Graci Collection – Indipendent Collector

Diventare collezionisti è una scelta. Una scelta che nasce dalla passione, da un profondo coinvolgimento emotivo. Una scelta che, attraverso il possesso di un’opera, carica di adrenalina.

Se questo mix di motivazioni rappresenta il punto di partenza di ogni esperienza di collezionismo, il passo successivo su cui costruire il proprio percorso passa da studio e conoscenza del mondo e del mercato dell’arte.

In Italia il collezionismo ha radici storiche consolidate e si distingue spesso nelle collezioni pubbliche e private per ricercatezza e cura.

Carmelo Graci, quarantacinquenne siciliano trapiantato a Mantova per motivi di lavoro, inizia ad amare e studiare l’arte contemporanea dalla fine dalla anni ’90 per poi intraprendere il suo percorso da collezionista.

Acquista opere di grandi nomi come Cattelan, Olafur Eliasson, Victor Vasarely, Vanessa Beecroft, ma allo stesso tempo si avvicina e sostiene artisti emergenti tra cui Matteo Attruia, Ruben Montini, Fabio Ranzolin e Stefan Milosavljevic e artisti cinesi e indiani come Xiuwen e Fen Zhengjie.

La sua collezione conta duemilacinquecento opere, acquistate nel corso degli ultimi venti anni.

Oggi, sempre con l’idea di dare una forma alla sua collezione, Graci ha acquistato di una grande casa a Mantova che in estate diverrà luogo di residenze e riserverà alcuni spazi da dedicare alla sua visione, da condividere con il pubblico dei visitatori, dell’arte contemporanea.

Saranno, così, realizzati dei Project room periodici: focus su un artista che, di volta in volta, sarà scelto nell’ambito della collezione, con la pubblicazione di un catalogo, traccia del progetto espositivo.

In questa fase di passaggio tra luogo/non luogo e casa, Carmelo Graci con gli artisti, in questo caso anche curatori, Stefan Milosavljevic e Fabio Ranzolin hanno realizzato una mostra dal titolo F*cking Private.

All’interno di uno spazio ancora spoglio, senza precisa identità, le opere selezionate aprono alla riflessione sulla dimensione altra, rendendo pubblica una narrazione personale attraverso l’arte contemporanea.

Dei dettagli sul loro lavoro e sulla collezione Graci abbiamo chiesto ai due artisti/curatori.

Stefan, il tuo lavoro si basa su una serie di processi, sia tecnici sia tematici, molto intensi. Altrettanto intense sono le riflessioni che supportano le tue opere. Attraversi le questioni legate all’identità di genere e alla comunità  LGBTQI+ e, insieme, rifletti, a partire dalla tua biografia, con l‘immagine di te bambino durante la guerra dei Balcani, sulla relazione tra esperienza privata e grande storia. Come ha influito questa compresenza sulla tua pratica artistica?

“Nel mio lavoro c’è un tema ricorrente, quello della percezione. Della percezione di sé nei confronti del mondo che ci circonda messo in dialogo con la monotonia del quotidiano. Mi interessa la percezione concettuale e psicologica che si attiva nei miei lavori più identitari e politici e mi interessa la percezione tattile, fisica ed energetica, che ha a che fare con il rapporto tra il nostro mondo e il mondo dell’aldilà e del già vissuto.

La presenza e l’assenza non sono solo le due facce della stessa medaglia ma si mescolano costantemente. L’inganno, il dolore e la dolcezza coesistono: lo scintillio delle esplosioni delle bombe e quello dei fuochi d’artificio generano lo stesso stupore negli occhi di un bambino.

Oggi rispondo in questo modo, consapevole del fatto che un giorno il mio ricordo sarà inevitabilmente mutato. Ciò che rimarrà invariato sarà il mio utilizzo dell’invisibile per raccontare la realtà. Le macchie, le cicatrici, le cuciture: l’immagine dell’indescrivibile frustrazione del fallimento, che è il fallimento dell’immagine stessa. La cosa più importante è il vuoto”.

