Luciano Romano, Ex Novo. Al Pio Monte della Misericordia a Napoli

Il titolo della mostra – Ex Novo – ci dice molto, ci introduce ad un modo nuovo di leggere il passato, la tradizione iconografica, la riflessione religiosa attraverso il mezzo artistico. L’iconografia della pittura seicentesca transita nel linguaggio contemporaneo della fotografia. Ex-novo fa il paio con ex-voto, una rinnovata attenzione ai valori religiosi, un bisogno di misericordia che pervade la società di tutti i tempi.
Luciano Romano ci sollecita a percepire in maniera nuova un sentire antico e lo fa in maniera meditata, con un linguaggio che ripercorre la strada del cinema e del teatro condensandosi nella fotografia, medium che ha scelto di utilizzare nella realizzazione di questa mostra.

Il tempo è il punto nodale della riflessione alla base di questo progetto. Passato e presente si incontrano e si uniscono, quasi a divenire un unico e complesso ragionamento, visivo e ideale.

Ancora una volta la tradizione iconografica – in questo caso barocca – ci viene in aiuto, offrendo lo strumento prezioso per decodificare un presente complesso, a tratti indecifrabile; la fotografia appare quale mezzo adatto ad una rappresentazione tanto contemporanea quanto debitrice di una prassi artistica irripetibile.

Ed è così che il parallelismo visivo e concettuale ci spinge a rintracciare riferimenti intensi, capaci di decifrare il tema della violenza, visibile ed invisibile, agita e percepita. Argomento che percorre come un fiume carsico il corso del tempo.

Volgere lo sguardo all’iconografia del Seicento significa compiere uno spostamento temporale, mentale, e fisico, nell’atto di interpretare i personaggi storici e mitologici, le comparse di allora, quasi fossimo attori noi stessi, chiamati ad una teatralità che ci domanda di muoverci da un riferimento all’altro, da un’epoca all’altra, che si tratti di chi, fotografato, ne incarna le movenze e i valori o di un pubblico chiamato a comprendere taluni messaggi.

È tutto questo insieme che l’autore fa emergere attraverso il suo sguardo tagliente, così abile nel condurre una strumentazione moderna per indagare gli intrighi ed i labirinti che dal tempo trascorso s’innestano e rivelano nelle immagini del presente.

Ma la sua non è una mera esigenza di ispirazione, è l’idea, è il bisogno di scorgere gli stilemi iconografici di allora e rielaborare un nuovo percorso della visione attraverso una rilettura delle fonti, un uso mirabile della rappresentazione fotografica che qui si palesa come addizione di teatro e cinema: gestualità, tempo, durata, preparazione, tutto condensato in queste immagini, perfette nel loro minimalismo, nella loro capacità di condurre l’osservatore verso una totale immedesimazione.

Pochi toni, luce e ombra, su sfondi non definiti, catturano l’attenzione di chi guarda, focalizzandola sul gesto, sul dettaglio, sull’interpretazione che si realizza. Nessuna distrazione è ammessa.

L’azione che compie l’autore è intransigente.

Tutti gli orpelli estetizzanti sono volutamente esclusi dal perimetro dell’immagine. L’uso calibrato della luce accentua il senso profondo di queste opere, grate sì alla tradizione, ed al tempo stesso simulacri degli intrighi del presente, che tengono necessariamente conto della velocità dei mutamenti della società odierna.

La mimica dei corpi, dei gesti, dei volti, l’intensità delle espressioni ci dice che, in fondo, non c’è interruzione alcuna fra antico contemporaneo.

Sembra esistere infatti, in questi nuovi lavori, una linea invisibile che lega le pratiche dell’arte del nostro tempo, alle scelte stilistiche ed iconografiche che giungono da una memoria collettiva remota.

Ed è così che nella fotografia che trae ispirazione dalla Sant’Agata di Francesco Guarino del 1640, la giovane donna ritratta rinnova la sua fierezza divenendo iconica eroina contemporanea, con la forza di uno sguardo che non teme il giudizio, che non dà scampo, e che sembra sfidare chi le sta di fronte.

