SAM Street Art Museum a Narni. Cosa come perché. Intervista a Gianluca Marziani

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SAM Street Art Museum di Narni è ubicato nella bella Rocca Albornoz, fortezza difensiva del XIV secolo, già adibita ad eventi e mostre ma da tempo con necessità di trovare continuità, carattere e una propria missione.

Sembra averle trovate nella nascita di un nuovo spazio espositivo che si occuperà di Arti ed Espressioni urbane: curiosamente, non in una grande città ma in un centro più piccolo – circa 19.543 (2017: dati ISTAT) – come questo noto comune umbro, in provincia di Terni.

Dal primo maggio 2023, grazia a un accordo tra il Comune di Narni, la Narni Art e l’Antonelli & Marziani Cultural Consulting (società dei due curatori in binomio: Stefano Antonelli, già fondatore e direttore artistico di 999Foundation che, anche con la sua galleria d’arte nel quartiere capitolino di San Lorenzo, si è occupato di graffitismo e Street Art, e del critico e curatore Gianluca Marziani, anche ex direttore di Palazzo Collicola a Spoleto), questo museo è stato ufficializzato e aperto al pubblico.

L’intero primo piano ospiterà le opere della collezione permanente, due gallerie al piano terra che affacciano sulla corte del castello ospiteranno le mostre temporanee; le torri un Centro Studi, e vari progetti e laboratori; una grande ala distaccata del castello ospiterà un progetto sull’arte urbana italiana; gli spazi esterni dei giardini accoglieranno una serie di interventi scultorei e installativi. Non mancano un bar, un ristorante e un bookshop.

Facciamo luce su questo progetto chiedendo a Gianluca Marziani, uno dei due Direttori Artistici:

un nuovo spazio espositivo riorganizzato, una nuova curatela e direzione, una posizione defilata rispetto al centro del Sistema dell’Arte… Dopo la tua gestione del Collicola a Spoleto, forse non magnificamente riuscita e finita, che tipo di Museo hai pensato di proporre a Narni? Cosa è questo SAM Street Art Museum, ovvero Museo delle Arti e delle Espressioni Urbane alla bella Rocca Albornoz?

Credo, in realtà, che Spoleto sia stata un’esperienza virtuosa e irripetibile: una direzione artistica in cui ho prodotto un numero enorme di progetti con un budget ridicolo che nessuno avrebbe saputo far fruttare così bene.

Ho fatto cose indimenticabili per la città, da James Turrell a Luigi Ontani, da Alberto Burri a Richard Prince, da mostre su grandi collezioni italiane ai diversi focus sui migliori artisti italiani, dal progetto diffuso sulla scultura italiana al Padiglione Umbria della Biennale di Venezia, dai festival di musica elettronica agli eventi speciali coi maestri dell’architettura, dalle connessioni con altri spazi umbri alle acquisizioni sui muri del museo, dal cortile con le sculture interattive alle antologiche di grandi autori.

Il crollo, semmai, è accaduto quando si è cambiata politica comunale e si è preferito lavorare in chiave di “rottura personalistica” e non di “continuità comunitaria”.

SAM nasce dal punto interrotto a Spoleto, nasce da un lavoro che in quella città era per me esaurito, nasce dalla volontà di creare un progetto di nuova specie in un mondo che, nel frattempo, è cambiato in modo radicale e non retroattivo.

Parlaci della collezione permanente. Su quali basi la costruirete?

La collezione è a doppia chiave: da un lato la prima collezione museale dedicata a Banksy con circa 30 opere originali; dall’altro un progetto pensato sull’arco di sei anni, Origins, che indagherà il Novecento lungo diversi capitoli non cronologici, sorta di collezione rizomatica che mette in dialogo grandi artisti del Novecento con grandi autori finora considerati, per comodità di registrazione, artisti urbani.

Il tema nodale di SAM riguarda la rilettura del Novecento lungo l’asse linguistico della città; uno sguardo che, da una parte, considera il muro un vero e proprio display (tela) ad elevata ricezione sociale, dall’altra vede nel motore urbano il significante di grammatiche e temi da attraversare.

