Luca Galofaro e una wunderkammern che parla d’architettura. Alla Fondazione Pastificio Cerere

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Alla Fondazione Pastificio Cerere, la mostra di Luca Galofaro (Architetto, tra i fondatori dello studio LGSMA e IaN+) si presenta come una wunderkammern enciclopedica fatta di immagini recuperate, cercate o trovate, riusate, modificate, mescolate, decontestualizzate e ricontestualizzate, contaminate; sempre scelte e manipolate sulla base di una necessità o di un innamoramento (talvolta è la medesima cosa!) che porta questo articolato materiale ad essere in qualche modo e misura utile per idee e progetti; a farsi, insomma, Architettura.

Come singole parole che, messe insieme, usate consapevolmente e con certe regole, danno vita a una narrazione sensata, così queste immagini serviranno a determinare un linguaggio e più storie: “scovate nei mercati, tratte dai libri, scatti dei viaggi”, parte della memoria sia collettiva che personale, queste figurazioni si trasformano in riferimenti che “interpretano l’idea di mondo”, quindi propongono “una visione definibile da ciascun architetto secondo la propria ricomposizione di segni e forme collezionate nel tempo, frutto di un montaggio inconsapevole” in un progetto tutto nuovo, e ovviamente, questo, consapevole, oltre che funzionale; con una sintassi a volte più poetica, altre evocativa, altre ancora visionaria, sperimentale, oppure più schematica, didascalica, classica (dipende dallo stile, dal carattere progettuale dell’architetto).

Qui, in quest’esposizione – che è curata da Abdelkader Damani – di didascalico e classico c’è ben poco, grazie al San Tommaso protettore degli architetti (festeggiamolo il 3 luglio); allestita magnificamente – ça va sans dire – è organizzata in più step allestitivi: Postcards, serie di cartoline esposte in vario modo e nelle quali “i luoghi raffigurati hanno un ruolo chiave nella definizione dei montaggi” e non è ininfluente un riferimento al concetto ampio di memoria.

Poi ecco Immagini trovate, montaggi di foto tratte da libri che, pur non avendo legami espliciti con l’architettura, cooperano alla definizione di uno stile progettuale, a “sperimentare luoghi e forme”; l’intercodice, qui sembra farsi chiarezza: non è appannaggio solo dell’Arte, o del pensiero tecnologico. Poi ecco la sezione What’s left of the world e The hidden memory of images, composta da “immagini dialettiche che diventano modelli con un carattere seriale” .

Del resto, come è citato in mostra, ricorrendo a una frase dello Storico dell’arte e filosofo francese Georges Didi Huberman:

“Il montaggio appare un’operazione della conoscenza storica nella misura in cui caratterizza anche l’oggetto di tale conoscenza: lo storico rimonta i rifiuti perché hanno in sé la duplice capacità di smontare la storia e di montare insieme i tempi eterogenei, già stato e adesso, sopravvivenze e sintomi, latenza e crisi.

Usciamo da questo percorso sicuramente arricchiti: non solo e non tanto dominando meglio quello stile dell’architetto-Galofaro, quel carattere cui accennavo prima, ma coscienti della necessità, del potere, delle responsabilità dell’Architettura e della struttura, bellezza e varietà del suo linguaggio che ci fa per un po’ dimenticare l’urbanizzazione dei geometri, i palazzinari, le città su cui per troppo tempo si sono messe assai male “le mani” (non solo negli anni Sessanta di Francesco Rosi) e tutta la bruttezza che c’è fuori…

The world that I dream – questo il titolo della mostra – prosegue fino al 20 luglio 2022.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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