Epica Quotidiana. La preghiera laica di Ilaria Grasso

immagine per Ilaria Grasso

Quando torno dal bagno sul monitor mi appaiono
immagini di aurore boreali isole esotiche e ruscelli
proposte random dal sistema operativo e inizio a sognare.
Di tanto in tanto nel corridoio incrocio qualche sguardo amico
e mi sembra di stare tutti assieme su una barca
e poter persino approdare
a quell’isola che sullo schermo vediamo così lontana. 

Abbiamo avuto la fortuna di incontrare Ilaria Grasso prima di avere tra le mani la raccolta poetica Epica Quotidiana (maggio 2020, edizioni Macabor, prefazione di Aldo Nove), che segna il suo esordio. Eravamo con lei in una libreria a San Lorenzo a Roma, alla presentazione di Black Village di Lutz Bassmann, l’ultimo lavoro pubblicato in Italia di Antoine Volodine nel 2019.

Ilaria è una donna alta, con i capelli lunghi, ha occhi vivi che emanano lampi di intelligenza. Con lei abbiamo parlato a lungo di quell’autore che noi ancora non conoscevamo e di cui lei era appassionata lettrice.

immagine per Ilaria Grasso

A un corpo vigoroso Ilaria contrappone una voce pacata che sembra mostrare fragilità, il suo sguardo tagliente è accompagnato da un sorriso amabile e ricco di magiche sottigliezze. Sono una donna “scom-posta”, scrive ogni tanto di sé, eppure questa “scom-postezza” lascia intravedere il lucido rigore di una fortissima personalità.

Epica Quotidiana ricorda in qualche modo l’aspetto dell’autrice. I versi hanno struttura potente, voce chiara, non si risparmiano, non rincorrono inutili neologismi. Eppure le parole sottendono un’elegante dolcezza che senza cercare l’esplosione percorre una strada dritta con la forza indomabile del vissuto.

“Dobbiamo aprire le parole e riempirle di azioni e significati” dice Ilaria, e lo fa per davvero. Partecipa alle manifestazioni, a Roma è con Gli Stati Popolari a piazza San Giovanni, a piazza del Popolo a portare il suo omaggio a George Floyd, a Piazza Santi Apostoli partecipa al presidio “Molto più di Zan” a sostegno della legge contro l’omobitransfobia e la misoginia. È parte della lotta, con una presenza politica forte e costante nella protesta sia quando si tratti delle contraddizioni e delle assurdità del mondo del lavoro, sia quando ci siano diritti da difendere e ingiustizie sociali da denunciare.

Ilaria Grasso racconta il naufragio della nostra Costituzione, la vita di chi torna a casa stanco su un mezzo pubblico, di chi cede alle lusinghe del proprio capo in ufficio, e non solo. Mostra “ciò che è sotto gli occhi di tutti ma che non ci piace vedere”. Gesta di eroi che sono “fluire di carne snervata” e senza nome, “massa che avanza”, “schieramento quotidiano” che si sparpaglia soltanto se “ogni tanto un incidente prova a rompere le righe”.

A parlare sono le voci degli operatori telematici, delle pulizie, dei call center (“le cuffie mi stringono le tempie e la mente”), degli operai delle fabbriche, degli impiegati, delle mamme che escono dagli uffici e vanno dai nonni a prendere il bimbo assieme alla cena. Ed accanto agli autobus che non arrivano ci sono i corpi: stipati, spossati, costretti in un’esistenza in cui il desiderio di una chiacchiera e di una lettura è inserito in uno spazio strappato al sonno che si assottiglia sempre di più. E c’è’ l’insonnia, imposta da una quotidianità che non lascia spazio all’immaginazione.

Chi oggi è incastrato in questo nuovo mondo del lavoro, sia esso flessibile o stabile, fa i conti con il nuovo in maniera consapevole (“siamo subacquei e ci raccontano di essere pesci”) e senza rassegnazione. In Epica Quotidiana non ci sono piogge di rane, non ci sono vittime né sterile estetica del dolore; non ci sono prospettive oblique, parole insolite, metafore che richiedono sforzi a immaginarle.