Con questo spirito ho costruito lo scorso anno la mostra Wall Street presso Castello di Rivoli, e con lo stesso spirito io e Antonelli abbiamo immaginato un nuovo museo che definisse la sua unicità e il suo ruolo strategico nel panorama internazionale.

Quale la politica culturale dedicata, quali i programmi, quali le (eventuali) collaborazioni?

La nostra politica culturale è quella di ragionare sul museo come un corpo biodinamico che sviluppi molteplici funzioni.

Dentro SAM si attraversa l’intera filiera produttiva, sia nelle elaborazioni che nella produzione espositiva, sia nel circuito didattico che nel sistema di archiviazione e studio dell’arte pubblica.

Stiamo inaugurando il primo centro italiano, sotto la direzione di Laura D’Angelo, dedicato alla storia dell’arte pubblica nel nostro Paese e in cui studieremo una lunga vicenda di opere, azioni, performance e installazioni che hanno trasformato la natura storica, politica e sociale del nostro territorio.

Hai degli artisti con cui preferibilmente lavori e lavorerai? E con chi in futuro vorresti interagire? Soprattutto: qual è la ricerca, quale il linguaggio concettualistico e visivo che più di tutti ti interessa approfondire, che ritieni più efficace e contemporaneo oggi? E perché?

Assieme a Stefano Antonelli ci stiamo interrogando sul resoconto storico e sul dinamismo al presente dell’arte urbana.

Il Padiglione Italia, ad esempio, sarà una sorta di spin-off del padiglione veneziano, un luogo dove presenteremo ogni volta tre artisti viventi del nostro panorama, un campo di studi per affermare il giusto valore della pittura urbana contemporanea.

Come vedi non parlo mai di graffitismo e terminologie similari: da una parte perché il writing è una parte di una più grande avventura artistica che è la cultura delle espressioni urbane; dall’altra perché il nostro obiettivo vuole integrare determinati artisti nel sistema storiografico del contemporaneo.

Ha poco senso ragionare ancora per macrocategorie concettuali, semmai conta l’analisi delle avanguardie attraverso la sorgente di senso che è la città.

La Bellezza potrà mai davvero salvare il mondo? Nell’arte visiva, cosa è per te la bellezza? Quanto è un valore e perché?
Anche considerando le connesse idee da Voltaire a Umberto Eco a Galimberti – tanto per buttar sul tavolo alcuni autorevoli nomi e studi –, quanto a tuo avviso le persone riescono a percepirla e a percepirne, pertanto, l’assenza e quindi il suo contrario?

Bellezza è una parola che nasconde l’immensa complessità dello straordinario.

La sua natura cambia nel tempo e nello spazio, seguendo lo spirito molecolare degli accadimenti, del gusto, degli orientamenti culturali.

Oggi preferisco parlare di intensità, di rilevanza e inclusione: parole che nascondono l’idea stessa di nuove ipotesi museografiche in una civiltà sempre più digitale.

Parliamo del Museo, sia questo nello specifico sia in senso più globale… Hai dei modelli museali a cui tu ti ispiri e che reputi di voler replicare a Narni?

Con Stefano Antonelli ragioniamo su un rizoma che prende particelle da diversi musei, unendole in un reticolato che poi forma la personalità del progetto. SAM vuole integrarsi ai gusti dominanti per plasmare le ragioni selettive dentro il gusto dominante.

SAM vuole captare le frequenze ad alto segnale nel panorama dei social media, selezionando ciò che merita per qualità e coerenza.

SAM vuole scrivere una pagina istituzionale finora assente nel panorama museale, sperimentando sotto ogni punto di vista, correndo rischi che diventano necessari per crescere, tentando correlazioni e dialoghi per una visuale realmente inclusiva del linguaggio artistico.

Questo spazio espositivo avrà un rapporto con la comunità locale, con il luogo? Di che tipo?
In senso più ampio: local, global o… glocal? Quale di questi termini, con la loro differente specificità, è più giusto perseguire, oggi, se si vuole proporre una visione e un carattere culturale necessario e utile per una crescita e una consapevolezza civile e condivisa?

