I quattro anni che sconvolsero la politica americana. Donald Trump visto da Marino de Medici

Il 6 gennaio 2021 una folla di sostenitori di Donald Trump, tra cui spiccava un pittoresco “sciamano” che ha trovato un imitatore perfino in Italia, ha lanciato un inaudito assalto alla sede del Congresso degli Stati Uniti per protestare contro i supposti brogli che avrebbero assicurato la vittoria all’attuale Presidente in carica Joe Biden.

Per gli oppositori dell’ex capo di stato statunitense questo episodio mai visto prima ha rappresentato la degna conclusione di un quadriennio inaccettabile e sovversivo, per i suoi simpatizzanti si è trattato dell’estrema rivolta del popolo defraudato contro l’odiato establishment politico-finanziario, per tutti – in un paese ormai profondamente diviso – quell’assalto ha segnato il ritorno alla normalità, desiderata o detestata, dopo il ciclone scatenatosi con la vittoria elettorale del tycoon nel 2016.

Per chi vuole prendere le distanze dalle forti emozioni non del tutto sopite di quel giorno e ripercorrere puntualmente non soltanto le turbolente vicende dell’amministrazione Trump, ma anche le origini del terremoto politico che ha portato “The Donald” alla Casa Bianca è senza dubbio utile leggere Donald Trump, quattro anni di democrazia a rischio di Marino de Medici, edito da Artemia nel 2021.

L’autore è un giornalista da tempo residente negli Stati Uniti dove è stato, tra le altre cose, corrispondente di quotidiani come “Il Tempo”, “Il Giornale”, “Il Secolo XIX”. Profondo conoscitore della politica e della storia americane, de Medici tiene un blog (marinodemedici.com) in cui pubblica diversi articoli sulla politica statunitense e internazionale: la sezione di questo “diario” tra il 28 gennaio 2016 al 14 febbraio 2021, incentrata su Trump, è poi confluita nel libro.

immagine per I quattro anni che sconvolsero la politica americana. Donald Trump visto da Marino de MediciLa natura del lavoro di de Medici è, quindi, quella di un’analisi in fieri della politica americana a partire dai temi sollevati dall’attualità: le primarie democratiche in cui Hillary Clinton si è imposta a fatica su Bernie Sanders, i primi cento giorni della presidenza Trump, la violenta opposizione all’immigrazione, gli attacchi repubblicani a due capisaldi del mandato di Obama, come la riforma dell’assistenza sanitaria e gli accordi con l’Iran sull’energia nucleare, ma anche l’analisi di alcune controverse figure vicine a Trump come John Bolton e Mike Pompeo, l’emergenza COVID e la sua gestione, l’impeachment, fino a quelle contestate elezioni che hanno portato Joe Biden alla massima carica dello Stato.

Riletti oggi, a distanza di mesi o anni dagli eventi, gli articoli di De Medici non ci appaiono superati; il racconto, anzi, anche se contemporaneo ai fatti, pare svilupparsi secondo il quadro coerente di un esame retrospettivo. Ogni commento trova la sua base in una conoscenza solida della società americana e della sua storia dalle origini dell’Unione fino a oggi, come si vede ad esempio nell’excursus sulle origini di differenti forme di populismo in America che costituisce il terzo capitolo.

L’autore non nasconde la sua posizione fortemente critica nei confronti di Trump: disapprova, in particolare, la continua ricerca di uno scontro violento con i suoi avversari, la scarsa competenza in politica estera, l’insofferenza delle regole democratiche, la ricerca di comodi capri espiatori come gli stranieri.

Si sbaglierebbe, però, chi pensasse di trovare in questo libro quella caratterizzazione dell’ex presidente come “aberrazione morale” – secondo la definizione datane dal giornalista E.J. Dionne – su cui si sono concentrati molti oppositori di Trump negli Stati Uniti e nel mondo, commettendo l’errore di restare confinati a una condanna puramente e superficialmente etica dell’anomalia rappresentata dal tycoon.

L’origine del successo “populista” viene, invece, giustamente collocata da de Medici nel contesto socioeconomico americano. Il declino della classe media e l’apparire negli ultimi anni di spaventose disuguaglianze; la mondializzazione con i suoi processi di delocalizzazione che hanno toccato in particolare la Rust belt del Midwest; un sistema sanitario che, malgrado la riforma di Obama, continua a non garantire un gran numero di cittadini che spesso scivolano nella povertà proprio a causa dei costi delle cure mediche; la degenerazione della stampa e dei mezzi di comunicazione di massa; le responsabilità dei democratici e di Hillary Clinton in particolare, la cui fondazione, comune al marito Bill, attira milioni di finanziamenti da grandi complessi finanziari e industriali, sono alcuni degli aspetti che fin dai primi due capitoli introducono giustamente il lettore alla comprensione dell’altrimenti “inconcepibile” ascesa di Trump e dell’insuccesso del partito dell’asinello nel 2016.