Partendo da una descrizione del presente vivida e amara (“Un tempo per far rivoluzioni occorrevano/ giovani forti e una certa dose d’incoscienza. / Ora chissà”) è bello pensare che “Guardando oltre”, è possibile che sia come “Diceva Delors che nessuno può innamorarsi del mercato/ e infatti io sono qui a sognare pratiche d’amore e d’eresia”.

In tutto questo sembra quasi che uno dei versi accompagni il lettore in tutto il libro, per poi tornare nei giorni successivi, come se qualcuno continuasse ad elaborare un pensiero, come se tutti i personaggi che abbiamo incrociato a un certo punto si unissero in un’unica voce ed estraessero all’unisono un unico verso: “tu ti devi ribellare”.

Bella la nota finale, in cui Ilaria Grasso racconta il suo rapporto con la poesia: “I versi vanno contemplati e rappresentano per me preghiera laica e occasione di ascolto di un portato etico, politico e sociale.”

Epica Quotidiana di Ilaria Grasso

Quando ti abbiamo incontrata ci hai parlato del tuo attivismo nel movimento transfemminista. Il movimento è ancora al centro dei tuoi interessi politici oppure questi si sono evoluti in qualcosa di più ampio?

Il mio attivismo non si manifesta solo nelle piazze ma è azione quotidiana. Se c’è qualcuno in difficoltà lo aiuto anche senza una struttura o appuntamenti fissi in una qualche associazione. Per me è sempre stato così. Il mio attivismo però sta mutando. Il mio modo di leggere è molto cambiato come pure le mie riflessioni che sento ampliarsi e farsi sempre più inclusive. In Epica Quotidiana mi sono occupata di lavoratori e quanti di questi sono donne, trans, gay, lesbiche, bisessuali e via dicendo? Sono spesso invisibilizzati come pure tanti lavoratori che contratto non hanno e dunque sono privi di tutele.
Bisogna pensare a tutt* senza lasciare nessuno indietro! Durante il lockdown non mi sono fermata mai a sensibilizzare a livello social tutte quelle realtà che subiscono costantemente pressioni e violenze da un’eteronormatività e da un mercato che mercifica tutt*. Sento l’esigenza di fare proposte concrete e sottoporle ai soggetti politici. Ci vorrà un tempo ma è tempo necessario per pensare qualcosa di sensato e soprattutto fattivo. Oggi più che mai è necessario!

Si può pensare a un movimento poetico che fa suo il concetto “preghiera laica” di cui parli alla fine di Epica Quotidiana? Se sì, come lo immagineresti?

Sarà scontato ma per me sempre valido il parallelo. La piazza e i cortei sono un rituale e la lettura della poesia, soprattutto certo tipo di poesia, quella del lavoro e quella massimalista, sono una forma di preghiera. I santi a cui mi voto sono Balestrini, Pagliarani, Volponi e tutti quelli a cui ho dedicato la sezione “Le gesta dei padri” di Epica Quotidiana. E poi ci sono le bibbie, passate e presenti, scritte in prosa e saggistica da leggere e contemplare. Penso a Bianciardi, a Giorgio Falco, a Francesco Dezio, Nadia Agustoni, Fabrizio Bajec, Vitaliano Trevisan, Raffaele Alberto Ventura, Antonio Talia, Alberto Prunetti e tanti altri. Ma ci sono anche tanti missionari. Mi riferisco ai direttori di case editrici o alle riviste indipendenti che fanno un po’ di luce nello stantio panorama italiano. Penso a D editore, a Not, a DeriveApprodi o Alegre. Ma anche a Scomodo, Menelique o Charta Sporca o Numero Cromatico.
Apprezzo molto il lavoro di divulgazione che Giuseppe Lupo ha fatto e continua a fare. Ecco le loro parole sollevano le questioni e alzano il vento che noi dovremmo mantenere come un paio d’ali per tendere verso l’iperuranio e migliorare la condizione degli ultimi e degli invisibili. Da molto non vedo intellettuali, poeti e giornalisti o saggisti nelle piazze. Non mi sembra che questo giovi alla lotta per i diritti e alla manutenzione dei diritti e delle tutele. Mi piacerebbe che si riprendesse la praxi con impegno e serietà e partecipazione reale. I libri senza una azione o un comportamento non fanno cultura ma solo erudizione e l’erudizione spesso allontana anziché aggregare e fare movimento. A questo punto mi piace fare una citazione di Jill Lepore: “Marciare per le strade è ciò che fanno le persone senza potere”.
Forse chi non scende in strada pensa già di avere potere e privilegi e che questi non gli vengano mai tolti. E questo forse la dice lunga su molte assenze e mancanza di coscienza politica.