Luciano Romano. Ex Novo. Guarino, Sant’Agata ph. Luciano Romano

L’immagine di una donna contemporanea nell’atto di rievocare lo stato d’animo di chi l’ha preceduta, un’icona religiosa che si trasforma in icona laica, simbolo di una donna che lotta per sopravvivere ad una pratica tanto arcaica quanto drammaticamente attuale, quella del femminicidio.

Bocca innocente, quasi di fanciulla, occhi che la sofferenza hanno reso precocemente adulti e che ci costringono a fare i conti con la nostra coscienza; il tutto realizzato con un’evidente padronanza del mezzo, pochi toni, l’incarnato, il bianco della veste e il tono neutro dello sfondo sui cui si staglia, in maniera orgogliosa, questa moderna martire.

Salta agli occhi la reazione dei personaggi alla violenza, manifesta e latente.

Mentre nei dipinti di riferimento vi è una lettura esplicita del terrore, quello che colpisce in queste immagini è la rassegnazione, la pacatezza di un dolore avvertito, ma incapace di emergere in superfice.

Un dolore soffocato che cede il passo alla perfezione della composizione, così come appare chiaro nella fotografia desunta dall’opera Perseo e la Medusa di Luca Giordano conservata al Museo di Capodimonte a Napoli, nella quale il protagonista è pervaso da un senso di smarrimento infinito: qualcosa di sconvolgente sta per accadere, ma lo scatto si ferma sulla soglia del divenire, non un momento prima, non un momento dopo, lasciando a noi il compito di immaginare il compimento dell’azione.

Luciano Romano_Ex Novo, Luca Giordano, Perseo e la Medusa Filippo Scotti

Così come accade nella fotografia che trae ispirazione dall’opera del 1646 San Gennaro che esce illeso dalla fornace di Jusepe de Ribera, conservata nella Cappella del Tesoro di San Gennaro nel Duomo di Napoli, nella quale una giovane donna appare nuda e indifesa tra altri corpi nudi, in un intrico di gesti concitati, come a voler parare con le mani un senso di incombente, ineluttabile minaccia.

Luciano Romano Ex Novo. Ribera, San Gennaro esce illeso dalla fornace. ph. Luciano Romano

Si tratta di un’immagine ambigua, in bilico tra l’algida gestualità e il calore dei corpi, che fa ampio ricorso alla stilizzazione del linguaggio coreografico contemporaneo.

Nella fotografia desunta dal dipinto del 1611, la Strage degli innocenti di Guido Reni, conservata nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, l’attenzione si ferma non solo sull’emozione della donna trattenuta per i capelli, ma sull’azione, sull’eterno presente della violenza del gesto.

Quasi fosse un manifesto della reiterata violenza sulle donne.

Luciano Romano Ex Novo. Guido Reni, La strage degli innocenti. ph. Luciano Romano

Nelle intenzioni di Luciano Romano, la forma triangolare assunta dai capelli richiama alla mente i volti cuspidati che appaiono in Guernica di Picasso, icona assoluta della condanna della barbarie della guerra, volti ispirati a loro volta al palinsesto pittorico di Reni.

Anche qui, il dolore non è urlato, è soffocato, silenzioso, colto in un attimo di raggelata e raggelante sospensione. Sospensione temporale che ritroviamo nella fotografia tratta dal quadro del 1665 La Deposizione di Cristo dalla Croce di Luca Giordano conservata nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia.

Luciano Romano Ex Novo. Luca Giordano, Deposizione

Qui una figura femminile misericordiosa occupa quasi per intero il posto preminente dell’immagine, accogliendo amorevolmente tra le mani un corpo inerme, malato, ferito, oppure senza vita, in una struttura compositiva diagonale che suggerisce l’imposizione del destino, divenendo cardine e chiave di volta di un racconto sacro e sensuale al tempo stesso.

Gestualità teatrale e soluzioni stilistiche s’intrecciano nel lavoro del fotografo napoletano ai luoghi e ai topoi della memoria. Il suo sguardo si muove lieve, tra i silenzi e i sussulti, tra l’apparente freddezza delle emozioni ritratte e la struttura dei gesti, nel gioco sconfinato dei segni.

L’immagine contemporanea si offre come un’interpretazione nuova, calcolata, ragionata dell’emotività che non lascia più spazio al fare, talora concitato, così tipico dell’iconografia pittorica del XVII secolo.