Fabio la tua arte si basa sull’ascolto della vita: osservi la tua e quella degli altri per poter poi costruire un racconto contemporaneo. In maniera del tutto poetica, guardi al passato e al presente in cerca di frammenti di memoria da poter ascoltare per poi poterle descrivere. Come costruisci i tuoi lavori? Con quali mezzi?

“Sono una persona febbrile e disorganizzata. Sento il bisogno di cercare, di vedere e conoscere e questo bisogno influenza inevitabilmente la mia pratica artistica. Un tempo, anche solo qualche mese fa, avrei dato una risposta molto diversa a questa domanda. Oggi sono orientato a conoscere il mondo attraverso il mio corpo e questa conoscenza passa attraverso le modalità con cui questo stesso corpo viene definito, categorizzato e accolto socialmente. Due anni fa sarebbe stato impensabile relazionarmi per questa via.

Aderisco all’idea hegeliana e poi butleriana che noi siamo, di fatto, il desiderio dell’altr*, che la nostra performatività è sempre il frutto di una richiesta esterna.

Ora cerco di capire cosa mi chiede il fuori. Poi rubo, senza consenso, la vita delle persone che incontro.

La mia esperienza mi fa sempre più rendere conto della fluidità delle memoria, degli originali assenti e delle narrazioni del futuro. In questo vivere e pensare il mondo in termini non lineari cerco la mia geografia per r-esistere.”

Quando sono entrate le vostre opere a far parte della collezione Graci e quali sono?

SM – “I miei lavori sono entrati a fare parte della Collezione Graci sin dall’inizio, ritengo per una forte consonanza di riferimenti estetici tra me e Carmelo. Oggi, Carmelo possiede alcuni dei miei primi lavori di cui sono stato molto geloso.

Sono tutti lavori che hanno a che fare con la bellezza intrinseca dell’oggetto rappresentato: delle sue fattezze e della sua natura più intima che nasconde le insidie universali, quelle con cui tutti abbiamo a che fare nella nostra esperienza di vita quotidiana: l’inganno, il tradimento, la disgregazione, l’abbandono.

Sono spesso oggetti di uso comune la cui immagine è stata manipolata per diventare l’allegoria di altro, talvolta del suo stesso opposto.

Il lavoro Boys Party, che è presente nella mostra F*cking Private, si riferisce, per esempio, al primo momento di scambio intimo in età adolescenziale, tipico dei ragazzi in gruppo: la misurazione del pene e la conseguente attribuzione di valore ai centimetri: più sono e più sono maschio. Questo atto, apparentemente semplice, non è altro che la somma di tante questioni assolutamente contemporanee su cui ho pensato di agire attraverso una scultura composta di cinque razzi che poggiano su un supporto. Razzi dorati che illuminano la stanza in ogni suo angolo. È l’ego maschile il nostro grande problema, perché è fragilissimo, perché ha avuto bisogno di almeno 10.000 anni per costruirsi, perché deve essere nutrito costantemente, perché è irrazionale e catastrofico.

In quell’immagine di cinque ragazzi, un righello e un bosco, io vedo le sorti del mondo e non riesco, per qualche strana ragione, a sentirmi innocente.”

FR – “Carmelo incontra il mio lavoro su un’isola: un recinto rosso che crea i confini di un’abitazione. Era l’inizio dell’estate del 2014 a Venezia. Carmelo lavorava in Veneto a quel tempo. Poco dopo, verso settembre, ci siamo incontrati. Indossavo un  cappotto leggero, vintage, color cammello. Di Gianni Versace, ora regalato ad un’amica. Era una sera limpida a Vicenza, città dove sono nato e cresciuto; ci siamo incontrati in un ristorante.

È stata la prima volta che incontravo un collezionista, ero agitato, la situazione mi spaventava. Ho scelto un ristorante pessimo, un locale pomposo che vuole darsi un tono, ma che potevo pur sempre permettermi.

La scelta migliore sarebbe stata una buona trattoria, un posto genuino, dove il cibo è semplice e l’atmosfera è conviviale e domestica. Sono migliorato. A quel tempo avevo appena iniziato l’Accademia e il mio percorso artistico. Carmelo segna il vero inizio della mia carriera, l’esordio del mio lavoro come artista. Devo tanto a lui.

