Sognare la terra. Il troll nell’Antropocene. Di Fabrice Dubosc

[…] Certe collettività divorano le anime invece di nutrirle. Esiste, in questo caso, una malattia sociale, e il primo obbligo è allora quello di tentare una cura; in certe circostanze può essere necessario ispirarsi ai metodi chirurgici.

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Che l’umano si sia […] in gran parte sconnesso dall’ecosistema è testimoniato dalla riduzione globale del 60% della popolazione animale negli ultimi cinquant’anni.

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Il famoso poster dello Zio Sam con il dito puntato che guarda in faccia chiunque permetta allo sguardo di essere catturato è per me la perfetta icona dello Stato: “Ti voglio”. Un indiano dell’Amazzonica capirebbe immediatamente di che sta parlando questo spirito malvagio, e facendo finta di non sentire guarderebbe dall’altra parte.
Viveiros de Castro

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Quando guardi un albero in cui le foglie disegnano un volto umano contro il cielo e poi vai avanti e indietro nel gioco dell’immagine – volto-albero, albero-volto e così via, quello è un tabapot. L’uomo stesso è un tabapot, perché i suoi desideri sono contenuti in una forma, e tuttavia egli vuole ciò che si trova al di fuori di quella forma. Quando la ottiene però, desidera ritornare nuovamente alla sua forma umana.
Rodney Needham, citato da Roy Wagner

Spegnere, per sempre, il dispositivo CRISI

Cos’è un troll? “Rappresentato nel XIX secolo come abitante demoniaco dei luoghi solitari, residuo di una natura colonizzata, pietrificato e pietrificante, propenso a divorare gli umani e a non rivelare niente di sé”, il troll è arrivato a caratterizzare lo spazio contemporaneo; è facile incrociarlo nel mondo reale o in quello digitale mentre divora, immobilizza, deprime, distrugge e soprattutto odia.

L’hater, ad esempio, è una tipologia molto virulenta e visibile di troll: affetto da rabbia impotente, abbraccia la filosofia dell’immobilismo distruttivo. Visto che è impossibile cambiare, preferisce sperare o addirittura accelerare una rapida fine. Buonista non volto al bene, è perso in una rete inestricabile di complotti.

E c’è anche chi, inserito nelle logiche di impoverimento spirituale imposte dal capitalismo e volto ad un consumismo che è misura del benessere, è contrario a qualsiasi forma di evoluzione.

Proprio dalla descrizione delle caratteristiche del troll parte la “ricerca immaginativa” dello psicologo Fabrice Olivier Dubosc Sognare la terra (Exòrma Editore). Il saggio raccoglie in maniera brillante e leggera elementi di storia, letteratura, arte, sociologia e molto altro in un percorso che vuole riportare il troll al ruolo innocuo di “figura che anima il possibile”.

Che fare dunque? Occorre elaborare una “clinica” per rimuovere le politiche dell’inimicizia e disinstallare le tecnologie che propongono affetti sterili e incontrollati. Rivedere i “codici familiari in una valenza eco-sistemica in cui ogni differenza ha un posto a tavola e nel dibattito” e stabilire una democrazia affettiva in cui tali codici (appartenenza, cura, protezione, norme, alleanze…) sono condivisi universalmente.

In questo modo, ed attraverso un rinnovato dialogo con una spiritualità che ri-porti a forme immaginative evolute ed articolate, l’essere umano può tornare a mediare, a pensare in maniera libera e incondizionata, ad interagire con diverse forme di complessità, oltre che con l’ignoto.

Potrà così riprendere i contatti con il mondo spirituale e quello metaumano, con entità ed elementi invisibili agli occhi che hanno anch’essi potere di cura dell’ambiente. Saprà riconoscere l’esistenza di una pluralità di mondi per sentirsi parte di una “connessione costitutiva” tra il tessuto vivente animale, vegetale e minerale. Saprà vedere gli Spiriti della foresta perché avrà una sensibilità viva ed evoluta.