Quali incontri fortuiti o sorprendenti con poeti hanno influenzato la tua vita?

Mi ripeterò ma il primo incontro è stato con Giorgio Ghiotti. Stava presentando Mademoiselles. Le nuove signore della scrittura. Avevo appena terminato la mia disastrosa convivenza e avevo bisogno di trovare modelli di donna. Nel libro e nell’amicizia di Giorgio ho trovato la linfa giusta per ripartire.
Altri incontri mi hanno forgiata. Mario Famularo per la sua profondità e il suo instancabile incoraggiamento nonostante il nostro versificare sia così differente. Altro incontro importante è stato con Giovanni Ibello che mi ha iniziato alla lettura della poesia russa che sarebbe stato poi mio grande amore, nonché la poesia che ha fatto emergere la connotazione civile della mia poesia. L’incontro con Aldo Nove ha tutte le caratteristiche della modernità degli approcci. Ho letto molti dei suoi libri, ho fatto Epica Quotidiana e poi l’ho contattato via FB. Lui era entusiasta e io molto contenta. Siamo con il tempo diventati amici. Ci sentiamo quasi ogni giorno e ci confrontiamo su molti e vari argomenti, non parliamo solo di poesia. Aldo è una continua scoperta ed è per me un onore grande poterlo ascoltare. Un incontro fortunato per me è stato quello di Rocco e Vincenzo della libreria Simon Tanner di Roma. La loro abilità a trovare volumi rarissimi ha nutrito Epica Quotidiana e sfamato la mia insaziabile curiosità. Quella di via Lidia a Roma non è solo una libreria d’occasione ma anche un luogo fatto di relazioni culturalmente e umanamente fertili. Lì è ad esempio avvenuto l’incontro con Giuseppe Garrera, musicologo, storico dell’arte e collezionista. Un incontro molto felice e stimolante e che a breve ci vedrà coinvolti in un evento sulla poesia in fabbrica. E poi c’è tutta una serie di incontri fortuiti e fortunati che sono avvenuti attraverso la lettura. I libri parlano esattamente come le persone. Bisogna solo ascoltarli. Io li ho ascoltati e a loro ho dedicato la sezione che citavo nella seconda domanda dell’intervista.

Le statue di quali 3 poeti abbatteresti, e perché?

A questo proposito voglio fare una riflessione. Leggo della via a Pierluigi Cappello che ha dovuto vedere mobilitarsi delle persone perché non era stata inserita la dicitura “poeta” nel cartello delle indicazioni stradali o della statua a Fernanda Pivano che, nonostante una petizione di sostegno, non è stata costruita. Grazie alla Pivano abbiamo conosciuto molti autori d’oltreoceano: da Ernest Hemingway a Jack Kerouac, da Allen Ginsberg a Erica Jong. Di questo nessuna memoria. Nessuna memoria di una donna e di tante altre donne nella toponomastica delle città. Per me questo è un problema perché quando ci perdiamo nelle città, le statue e le vie sono orientamenti e i nomi che le portano possono condurci ad arrivare non solo ad un appuntamento ma anche alla conoscenza di un qualcosa che prima non conoscevamo. Ecco in questo caso vedo troppe donne invisibilizzate. E questo non è senz’altro un bene. Quindi preferisco aggiungere che togliere. Per me vale l’andersoniano more is different perché a ogni livello di complessità compaiono proprietà interamente nuove che non possiamo estrapolare da quello che già conosciamo.

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Ha fondato e gestito lettera.com, una delle maggiori riviste online di recensione di saggistica e narrativa in Italia, ed ha portato avanti studi di genere in modo approfondito sulle sottoculture urbane e l’underground musicale degli anni '80 e '90. Appassionata di arte d'avanguardia, vive soprattutto a Roma.

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