Da quel momento sono entrato in collezione. Ci tengo a dire che Carmelo è anche un amico, la nostra è una relazione fatta di confidenze e di ascolto reciproco, non solo sull’arte.

Per quanto riguarda le mie opere: sono da lui, in giro tra le scatole e le casse, lui sa molto meglio di me quale miei lavori possiede. Ammetto che sono più interessato a scoprire che cosa mi acquisterà in futuro!”

Come è nata l’idea di F*cking Private e cosa ha portato di nuovo nella vostra ricerca questa esperienza curatoriale?

“L’idea nasce insieme a Carmelo e dalle contingenze delle nostre vite. Siamo tre persone molto diverse e abbiamo uno stile di vita e una quotidianità fatta di cose molto diverse e distanti. Tuttavia la passione e il desiderio dell’arte ci uniscono profondamente. La mostra nasce dalle nostre esigenze di artisti e da quella di Carmelo come collezionista. Volevamo creare una visione d’insieme, senza offrire una visione, in qualche modo, chiusa del nostro lavoro. La scelta delle opere e della collocazione è avvenuta in maniera inaspettatamente naturale, sintomo di un legame e una fiducia reciproca che abbiamo costruito nel corso degli anni.

Ti racconto un aneddoto che riguarda la scelta del titolo della mostra che dà il senso di quello che ho appena detto. Eravamo a Mantova, stanchi della lunga giornata di allestimento, faceva molto freddo e la pizzeria davanti a casa di Carmelo era piena di persone. Abbiamo atteso per un tempo infinito il nostro turno e, nel mentre, giocavamo ad inventare titoli (accattivanti o semplicemente descrittivi) della mostra, senza riuscirci. Ci siamo finalmente seduti a un tavolo riparato, in una piccola abside. Il locale era rumoroso e caotico. In attesa delle pizze, affamati e in mezzo al trambusto cercavamo un momento di pausa, di privato. La risposta era già lì, frutto delle nostre esigenze più intime: F*cking Private.

Per noi curare questa mostra è stata la prima esperienza al di fuori del nostro lavoro come artisti, un compito difficile che abbiamo cercato di svolgere al meglio.

È davvero un grande privilegio poter lavorare con una collezione così ricca e sofisticata. Abbiamo cercato di individuare una linea tematica comune tra le opere che abbiamo selezionato.

Tutti i lavori hanno a che fare con l’intimità, con la nostra sfera più privata che attraverso le opere scelte diventa pubblica e si apre al confronto con lo sguardo del pubblico.

È un esercizio di abbandono, di dialogo, di empatia: sono le nostre memorie, i nostri desideri, i nostri incubi.

C’è, inoltre, un ulteriore livello di riflessione che mi piace evidenziare. Riguarda il ruolo del  collezionista: colui che acquista, si impossessa di questa intimità e decide di metterla in mostra, all’interno delle proprie mura domestiche, altro luogo di intimità che si apre verso l’esterno.

È un perverso gioco di intenzioni che si attiva nella relazione tra contenitore e contenuto e fra gli sguardi di chi entra nella dimensione intima altrui mettendo in gioco la propria attivando un paradosso tipico della ricerca artistica di ogni epoca.
Speriamo che quest’esperienza sia solo il punto di partenza per sviluppare in futuro nuove e necessarie contaminazioni.”

Ormai conoscete benissimo Carmelo Graci e il suo essere un indipendent collector: mi dite qualcosa sul modo e la visione su cui si orienta la sua collezione?

“La collezione si evolve con l’evolversi di Carmelo. Le sue nuove conoscenze, quello che impara, vive e studia,  sono tutte esperienze che si riflettono in maniera genuina sul futuro delle acquisizioni.

Carmelo ha un interesse e un gusto eclettico, orizzontale. Non è interessato al livello e alla celebrità di un* determinat* artista. Quello che gli interessa è la sua personale esperienza con l’opera e come l’artista elabora la sua poetica.