Alla luce di queste riflessioni su un universo in divenire, l’esplosione di una pandemia [il testo è aggiornato al marzo 2020] può accelerare il processo di ricostruzione del modo di vedere ed organizzare il mondo? Ora che il virus ha accelerato il fallimento delle privatizzazioni neoliberiste, sarà possibile rivolgersi verso una diversa forma di bene collettivo?

Si calcola che tra i mammiferi non domestici vi siano sino a 600.000 specie diverse di virus che potrebbero potenzialmente essere trasmesse agli umani. Il cambiamento climatico associato all’urbanizzazione, all’impoverimento degli habitat animali, alla deforestazione, sta creando importanti spostamenti di popolazioni animali che determineranno nuove ricombinazioni e opportunità di condivisione virale per specie precedentemente isolate, facilitando il passaggio zoonotico di virus dagli animali all’uomo.”

Se da una parte, per dirla con Noël Mamère, “il virus ci fa vivere una sorta di prova generale prima del tracollo di un modello che ha trovato i suoi limiti”, dall’altra esso ha la funzione rivelatoria di mostrare la connessione tra identità e salute e mostra la necessità di rivedere ed ampliare il significato di salute.

Fino a diventare occasione per re-inventare un’etica collettiva. Viene così alla luce una consapevolezza condivisa per cui “immaginare una buona vita (e una salute), in un ambiente strutturalmente sempre più fragile, implichi un cambio radicale di paradigma”.

Laddove il making kin di Donna Haraway vede un universo dai confini transumani in cui la specie umana contempla la propria estinzione mentre la natura si riappropria progressivamente dei suoi spazi, Dubosc propone l’estinzione del troll, non della specie umana attraverso un messaggio non decadente e costruttivo.

L’essere umano può accettare il fatto di essere cannibale e non temere di essere divorato né di rimanere schiavo del suo istinto; può arrivare ad esprimersi in un intreccio di relazioni in cui emozioni ed azioni vanno a “immaginare creativamente il comune”.

Bisogna potenziare mezzi, responsabilità e capacità di salvaguardarsi, nel contesto di una cultura in grado di promuovere autonomia e crescita cognitiva, emotiva, relazionale: individuazione e relazione, prevenzione e cura, ma nel contesto di un mondo che genera calore e senso vitale del proprio fare e appartenere, del proprio studiare, lavorare e giocare. In modo da a far fronte intelligentemente a una catastrofe.”

Fiorire e dare frutti in qualunque terreno si sia piantati. […] senza tuttavia ignorare che non tutti i terreni sono fertili” non implica un ritorno alla natura ma “un’altra comprensione, panpsichica, transpecifica, metamorfica della prospettiva umana”.  Una volta ampliati i confini del mondo e capovolto il rapporto con il mondo fuori di noi (Vivo Ergo Cogito), sarà possibile definire nuovi percorsi di cura e inaspettate occasioni per essere felici.

Un essere umano che “difende il futuro delle generazioni a venire, nel riconoscimento crescente dell’interdipendenza del vivente” è un essere estremamente potente e seducente, sempre in viaggio verso nuove forme di interazione, rispetto e convivialità.

Tutto questo lascia alla natura lo spazio per trovare da sé nuovi equilibri e dà al mondo una deriva opposta a quella de La Strada di Cormac McCarthy. Ora il mondo “si può riparare”.

Dubosc, tra le varie cose, promuove un gruppo di ricerca interdisciplinare di Clinica della crisi, uno spazio di dialogo volto a immaginare un passaggio “dalla critica alla clinica in tutte le sue possibili declinazioni psico-socio-ecologiche”.

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Ha fondato e gestito lettera.com, una delle maggiori riviste online di recensione di saggistica e narrativa in Italia, ed ha portato avanti studi di genere in modo approfondito sulle sottoculture urbane e l’underground musicale degli anni '80 e '90. Appassionata di arte d'avanguardia, vive soprattutto a Roma.

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