William Klein. Un ricordo. Il film corrosivo su Moda e Media Qui êtes-vous, Polly Maggoo?

Qui êtes-vous, Polly Maggoo, 1966 by William Klein (qui anche Peggy Moffitt)

Il nostro ricordo di William Klein, da poco scomparso a Parigi il 10 settembre 2022 riguarda Qui êtes-vous, Polly Maggoo? (Chi sei, Polly Maggoo?) un suo film, francese, uscito nell’ottobre 1966 e da lui scritto e diretto, e vincitore di un premio Jean Vigo nel 1967.

Nato a New York il 19 aprile 1926 (gli piaceva togliersi 2 anni, diceva di essere nato nel ’28!) da genitori ebrei ungheresi esuli negli States, Klein, ha presto preferito la Francia, e Parigi in particolare, per formarsi (fu allievo di Fernand Léger), vivere e lavorare, fin da giovanissimo, diventando presto noto come fotogiornalista e fotografo di moda, considerato dalle più autorevoli riviste di settore tra i 100 fotografi più influenti e noto anche per aver realizzato, a Roma, foto memorabili, grazie a Federico Fellini:

“Sapevo che era a Parigi per promuovere il suo nuovo film e l’ho chiamato al suo hotel. Io lo chiesi e me lo misero al telefono, cosa che, oggi, con tanti agenti e rappresentanti, sarebbe stato impossibile, ma allora funzionava così.

Gli ho detto che volevo fargli vedere un libro su New York e mi ha preso appuntamento il giorno dopo alle 4:00. Quando l’ha visto mi ha detto che ce l’aveva sul suo comodino, che era stato pubblicato in Italia. Così mi invitò ad andare a Roma e a fargli da assistente. Gli ho detto che non sapevo nulla di cinema e gli ho chiesto cosa facevano gli assistenti. 

Mi disse che non c’erano problemi, che il fatto era che se si fosse ammalato avrei dovuto sostituirlo e filmare le scene. E gli ho detto che va bene.”

Il film era Le notti di Cabiria. In attesa del lavoro sul set, che slitterà tanto a lungo che William Klein non vi collaborò mai, girò per la città; era  il 1959, a Via Veneto e altrove si affollavano i paparazzi appostati, la Dolce vita era ancora zuccherina, nella Città eterna arrivavano tutti e lui scattò forsennatamente, infilandoci anche un servizio di Moda ambientato, Street, per “Vogue”; intanto, aveva deciso:

…dato che ero lì, avrei fatto un libro su Roma. Quando mi guardo indietro, mi rendo conto che metà di quello che ho fatto è stato perché l’opportunità si è presentata inaspettatamente.”

Sarà questo incontro che lo porterà ad usare il mezzo e il linguaggio cinematografico. Realizzerà documentari tra i quali il primo, Broadway by Light, 1958, considerato una manifestazione di cosiddetta Pop Art City.

Apprezzato per la schiettezza del suo linguaggio creativo, anti-grazioso, apertamente critico verso la società e la politica più mainstream (come in Mr. Freedom, altro suo film, del 1968, parodistico e corrosivo contro la politica estera americana; e come in Le Couple témoin, 1977, satira del consumismo e della modernità), e per il suo sguardo ironico, quando non caustico, nonché per l’uso estensivo di tecniche inusuali nel contesto della Fotografia, tra sfocato, sgranato, inquadrature sghembe, avvicinamenti spudorati sotto la pelle della realtà (si pensi all’adolescente con la pistola puntata verso la fotocamera, al ragazzino-nano esibito a Little Italy, alle tante immagini della folla, alle donne formose nella piscina della sauna: altro che attesa del “momento decisivo” alla Cartier-Bresson!), ebbene: tali caratteristiche emergono nel suo primo film, pungente e surreale, quel Qui êtes-vous, Polly Maggoo?, appunto, che mostra il mondo della Moda e i suoi eccessi ma anche alla pervicacia e il cinismo di quello della Televisione e del dominio di quei 15 minuti di celebrità indicati da Warhol.

La protagonista Polly è la Top Model Dorothy McGowan, un’irlandese-americana corteggiata da “Vogue” e “Harper’s Bazaar”, tra le preferite di Coco Chanel e immortalata, oltre che da Klein, da Richard Avedon, Irving Penn, Melvin Sokolsky, Francesco Scavullo e altri.