L’ultima immagine si riferisce all’esodo dei popoli che attraversano il Mediterraneo per trovare salvezza sulle coste occidentali.

Al centro della scena, tra i corpi neri, spiccano le bianche piante dei piedi citate da Luca Giordano nel dipinto San Gennaro intercede per la peste del 1656 a partire dal dettaglio caravaggesco.

Qui Le sette opere di Misericordia (del 1607) ci riconducono – proprio  partire dal titolo – a quel senso intimo di umanità con cui ciascun essere umano nasce, ma che troppo spesso dimentica nel corso della vita.
In quest’opera, il fotografo attua un rovesciamento della consuetudine visiva.

Luciano Romano Ex Novo. Sette opere di misericordia

Qui è l’uomo bianco che viene tratto dal mare, non sappiamo se in salvo oppure no, in un’immagine intensa, di straziante bellezza nel suo ordine, nella sua compostezza.

Sono gli sguardi che, cadendo in specifici punti della composizione, realizzano un’impostazione piramidale, così come si soleva fare nella pittura di riferimento, in cui la costruzione geometrica non era un evento fortuito bensì necessario alla resa espressiva della raffigurazione.

Se è vero, come sosteneva Gilles Deleuze, che Ogni opera riassume e contiene in sé tutta l’arte che l’ha preceduta[1], questi scatti sono connotati da una forza plastica e compositiva quasi tridimensionale nel parallelismo con i dipinti da cui il fotografo trae ispirazione.

Siamo di fronte alla drammaticità del segno che rimane immutata nel tempo: i protagonisti di queste immagini si manifestano come oracoli della visione inversi, si rivolgono a noi, aprono dei quesiti, ci interrogano, ci chiedono aiuto, ci domandano di sostare in un attimo di sospensione temporale.

Ci invitano a pensare che, forse, bisognerebbe ricominciare a vedere, a sentire ad agire con maggiore attenzione e senso di responsabilità, analizzando con un nuovo sguardo l’enigmaticità degli archetipi dell’inconscio collettivo.

Ci suggeriscono che bisognerebbe finalmente smettere di pensare che l’orrore e la violenza, in tutte le innumerevoli evidenze fenomeniche, siano accadimenti naturali ed inevitabili; in realtà sono sempre frutto di una scelta.

L’azione di Luciano Romano muove quindi un’istanza politica, che implica una potente componente etica, esplorando alcuni punti nodali dell’iconografia storico artistica occidentale.

Un invito a considerare i segni, i significati ed i valori indagati, per riformulare, a partire da azioni responsabili e consapevoli, nuove mappe di coesistenza possibili. Ex Novo.

 

Info mostra

Luciano Romano Ex Novo

  • a cura di Marina Guida
  • organizzazione di Gianpaolo Brun
  • allestimento di Giovanni Francesco Frascino
  • Napoli, Pio Monte della Misericordia
  • dal 14 aprile; la mostra  prevista sino al 10 luglio, è stata prorogata sino all’11 settembre 2022.
  • Orari: dal lunedì al sabato dalle ore 10.00 alle ore 18.00, ultimo ingresso ore 17.30. Domenica dalle ore 9.00 alle ore 14.30, ultimo ingresso ore 14.00.
  • www.piomontedellamisericordia.it
  • www.lucianoromano.com

 

Note

1.  G. Deleuze, Francis Bacon. Logica della sensazione, Quodlibet, Macerata 1995, pp.188

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Marina Guida si laurea in Conservazione dei Beni Culturali ed Ambientali, presso L’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli, (città natale dove vive e lavora) con una tesi sulla ricezione critica delle opere di Robert Mapplethorpe in Italia.
Frequenta i seminari e gli incontri dell’arte tenuti presso il centro di Documentazione Filiberto Menna di Salerno, moderati Dal Prof.Angelo Trimarco e dalla Prof.ssa Stefania Zuliani.
Critico militante, curatore indipendente, redattore free lance, collabora con diverse riviste d’arte contemporanea e periodici d’arte e cultura, scrivendo recensioni delle mostre ed articoli di approfondimento, firma saggi e testi critici per cataloghi di progetti espositivi in spazi privati.

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