Troppi sono gli spunti interessanti che si ricavano dal testo per poterli qui passare in rassegna anche solo sommariamente. Mi limito a osservare due punti su cui il ragionamento dell’autore potrebbe essere non contraddetto, ma ulteriormente sviluppato.

de Medici nota giustamente che un atteggiamento costantemente conflittuale in politica estera, contrassegnato da aperte minacce, ritorsioni, delegittimazione delle principali istituzioni internazionali (Vedi ad es. il capitolo 44, l’America del bullo) e simpatia per governi autoritari o dittatoriali non contribuisce certo a quella diffusione mondiale dei valori democratici che gli Stati Uniti rivendicano come propria missione.

Le decisioni come il taglio dei fondi all’agenzia dell’ONU che si occupava di sostenere economicamente i rifugiati palestinesi, gli scontri con gli alleati europei della NATO o il discorso provocatorio pronunciato da Trump alle Nazioni Unite hanno forse galvanizzato i suoi sostenitori più convinti, ma hanno allontanato la costruzione di equilibri mondiali più giusti e stabili. Se, però, si assume che “la politica di Trump conferisce la maggior priorità non alla promozione della democrazia, ma all’eliminazione di governi ostili” (p.164), bisogna sottolineare che, purtroppo, questo atteggiamento improntato alla pura ragion di stato è stato fatto proprio da molti altri presidenti americani.

Possiamo citare un paio di esempi, tra i tanti, di cui vediamo ancora oggi le nefaste conseguenze. L’intervento militare in Libia del 2011, attivamente promosso da Hillary Clinton come Segretario di Stato sotto la presidenza Obama (non scordiamoci il terribile e infelice, “We came, we saw, he died!” con cui la Clinton, parafrasando crudelmente Giulio Cesare, esultava alla notizia del raccapricciante linciaggio di Gheddafi), non ha dato vita ad alcun regime democratico nel paese nordafricano in cui da ormai dieci anni regnano soltanto instabilità, conflitti civili, potentati tribali e bande di fanatici islamisti. Pochi giorni fa, poi, abbiamo potuto constatare come si sia concluso l’impegno ormai più che quarantennale degli USA in Afghanistan, iniziato nel 1978 con il sostegno (anche questo recentemente rivendicato dalla Clinton) a quei mujaheddin antisovietici tra cui spiccava Osama Bin Laden.

Da questo punto di vista, l’isolazionismo di Trump e la sua riluttanza a imbarcarsi in imprese militari di “promozione della democrazia”, pur se dettati dall’ideologia dell’ “America first” e non da sincero pacifismo, vanno, forse, parzialmente rivalutati.

Venendo al secondo punto, de Medici osserva correttamente che il partito Repubblicano, e in particolare gli elementi vicini al movimento del “Tea Party”, ha mostrato l’intenzione di voler cancellare sistematicamente i provvedimenti presi dalla presidenza Obama, come la riforma sanitaria e l’accordo nucleare con l’Iran, quasi considerandoli come gli atti di un Capo di Stato illegittimo, (ricordiamo del resto le polemiche sul luogo di nascita del primo presidente di colore degli Stati Uniti).

Se questo è vero, va riconosciuto che anche le accuse rivolte a Trump di aver vinto le elezioni grazie al sostegno russo e di essere in contatto con i servizi segreti di Putin, –  che hanno prodotto il rapporto del consigliere speciale del Dipartimento di Giustizia, Robert Mueller – non hanno avuto come risultato l’accertamento di gravissime e clamorose responsabilità, ma sembrano essere servite piuttosto a fornire al Partito Democratico una facile e autoassolutoria spiegazione del proprio insuccesso e a promuovere una poco produttiva demonizzazione di “The Donald”.

Il libro, insomma, non soltanto ci aiuta nella comprensione di un periodo cruciale della storia contemporanea, ma serve anche da stimolo a una riflessione sulla società degli Stati Uniti e sul ruolo che l’America ricopre oggi nel mondo. Due ottimi motivi per leggerlo e per seguire il suo autore sul blog.

Il libro di Marino de Medici è disponibile mediante ordinativi alla casa editrice, anche dall’estero
info@artemianovaeditrice.it tel: 39 347/5364795

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Francesco Neri è nato a Bologna nel 1977. Laureato in lettere classiche e dottore di ricerca in Storia Antica, dal 2008 lavora come Addetto culturale/coordinatore linguistico presso il Ministero degli Affari Esteri e delle Cooperazione internazionale. Dal 2011 al 2020 è stato Addetto culturale responsabile degli Istituti italiani di cultura a Lussemburgo e a Marsiglia. Ha scritto "Reliquie eroiche nella Grecia arcaica e classica" e due romanzi, "Un'isola normale" e "Il rettore di Poitiers".

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