Il Povero Piero di Achille Campanile. Il paradosso tragicomico della morte

immagine per Il Povero Piero di Achille Campanile. Il paradosso tragicomico della morte

Achille Campanile, autore del libro Il povero Piero della casa editrice Biblioteca Universale Rizzoli (edito anche da Feltrinelli), è stato purtroppo un po’ dimenticato, e quando viene ricordato gli vengono dedicate poche righe non sempre entusiastiche.

Eppure ci furono anni in cui  fu molto amato  dal pubblico  e apprezzato dalla critica e da diversi  scrittori che lo hanno annoverato a classico del 900 e accostato per alcuni aspetti a Pirandello e Ionesco nel trattare il tema dell’assurdo e nel ridicolizzare la maggiore delle convenzioni sociali: la parola. Probabilmente,  la letteratura umoristica viene considerata  un genere minore.

Ricordo che sentivo spesso negli anni 60 e 70, anni in cui fu “riscoperto” prima di essere nuovamente sottovalutato, mio padre ridacchiare mentre lo leggeva,e parlarne come di un autore capace di far ridere grazie ad un umorismo surreale, raffinato e mai volgare.

Sì, perché il suo lessico, sotto la vena popolaresca ed ironica,  era estremamente  studiato, ricercato e sofisticato. Tutto questo ha reso e rende tuttora il suo stile riconoscibile, personalissimo.

immagine per Il Povero Piero di Achille Campanile. Il paradosso tragicomico della morte

Achille Campanile  lavorò per qualche anno al settimanale Il travaso delle idee, giornale di satira senza un’appartenenza politica. Silvio D’Amico, presidente dell’accademia di arte drammatica, curava la terza pagina della rivista e rimase affascinato da una personalità che poteva essere considerata tanto instabile quanto geniale, e gli diede l’opportunità di essere introdotto al mondo culturale degli anni 20.

Campanile collaborò con altre testate, si occupò anche di cinema e televisione, fino a conquistare una grande popolarità con l’invenzione del personaggio di Battista, un cameriere che seguiva il giro d’Italia del 1932 fino a divenirne uno dei protagonisti, al pari di ciclisti di fama. Tenne una rubrica di critica televisiva sul periodico l’Europeo inventando un genere tutto suo che fu definito da Umberto Eco “critica inventiva”.

Il suo successo fu piuttosto controverso e il suo anticonvenzionalismo e la sua ironia pungente fece dividere il suo pubblico tra estimatori entusiasti e critici denigratori. Nel 1930 andò in scena a Milano la commedia  L’amore fa questo e altro, interpretata da Vittorio De Sica e dello stesso Campanile.

In sala si scatenò un putiferio: il pubblico si divise tra chi applaudiva  e chi contestava. Lo scontro tra i due schieramenti rischiò di finire in rissa e dovettero intervenire perfino i carabinieri. In sala c’era Pirandello, e la gente iniziò ad applaudire lui. Fu lo stesso Pirandello,  poco dopo, ad incitare  la compagnia a riprendere le repliche della commedia. Campanile non si scoraggiò; continuò a scrivere compensando gli insuccessi delle sue rappresentazioni teatrali, al successo dei suoi romanzi.

Le sue opere sono per lo più caratterizzate da battute brevi, dove l’ironia si alterna al gioco delle parole, del paradosso e dell’assurdo. La tecnica è quella di prendere in prestito un evento esterno, verbale o pragmatico, sospendere il giudizio e portarlo alle estreme conseguenze per dimostrare che ogni assunto rifiuta di essere contenuto in una definizione unica e restrittiva.

Quelle che lui definisce  le “tragedie”, sono piccoli atti composti da un esiguo numero di battute originali che rende il tutto eccezionale, nel senso di non riducibile all’ordinario.

Lui stesso disse che: «l’umorista è uno che istintivamente sente il ridicolo dei luoghi comuni e perciò è tratto a fare l’opposto di quello che fanno gli altri. Perciò può essere benissimo in hilaritate tristis e in tristitia hilaris [citazione latina da Giordano Bruno, apposta sul frontespizio della sua opera teatrale Candelaio], ma se uno si aspetta che lo sia, egli se è un umorista, può arrivare perfino all’assurdo di essere come tutti gli altri in hilaritate hilaris e in tristitia tristis perché, e questo è il punto, l’umorista è uno che fa il comodo proprio: è triste o allegro quando gli va di esserlo e perciò financo triste nelle circostanze tristi e lieto nelle liete.»

Il povero Piero è, secondo me, uno dei suoi libri più significativi.

La vicenda ruota attorno alla morte di Piero, ma soprattutto al comportamento dei parenti e degli amici. Nelle prime pagine il protagonista del racconto è malato, molti amici e parenti si avvicendano nelle visite, ma quando la situazione si prolunga tutti smettono di andarlo a trovare e resta soltanto sua moglie e un’amica di lei a vegliarlo.