Andando più dentro il ragionamento: ha ancora senso oggi pensare a un Museo di Arte contemporanea come siamo stati abituati ad avere, a fruire e a costituire e gestire, o ci sono nuove modalità e operatività per renderlo un organismo più utile alla società, al pubblico e alla costruzione di una visione di futuro?

Nell’estate del 2022 l’ICOM (International Council of Museums) ridefinì il Museo come “un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che effettua ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio materiale e immateriale.

Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze”.

Mi dai la tua definizione di Museo, oggi, e un’idea di come dovrebbe essere per tornare ad essere un modello di sviluppo virtuoso dell’individuo e della collettività?

Un luogo che integri le radici locali con le infiorescenze globali. Un luogo che sia inclusivo in termini di sguardi, posture e stimoli ambientali. Un luogo che sappia sempre adeguarsi al mondo che cambia, recependo le qualità non evasive ma seriamente edificabili.

A fine marzo c’è stata una importante Giornata di Studi promossa da AMACI su I Musei d’Arte Contemporanea e lo sviluppo sostenibile di una pratica necessaria, che ha trattato molti temi connessi e ha palesato una rete di connessioni di cui tenere conto.

Come intendi tu la “sostenibilità” e come la applicherete in questa struttura? Soprattutto: come pensi si debba lavorare, a livello divulgativo e culturale, per far penetrare questo principio e valore ad ogni livello nella nostra società (nostra italiana e nostra mondiale)?

Sostenibilità è parola elettrica nel presente, crea alta tensione non appena la persegui avidamente o con superficialità sgamata.

La mia prima sostenibilità riguarda l’ecologia del pensiero filosofico che sostiene l’intera operazione, un green thinking post-ideologico, ispirato ma laico per sistema morale.

La sostenibilità ben congegnata è un rizoma che ci fa uscire dal verticalismo gerarchico e dal confine orizzontale delle culture coloniali: finalmente siamo liquidi nel nostro ecosistema di atolli culturali in cui nascono nuove proporzioni, nuove singolarità, nuove connessioni.

Sulla fruibilità dei Musei oggi: per il nostro Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano la gratuità dei musei svilisce le opere d’arte, deprezzandole; al contrario, tra le prime dichiarazioni da Sottosegretario dell’accumula-nomine e acchiappa-incarichi Vittorio Sgarbi, non solo i musei dovrebbero essere gratuiti ma con orari di apertura più ampi – “almeno fino alle 21. La gente che lavora non può andarci di giorno, quindi dovrà andarci, gratis, nelle ore in cui sono liberi di andare” – palesando, per ora, grandi divergenze di vedute.

L’archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis propose all’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, durante le serrate pandemiche, di riaprire i musei e riaprirli gratuiti perché – come scrisse nell’appello pubblicato sul “Corriere della Sera” – è fondamentale mantenere viva la memoria culturale, perché “ci ricorda quel che eravamo e ci proietta verso il futuro. Ci dona ricchezza interiore, speranza, creatività. Non sana le ferite, ma le cura e le allevia”.

Per l’ICOM – lo abbiamo indicato precedentemente – l’istituzione deve essere permanente, al servizio della società e senza scopo di lucro.

Personalmente, ritengo che chi si occupa di cultura, arte e divulgazione debba essere pagato profumatamente – in cambio di sapienza, vivacità intellettuale, professionalità, abnegazione, aggiornamento continuo, capacità comunicative e approfondimento continuo – ma che la Cultura debba essere, per la collettività, come la Sanità e la Scuola, quindi Servizio Pubblico: a carico dello Stato e/o di illuminati mecenati, invogliati a investire attraverso detassazione ad hoc, come in Paesi più arguti ed evoluti del nostro.

Monetizzare sempre e tutto, essere succubi dello sbigliettamento proponendo arte e cultura lo trovo controproducente in un’Italia con una dispersione scolastica in aumento, con un generale abbassamento intellettuale collettivo e con un’enorme disparità nella possibilità di beneficiare dei Beni culturali e contemporanei.

Insomma, davvero l’unico modo per potenziare l’enorme patrimonio culturale italiano è davvero quello di renderlo a pagamento?

Perdonami la lungaggine, necessaria, ma, insomma: io, tra le posizioni di Sangiuliano o del precedente Ministro Franceschini, abbraccio stavolta, impensabilmente, quella di Sgarbi. Tu che idea hai a tal proposito?

