono i corpi concertando aleatori scoppiettii al pari avvolgenti.

Poco più di novanta minuti circoscrivono l’azione dei Momix, in uno spettacolo che deve far riflettere sulla costruzione di una replica a mezzo montaggio di numeri che avvicina questa forma teatrale a quella più quotidiana dell’ascolto dei dischi musicali, laddove è proprio la musica a esercitare questa funzione segmatizzante oltre che semantizzante.

Lontano dal balletto classico, preda semmai solo di una rimodulazione buona per il finale, l’assoluto muoversi nell’asincronia tra gesto e musica relativizza il discorso sullo sfondo acustico nel quale immergere i capi firmati della coreografia, producendo semmai una linea di demarcazione labile nel pur visibilissimo retroterra spettacolare dell’azione scenica.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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