I Prinz Gholam a Villa Massimo. Su Hidden Histories il contributo di Sara Alberani e Valerio Del Baglivo

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Prinz Gholam

Mercoledì 28 e sabato 31 ottobre 2020 si esibiscono a Palazzo Altemps di Roma i Prinz Gholam, duo artistico in residenza a Villa Massimo. L’evento, uno dei pochi ancora non cancellati a causa del nuovo Decreto dei Ministri anti-pandemia, si inserisce nell’ambito delle iniziative di Hidden Histories, il programma di laboratori, performance, incontri, esplorazioni e camminate urbane che recupera, rivive, racconta secondo un approccio critico e costruttivo il patrimonio della città.

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Prinz Gholam

Insomma: un Festival vero e proprio, di cui ci raccontano meglio i due curatori, Sara Alberani e Valerio Del Baglivo

Uno degli effetti più visibili della corrente pandemia, è stato che ci ha colto completamente impreparati. E questo nonostante da decenni il nostro pianeta avesse continuato ad avvertirci con segnali inequivocabili della crisi ambientale in corso e delle possibili conseguenze. Proprio in questi momenti di completo spaesamento, l’arte può venirci in soccorso.

Del resto, con linguaggi di immaginazione, gli artisti ci abituano costantemente all’incontro con il non conosciuto e allo stesso tempo ci chiedono uno sforzo di attenzione e concentrazione per innescare percorsi di fruizione. Due esercizi di apprendimento ma anche di empowerment, che saranno indispensabili per non farci più sentire inadeguati di fronte all’incontro con l’imponderabile dei futuri prossimi, e che ci permetteranno di mantenere alta la concentrazione rispetto alle trasformazioni in atto.

Da molto tempo volevamo realizzare un progetto dedicato a Roma, per scardinare la narrazione principale di una città che vive del suo passato e avviare un percorso di riformulazione del legame tra l’enorme eredità culturale e le voci contemporanee che la animano.

Il lockdown causato dalle norme imposte nella primavera del 2020 a causa della pandemia da Coronovirus in Italia, ha semplicemente accelerato questo percorso: che ruolo avrà la cultura a livello locale in un mondo ossessionato dal turbinio della globalizzazione? Come ridefinire i parametri dell’interazione sociale? Quali regole disciplineranno i nostri comportamenti nello spazio pubblico? Come ripartire dal contesto culturale locale per affrontare i temi delle urgenze contemporanee?

Hidden Histories nasce sotto le questioni urgenti che interessano la società durante e post lockdown, consapevoli che la necessità di riappropriarsi dello spazio pubblico –  in particolare del centro storico e di alcuni luoghi simbolo della città – si è fatta ancora più forte, così come il bisogno di tornare ad incontrarsi fisicamente, attraverso i nostri corpi.

Da queste esigenze prende vita un progetto che intende il patrimonio pubblico (luoghi, monumenti, musei e collezioni) come elementi da cui partire per affrontare le urgenze del presente e per promuovere un approccio vivo e critico alle nostre archeologie, così predominanti a Roma.

Da che punto di vista guardare gli oggetti che compongono la collezione dell’ex museo delle colonie africane, oggi al Museo delle Civiltà? Oppure il quartiere di impianto fascista Eur?  O i canoni del modernismo che hanno stabilito quei modi di spiegare, di esporre, di partecipare al museo come simbolo della cultura occidentale, spesso bianca e patriarcale e che ha escluso o omesso le storie minori, oltre ad avere stabilito la vista come senso esclusivo con cui partecipare alla vita culturale.

Nello specifico, il progetto triennale prevede un programma pubblico site-specific nel quale i luoghi della stratificazione storica della città di Roma divengono allo stesso tempo spazi di aggregazione e oggetto di riflessione per visualizzare e criticizzare le storie nascoste quali i processi storici, politici e artistici che determinano il prevalere di alcune forme di conoscenza rispetto ad altre; i percorsi storici e culturali che segnano le gerarchie e le posizioni egemoniche tra Occidente e Oriente, Nord e Sud del mondo; i processi di marginalizzazione di culture e comunità; le forme di celebrazione nazionalista dell’imperialismo e del colonialismo italiano che permangono nello spazio pubblico. In questo senso il progetto ha l’obiettivo di diffondere sensibilità, processi e discorsi di decolonizzazione del nostro sapere storico e del patrimonio culturale.

Per coloniale intendiamo sia il processo storico di sfruttamento e conquista di altre terre e popoli, sia la riproduzione di forme di dominio e disuguaglianza su iscrizione razziale, culturale o di provenienza del soggetto od oggetto considerato. Decolonizzare significa interrogarsi sulla nostra cultura e sulle istituzioni che la generano: come e perché viene attribuita priorità ad alcune forme di conoscenza rispetto ad altre, chi determina i criteri di selezione e di qualità delle collezioni all’interno di un museo, chi decide cosa viene presentato e rappresentato, come contribuire a un rinnovamento delle regole con l’introduzione di storie e contesti di riferimento che sono stati sistematicamente cancellati o esclusi. La decolonizzazione implica quindi un cambio di prospettiva, una riflessione sul significato delle istituzioni culturali, sulla loro destinazione e sui processi storici, politici e artistici che esse determinano con le loro programmazioni.

Se consideriamo Roma come un grande museo a cielo aperto, allora possiamo comprendere come Hidden Histories 2020-22 ha l’ambizione di utilizzare tutto l’impianto cittadino per innescare questi discorsi. Il progetto compone – attraverso l’adesione di  una molteplicità e diversificazione di istituzioni, spazi pubblici e collezioni – una geografia urbana che incontra le pratiche degli artisti chiamati a ripensarle.  Sono pratiche prodotte e pensate a partire dai luoghi e dalle storie sociali, politiche e storiche che li hanno costruiti e in cui oggi si possono leggere le complessità del presente.

Riteniamo che il linguaggio politico contemporaneo abbia dimostrato tutta la sua inadeguatezza ad articolare letture adeguate delle nostre società complesse; pensiamo inoltre che generi spesso un rafforzamento ideologico dei colonialismi culturali contemporanei. Per questo motivo crediamo sia importante proporre un programma che diffonda un sapere diversificato e che metta in discussione le definizioni di differenza e alterità, esplorando le gerarchie storiche e contemporanee tra Occidente e non Occidente e includendo diverse prospettive che contemplino i concetti di molteplicità e pluriversalità.

In sintesi Hidden Histories 2020-22 nasce da due domande: è possibile coinvolgere la cittadinanza in uno sforzo di immaginazione per indagare un passato che deve essere ancora realizzato, una storia alla quale dobbiamo ancora partecipare a partire da quei simboli, monumenti, opere ed edifici che sono presenti nel nostro spazio pubblico?

Ma anche, è possibile utilizzare questi luoghi e opere per rintracciare forme di diseguaglianza, di sopraffazione, canonizzazione e normalizzazione che pervadono ancora le nostre società in uno sforzo di collegamento tra passato e presente? Le nostre hidden histories non sono perciò solo gli scarti che la storia ha lasciato fuori dalle narrazioni ideologiche ufficiali, le verità parziali; ma piuttosto i nuovi metodi di apprendimento e ricerca, i nuovi modi di fruizione e i nuovi approcci di lettura che determinano uno sforzo di ricostruzione del passato in maniera ubiqua. Un passato che non ha avuto ancora vita, e che perciò non abbiamo ancora frequentato. E che dunque necessita di un metodo nuovo per essere articolato e rivisitato. Come fare dunque, a frequentare questo passato ancora non in essere?

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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