Lui è lì, inerte a guardare il soffitto:  «la sua vita gli pareva una serie di rottami nella memoria. Galleggiavano sul mare del passato pezzi di ricordi, alcuni quasi informi (…) Tutta la sua vita è fatta della spalletta di un ponte, di un angolo di strada, di una barca, di un pezzo di giardino, di una parete, di una finestra, di una chiesa di paese (…). È notte ed ha paura della vita. Una volta aveva paura della morte, ma adesso ha paura della vita. Questo continuo agitarsi di tutti. Tutti fanno qualche cosa. Tutti sono energici, tutti sono sistemati, e lui no.»

Piero “finalmente” muore. Nel racconto di Campanile si snodano  riflessioni profondissime eppure ironiche fino a diventare paradossali. Tutti sono stupefatti come se la morte  fosse una cosa evitabile. Nelle frasi «lo ricorderemo perennemente», «ci ha lasciati per sempre», c’è una presunzione di immortalità da parte di chi resta. Nessuno sembra preparato all’evento, mai, nemmeno quando la morte arriva dopo una lunga e incurabile malattia.

Tutti si preoccupano dei vivi rimasti: che non si disperino, che mangino, che bevano. Dicono: «tenete d’occhio la moglie». Ma Campanile sottolinea elegantemente e grottescamente che sono frasi insensate: è rarissimo che qualcuno muoia di dolore o si uccida.

Tratta in modo irriverente ogni luogo comune, sottolineandone contraddizioni e paradossi, facendo apparire tutto incredibilmente ridicolo. Con un sarcasmo pungente nota e ci costringe a notare la presenza e l’assenza delle lacrime, comunque pretese o biasimate: «mi fa paura la calma di Teresa, il fatto che  non versa una lacrima!», per  dire subito dopo: «non devi piangere Teresa, fallo per me!»

Campanile entra ed esce dal racconto. Per farci capire meglio, sovrappone alla storia centrale piccoli aneddoti e altre storielle, che diventano storie o considerazioni all’interno della storia principale.

Quando scruta dal di fuori la vicenda, fa considerazioni tragicomiche, sempre verissime, sulla morte che si presenta appena nasciamo. Abbiamo l’arroganza di non saperlo, siamo baldanzosi, spensierati, quasi sprezzanti. I martiri o gli eroi avevano un distacco dai beni terreni. Ora, sostiene l’autore, abbiamo un disprezzo della morte senza questo distacco, e questo disprezzo è appunto originato  dall’attaccamento ai beni terreni.

Piero lascia detto che vuole che la notizia della sua morte venga data ad esequie avvenute. Altre comunicazioni vengono cercate: testamenti, lasciti, quattrini: niente. Qualcuno dice che è stato imprevidente a ridursi senza una lira. Qualcuno sostiene che al contrario, è stato previdente a spendere tutto quando era ancora in vita.

Si cerca un’impresa di  pompe funebri. Si nota con sarcasmo che tutte vantano un «servizio celere in tutta Europa». Ma perché mai si dovrebbe avere fretta? E perché: «chiamate anche di notte»?

Un altro dei numerosi paradossi riguarda il fatto che l’addetto delle pompe funebri che arriva a casa di Piero abbia appena perso la moglie, e occupandosi dei lutti degli altri non ha tempo e modo di occuparsi del proprio. Andandosene, dopo il suo lungo sfogo, dirà: «la salma si muoverà alle 7». Come fa una salma a muoversi? E così via…

Tutto tende a rendere difficile rispettare l’unica richiesta di Piero: la riservatezza. La notizia trapela, il suo corpo viene nascosto nei luoghi più impensati della casa.  La serietà del rito è da subito inficiata da equivoci, soprattutto da colpi di scena, tutti volti a smascherare il perbenismo e l’ipocrisia del comportamento umano  analizzato qui in maniera irriverente, impietosa, ma sempre elegante,  costringendoci a ridere forse dell’unica cosa  seria ed irreversibile della nostra esistenza.

Vi segnalo il bellissimo sito dedicato alla storia e alle opere di Achille Campanile redatto dai giornalisti e critici Angelo Cannatà e Silvio Moretti, con la collaborazione di Gaetano Campanile, figlio dell’autore.

+ ARTICOLI

Non sono una giornalista né, tanto meno, una scrittrice. Sono una fisioterapista in pensione con la grande passione della lettura che mi guida da quando ero bambina.
L’idea di questa rubrica nasce dal mio desiderio di condividere. Se un libro mi piace o mi colpisce particolarmente, cerco di raccontarlo affinché anche gli altri possano provare le mie stesse emozioni. Non amo, invece, parlare dei libri che non mi sono piaciuti. Preferisco pensare che non sono nelle mie corde, o che li ho letti nel momento sbagliato.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.