Questa domanda è molto complessa e richiederebbe una lunga disamina. Per mia natura credo nell’impegno strategico dei privati, laicamente liberi di sostenere ciò che ritengono opportuno e valido.

Il problema italiano risiede nello sbilanciamento tra eccessiva porosità del sistema pubblico e una limitata presenza di mecenatismo strutturale che supporti le singolarità culturali.

La fatidica scarsità che rende prezioso un oggetto digitale diventa un problema nel finanziamento di operazioni innovative e non conformi; si tende, purtroppo, ad usare il bene pubblico per operazioni spesso sbilanciate negli interessi personali, senza allineamento al presente (tempi troppo lunghi tra la decisione e la messa in atto), con pochissima volontà di rottura rispetto ad uno status quo moralmente accettato.

Ora una domanda melmosa: siamo troppo esterofili e angloamericano-succubi, come del resto è angloamericanocentrico l’Art e Star System, e il connesso Mercato?

Lo siamo anche nell’uso della lingua, ad esempio, a discapito dei tanti, meravigliosi termini in italiano [qui mi riferisco alla provocatoria (!!!) proposta alla Camera a prima firma di Fabio Rampelli, deputato di Fdi e vicepresidente della Camera, di multe fino a 100mila euro contro chi usa le parole inglesi nella Pubblica Amministrazione, stimando “non più ammissibile che si utilizzino termini stranieri la cui corrispondenza italiana esiste ed è pienamente esaustiva”, parere che “si colloca in un’ottica di salvaguardia nazionale e di difesa identitaria”] ?

La soluzione mi sembra a portata di mano: mantenere vivo il corpus della nostra splendida lingua, integrandolo con parole straniere che si portano appresso la giusta sintesi di senso.

Per capirci, smettiamola di usare la lingua inglese quando non serve ma facciamone uso quando la complessità del discorso considera la mescolanza semantica, i cortocircuiti, le assonanze in apparenza dissonanti.

Le parole devono contenere l’essenza e la sua dispersione semantica dentro la sonorità orale e il rito grafico: se una parola inglese – come environment, ad esempio – detiene più essenza del suo corrispettivo in italiano, non vedo alcuna ragione per evitarne l’uso.

Se, invece, devo creare un claim (n.d.R.: motto, slogan) per aumentare il turismo nel nostro Paese, di certo non metto insieme una parola in inglese e una in italiano: scriverei “Benvenuti nella Meraviglia” e non “Open to Meraviglia”, tanto per fare un esempio di queste ultime ore.

Dopo la melmosa, la domanda la spinosa, perché troppo spesso ammantata, come le molte possibili risposte, di (pre)concetti ideologici: cosa vuol dire, oggi, e ha senso una identità italiana? Per te cosa significa e, quindi, come passerà tramite il tuo Museo?

Identità significa agire nel cuore di una storia condivisa, ricreando le condizioni di selezione del merito, organizzando i risultati con sistemi eterogenei che parlino al turista straniero come allo studioso di settore.

Questo museo dedicherà ampio spazio ad un nuovo ordine dell’arte italiana, affinché si possa guardare il passato con occhi nuovi. Ci sono grandi nomi di Arte Povera, penso a Mario Merz o Gilberto Zorio, che abbiamo sempre osservato da un unico punto di vista ma che, usando la critica in forma espansa, diventano frangenti di una lunga storia dentro il cuore di tenebre luminose chiamato CITTÀ.

Ecco, crediamo che questo sia il modo giusto per abbracciare con sentimento e senso il cuore qualitativo dell’arte italiana, facendo in modo che i singoli autori crescano nel rizoma linfatico in cui li leggeremo.

Pensiamo che si possa diventare migliori se il confronto con il mondo avviene alla pari, con le stesse regole d’ingaggio e gli stessi modelli di lettura.

SAM Street Art Museum Museo delle Arti e delle Espressioni Urbane

  • diretto da Antonelli & Marziani
  • Rocca Albornoz
  • Via di Feronia, 05035, Narni
  • contact@museosam.it
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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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