Meredith Monk per le ragazze che non avrebbero mai potuto ascoltare

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Meredith Monk (New York 1942), nasce in una famiglia di musicisti e cantanti, sin da piccola si muove nel mondo dell’arte con estrema naturalezza e curiosità.

“Avevo 12 anni circa e mi sentivo come se già sapessi di dover creare il mio mondo.”

A New York si laurea al Sarah Lawrence College e inizia a partecipare a spettacoli d’avanguardia, con le sue prime sperimentazioni con il corpo e con la voce.
Nel 1968 fonda la compagnia teatrale The House dove il focus è l’arte multidisciplinare, concretizzando quella fluidità fra le discipline che sarà poi per sempre il suo mondo.

Parte principale in tutta la sua ricerca è la voce, usata come strumento e che diventerà il suo segno, unico ed inconfondibile. Attraversando vari generi e utilizzando tecniche diverse la voce si muove come in una danza o come se fosse il personaggio di uno spettacolo: la protagonista indiscussa.

Monk diventa così compositrice, cantante, performer, drammaturga, regista e una delle artiste più influenti del nostro tempo. Il contratto trentennale con l’etichetta discografica ECM e tantissimi riconoscimenti.

Nel 2015 il presidente degli Stati Uniti Barack Obama le ha consegnato National Medal of Arts,  in Italia ha ricevuto il premio Demetrio Stratos per la sperimentazione musicale (2007) e il Premio Dorothy e Lillian Gish  (2017), solo per citarne alcuni. La sua musica ha fatto parte di film come il grande Lebowsky dei fratelli Coen e in Nouvelle Vague  e Notre Musique  di Jean-Luc Godard.

Il suo lavoro si sviluppa sul piano visivo ma anche sonoro e percettivo, con scarna strumentazione musicale crea quella da lei chiamata ‘la nuova forma tra le crepe’.  Tra le prime artiste nella multimedialità e nell’avanguardia vocale che attinge da fonti antiche: la voce lei la definisce come il primo strumento umano. Crea relazioni ritmiche e spaziali.

I ritmi, studiati attraverso il corpo, innescando un equilibrio tra  vari elementi e dissolvono i confini tra le discipline generando un’armonia totale.

Per Art City Bologna 2024 appena concluso, la Monk ha messo in mostra Bloodline Shrine, curata da Caterina Molteni ed estratta dall’opera Cellular Song (2018).

In cinque piccoli schermi, cinque  volti e voci raccontano e vocalizzano  la loro storia, tramite radiografie e dettagli fisici i loro antenati, radiografie fisiche e dettagli del corpo.

Tempio e Sepolcro, all’interno di un luogo estraniante: il Pio Istituto delle Sordomute povere di Bologna. Fondato nel 1845 da Monsignor Pietro Buffetti ospitava le ragazze sordomute (termine desueto: oggi sarebbe stato non udenti) provenienti da famiglie in difficoltà, per poter loro offrire una giusta istruzione. L’opera di Monk da una rivalutazione della voce come strumento espressivo al di là delle componenti di comunicazione linguistica, facendo leva sulla natura materica della voce.

Le aule e i banchi ancora presenti, le foto delle madri badesse sono il preludio alla stanza-dormitorio dove è stata installata Bloodline Shrine. In un ambiente immersivo, le voci, il buio, gli armadi e i letti proponevano una situazione di angoscia e sgomento, che attirava però lo spettatore verso i monitor per affrontare una specie di atavica paura.

Meredith Monk mette in scena una delle sue composizioni musicali, le ragazze vissute in quel luogo non avrebbero mai potuto ascoltarla, ma sicuramente avrebbero potuto immaginare quel suono, legato al movimento del viso e alle immagini. In una sorta di nemesi, sembrava proprio un regalo per loro.

Grazie da parte di quelle ragazze Meredith.

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Serena Achilli, studiosa appassionata d'arte contemporanea, è curatrice indipendente e direttore artistico di Algoritmo Festival. Scrive per raccontare la propria contemporaneità cercando con cura pensieri e parole. Ha un Blog in cui c'è tutto questo e altro ancora.

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