Ha sicuramente un’attenzione peculiare per le opere che hanno un valore intimo e politico, ma allo stesso tempo è appassionato a lavori dalla formalizzazione briosa e accattivante.

In fondo, ogni collezione rivela qualcosa del proprietario e, in questo caso, c’è davvero da divertirsi!”

BIO degli ARTISTI

Fabio Ranzolin (n. 1993, Vicenza). Vive e lavora tra Milano, Vicenza e Venezia; a Vicenza co-fondatore di Salotto, studio di lavoro di altre ventidue persone.

Attualmente studia Visual Cultures e Pratiche Curatoriali all’Accademia di Belle Arti di Brera, tesista di Viviana Gravano; nel 2016 si laurea in Arti Visive e dello Spettacolo all’Accademia di Belle Arti di Venezia e subito dopo frequenta la masterclass di Alberto Garutti allo IUAV di Venezia. Nel 2020 frequenta i corsi singoli all’Università di Padova di Teoria di Genere, con orientamento materialista, e Psicologia Evoluzionistica, con particolare focus sull’evoluzione dell’omosessualità nella specie umana. Nel 2016 vince il terzo premio come migliore artista alla Fondazione Bevilacqua La Masa, nel 2018 la menzione speciale al Premio Francesco Fabbri – VII edizione e nel 2019 viene selezionato dal progetto internazionale UKYA per rappresentare l’Italia in Inghilterra. Tra le mostre più recenti si ricordano le personali: Quello che non ricordi, diventi (Galleria Whitenoise, Roma, 2020); Champagne taste on a beer budget (spazio ORR, Brescia, 2019); Bye Bye Circo Massimo, curata da Amalia Nangeroni (Montoro12 Contemporary Art Gallery, Roma, 2018); I’ve fallen from grace (ZimmerFrei Art Gallery, Trieste, 2016); e le collettive: UK Young Artists City Takeover, curata da Matt Woodham (One Thoresby Street, Nottingham, 2019) e Yes and More No, curata da Matilde Cesareo (Galerie Espace Thorigny, Parigi, 2019).

Stefan Milosavljevic è nato in Serbia, nel 1992. Si è laureato all’Accademia di Belle Arti di Venezia nel 2016 e successivamente ha frequentato l’Università IUAV, sempre a Venezia.

Nel 2016 vince il primo premio del Frase Contemporary Art Prize e del MAC Under 30 Award: con una mostra personale presso la project room del Museo d’Arte Contemporanea di Lissone nell’ambito di Arteam Cup. Nel 2017 vince il Premio Speciale San Fedele a Milano e nello stesso anno è invitato dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino a partecipare alla mostra A House, halfway a cura di Lorenzo Balbi. È stato inoltre finalista e vincitore della sezione disegno del Premio Combat nel 2020 e vincitore del premio del Museo d’Arte Contemporanea di Lissone nel 2021. Le sue opere sono presenti in collezioni private svizzere, italiane e austriache oltre che nella Collezione Carmelo Graci, Collezione Frase d’Arte Contemporanea, Collezione Gerardo Bonetti, Collezione Fondazione De Pietri Artphilein e Collezione Museo d’Arte Contemporanea di Lissone. Ha partecipato a mostre personali e collettive in varie gallerie e spazi pubblici in Italia, Svizzera e Portogallo tra cui The Flat – Massimo Carasi, Milano; Museo d’Arte Contemporanea di Lissone (MI); Galleria Daniele Agostini, Lugano (CH); Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Galleria Artemis, Lisbona (P) ; Casa Testori, Novate Milanese (MI); Galleria Più, Bologna; Galleria San Fedele, Milano; NAM Project, Milano; Choisi – Fondazione Artphilein, Lugano; Museo Giovanni Fattori, Livorno; Villa Brandolini, Pieve di Soligo (TV); Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia.

+ ARTICOLI

Serena Achilli, studiosa appassionata d'arte contemporanea, è curatrice indipendente e direttore artistico di Algoritmo Festival. Scrive per raccontare la propria contemporaneità cercando con cura pensieri e parole. Ha un Blog in cui c'è tutto questo e altro ancora.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.