[kalporz] Venezia 76 al tempo di Netflix

immagine per Mostra del Cinema di Venezia

Venezia 76 è finita, almeno per me”, questa semi-citazione baustelliana è d’obbligo per un luogo così carico di semantiche e significati come la Mostra del Cinema di Venezia. Il festival si chiuderà ufficialmente il 7 con la cerimonia di chiusura affidata a “The Burnt Orange Heresy”. Noi però in questi giorni di festival abbiamo sguazzato, ed essendo per me la prima volta in una kermesse cinematografica così importante, la mia scelta delle sale e dei film è stata dettata da un puro e fallibilissimo istinto: ecco allora delle considerazioni sparse con cui vi racconto Venezia 76.

Geografia di un nuovo pubblico

Fiumi di giovani, una generazione che cambia il volto al festival, alle sale e probabilmente all’atmosfera stessa di Venezia 76. Tutto sembra più rilassato: io ero con l’elmetto, pronto al post-polemiche su Polanski, e invece niente, probabilmente la gioventù porta consiglio. L’analisi più interessante e anche il suggerimento migliore è analizzato da un editoriale di Ciak: per non far rimanere confinata la passione per il cinema c’è bisogno di manovre, incentivi e idee pensate da chi il cinema lo porta in giro. Venezia 76 è un modello, perchè anche se alcune file sono estenuanti, vanno accettate di buon grado se serviranno a dare un nuovo senso, un indirizzo alla politica culturale del nostro paese. Una ricerca, pubblicata alcuni giorni fa per Audience Agency, ha mostrato anche come ben oltre il 40% dei visitatori delle gallerie d’arte appartenga alla categoria dei (sì lo sto per dire) millenials: canalizzare queste nuove energie tocca a delle politiche di sviluppo che vadano oltre i grandi eventi e si concentrino anche sullo sviluppo di piccole, innovative e coraggiose realtà. L’arte e il cinema hanno un nuovo orizzonte che va sfruttato per una consapevole e intelligente crescita.

Sky, Netflix e il futuro del cinema

Venezia 76 non è un luogo per luddisti da tastiera, le nuove realtà protagoniste della scena cinematografica/seriale/ streaming/ (trovate un sostantivo che vi piace) sono entrate a gamba tesa nel festival, portando “The New Pope”, “The King” e “The Laundromat”. È fondamentale che anche in appuntamenti del genere si riesca a costruire un nuovo tassello di dialogo e collaborazione tra le nuove piattaforme e il futuro del cinema, campo nel quale lo sviluppo non deve essere un terreno di scontro. All’uscita del logo di Netflix, all’inizio del film di Soderbergh, il pubblico ha applaudito: un piccolo ma chiaro, inequivocabile, segno di fidelizzazione e passione nei confronti della piattaforma che ormai ha costruito un immaginario. Sul tema, non legato a Venezia, apparso su New Republic è stato scritto un interessante punto di vista intitolato “Netflix non salverà il prestigio del cinema”: probabilmente per salvarsi c’è bisogno di un’integrazione, di un approfondirsi e di scelte che vadano oltre le logiche del mercato e che sappiano attrarre nuovi e storici visionari. Sogno, utopia, forse, ma per adesso, con nuovi concorrenti che si affacciano alla creazione di contenuti originali e pensati per le piattaforma di streaming, è veramente difficile pronosticare il futuro e il dialogo tra cinema e seriali.

Gary Oldman e Antonio Banderas in “The Laundromat” di Steven Soderbergh

Psicologia Power

“A Dangerous Method”, diretto da Cronenberg, rubò la scena a Venezia 68: nel film è raccontata la storia di Freud e Jung e per questa edizione del festival ci sarebbe proprio bisogno di due specialisti per analizzare la costruzione psicologica multistrato di personaggi come Joker (Joaquin Phoenix) e Martin Eden (Luca Marinelli). Se il primo vive in simbiosi con la sua patologica, sotto ogni punto di vista, risata, il secondo non manca di accendersi in eccessi egotici e pieni di radicalismo sfrenato. I due film giocano e si destreggiano su righe sottili ed eccessi poetici, a loro modo sono due film incredibilmente importanti che vanno anche oltre lo spessore dei personaggi delineati. “Joker” ridisegna un nuovo futuro al cine-fumetto, che scappa dai green-screen e dalle esplosioni, approdando su di un “lido” più attraente e vero, “Martin Eden” reinterpreta in chiave audace una storia senza tempo. Pietro Marcello lo fa esattamente, dando un contesto spazio-temporale che si muove insieme alla psicologia e alle scelte di Martin: qui Napoli diventa un teatro in cui consumare tragedia di Martin Eden.

Rubrica del cuore: Fulci for Fake

Quando entrano degli zombi in sala, una parte del cuore è sempre pronta a sussultare, a ribaltarsi e ad innamorarsi. Se poi queste apocalittiche creature si uniscono alla visione del documentario di Simone Scafidi su Lucio Fulci, ogni tassello magicamente prende il posto adatto e la soddisfazione regna sovrana. Il documentario è uno studio, una tessitura e ricapitolazione di trame che spazia nelle intimità: nelle scelte artistiche e nell’eredità di uno dei registi più significativi della nostra storia. La dignità di un cinema di genere di elevatissima qualità che si sposa con una personalità e un carisma unico. Nel documentario si toccano i demoni di Fulci che sono molto più umani di come possono sembrare, Scafidi e il suo lavoro sono tempestivi e necessari a puntare i fari su un regista, artista ancora misteriosamente poco valutato da noi.

Alla ricerca di una circolarità in questo pseudo-report/flusso di coscienza, provo a tornare sui Baustelle o meglio su Francesco Bianconi che nel suo libro “Il Regno Animale” parla così di Venezia: “Venezia ce l’ha con i claustrofobici, coi colitici, coi paurosi in generale”. A Venezia 76 tutto questo si evince ed è assolutamente presente la grande voglia di abbattere le paure. La stagione dei festival è iniziata con grande enfasi e tutto l’ossigeno respirato speriamo sia reperibile anche nelle sale di paese e di provincia che troppo spesso stentano e scompaiono.

di Gianluigi Marsibilio


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