Con lei nel film ci sono uno straordinario  Jean Rochefort nei panni di Grégoire Pecque, il regista; Philippe Noiret che impersona un reporter e regista televisivo; Grayson Hall che interpreta un’editrice di una rivista di moda, Miss Maxwell, ispirata a Diana Vreeland: memorabile la scena della mastodontica sfilata firmata da un sarto di nome Isidore Ducasse (riferimento a quel Lautréamont poeta francese amato dai Surrealisti e dunque colta citazione di Klein), che ha la pretesa di “ridefinire la donna” e che realizza outfit con l’alluminio, richiamo palese alle invenzioni metalliche di Paco Rabanne, che nel 1966 presentò all’Hotel Georges V di Parigi una sua collezione composta da 12 abiti costruiti con  alluminio, metalli vari, plastica e rhodoid. Nella finzione filmica gli abiti sono così aguzzi da ferire le modelle che li indossano.

Nella pellicola, dove il design e la grafica hanno una parte importantissima, insieme all’Arte Visiva (Avanguardie, Pop Art e Optical Art, ad esempio), ci sono Sami Frey, nel ruolo del bel principe, Alice Sapritch, Michel Robin, alcuni camei (Avedon nelle sue vesti di fotografo) e molte modelle dell’epoca tra le quali Peggy Moffitt e Donyale Luna.

La statunitense Luna (Peggy Anne Freeman, dalla fine prematura, nel 1979, per overdose di eroina), anche attrice e una delle muse di Andy Warhol, è considerata pioniera delle professioniste afroamericane nel Fashion e prima ragazza copertina di colore, scelta in linea con la sensibilità di Klein per la cultura afroamericana (era pur sempre un ribelle, nato e cresciuto vicino ad Harlem, frequentatore fotografico del Bronx) e una radicale e critica considerazione della società americana e del suo colonialismo.

Siamo in quei favolosi anni Sessanta anche molto problematici, dove la contestazione giovanile aveva già sortito i suoi effetti, l’arte più interessante era sperimentale e quindi innovativa e ovunque si respirava da tempo un desiderio di sovversione delle regole precostituite, di libertà sessuale e di genere e la rivoluzione culturale passò pure dalla Moda e dal Costume, che si confermarono non così secondari a livello antropologico, sociale e politico.

Quest’atmosfera ribelle, creativa e articolata permea tutto il film, seppure la sua trama risulti apparentemente semplice.

In sintesi: Polly Maggoo, una modella di successo ed emblema di un’epoca, è seguita da una troupe televisiva francese perché è stata scelta come soggetto di uno show: una squadra di tecnici irrompe nel suo appartamento, la riprende, la considera una sciocchina e non si capacita della sua fama per cui, per scoprirlo, la sommerge di domande attraverso un’intervista; ma il regista-conduttore è insoddisfatto del risultato; per risolvere, decide si incontrare più volte Polly e alla fine se ne innamora.

Nel frattempo, un giovane principe, colpito da una fotografia della modella, innamorato quindi di dell’immagine della ragazza, ed evidentemente ispirato dalla liaisons tra il Principe Raineri e Grace Kelly di un decennio prima, smuove mari e monti a Parigi per trovarla, anche con l’aiuto della madre e di 007 del suo fantomatico paese: il nobile rampollo la raggiunge quindi nella capitale francese, ma quando egli arriva, Polly è assente da casa e sarà il suo vicino a riceve i… tributi (!!!) del principe.

Ma chi è la vera Polly Maggoo? Non importa. Non importa a nessuno. La domanda resterà senza risposta, mentre l’uso e consumo degli idoli dello Star System (Fashion World, Show Biz, Tv e via dicendo) si velocizza.

SPOILER: il film si conclude con Polly ripresa tra la folla che saluta una celebrità invisibile: è il nuovo che avanza, pronto a prendere il suo posto e ad essere dissipato nell’olimpo del… Must Have.

La storia, volutamente sfuggente, visionaria e allegorica, è realizzata con un luminoso bianco e nero e dal carattere fortemente visivo piuttosto che narrativo, in cui emerge lo stile tipico del Klein-fotografo.

A tal proposito, dirà di sé, della sua Fotografia:

Mi piace l’umorismo nero. Penso che il mondo sia molto divertente e tragico, e le mie fotografie sono fondamentalmente un oscuro umorismo ebraico.”

“Cosa è stata la fotografia per me? Venendo da una pittura geometrica in cui il mondo esteriore era escluso, rappresentava una finestra aperta sulla vita. Potevo mostrare come la vedevo e cosa ne pensavo.

Se volete, ero un artista che utilizzava la fotografia, come si dice, ma non per farne arte. La mia parola d’ordine era anything goes. Mischiato alle folle nelle città il mio desiderio di appartenenza viene fuori, come se volessi essere anch’io parte di questo turbinio di colori e di sguardi ma, contemporaneamente, non riesca ad appartenervi del tutto.

La macchina fotografica allora, giustifica la mia presenza di perenne straniero, intruso e curioso. Forse è così che tutti si sentono in una grande città ed è così che si deve vivere: straniero tra gli stranieri, tutti ugualmente attori di una continua e affascinante festa mobile”.

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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