Dorothea Lange. Racconti di vita di lavoro e la dignità degli ultimi

Dorothea Margaretta Nutzhorn, (Hoboken, New Jersey, 1895 – San Francisco, 1965) di origini germaniche in quanto nipote di immigrati tedeschi, e meglio nota comme Dorothea Lange (usò, infatti, il cognome della madre) è una fotografa ritrattista, passata per lo stile pittorialista, quando decide per un linguaggio più nitido e diretto con il quale guardare fuori, oltre: verso realtà probabilmente ancora generalmente poco espresse e mostrate e certamente non troppo edificanti per il sentire comune negli Stati Uniti.

Non è facile per una donna, a quei tempi, fare certe scelte di indipendenza, viaggiare, scattare rivolgendosi a tematiche sociali; ancor meno facile, si potrebbe pensare, considerando il suo deficit fisico alla gamba destra a causa della poliomielite che la colpì a soli 7 anni; nulla, però, le impedirà di seguire i suoi sogni e i suoi interessi.

È così che, accesa da un sacro fuoco documentaristico e sociale, svelerà le migrazioni, le discriminazioni, la disoccupazione dell’America Uniti tra gli anni Trenta e Quaranta e persino mutamenti climatici che già allora pesavano sulla vita di intere comunità, stravolgendone vite ed economie.

Con la sua straight photography dal carattere fotoreportagistico, nel 1947 collaborò alla nascita della celebre Agenzia Magnum, nel 1952 fu tra i fondatori dell’importante rivista “Aperture” [1] e nel suo lungo percorso professionale riuscì a ridare e mostrare la dignità degli ultimi.

Questo e altro vediamo nella mostra Dorothea Lange. Racconti di vita e lavoro, in corso sino all’8 ottobre 2023 a Torino, da CAMERA, il Centro Italiano per la Fotografia www.camera.to: più di 200 foto scelte tra oltre 16000 negativi dagli archivi della Public Library di New York e della Library of Congress di Washington, con appunti e altro materiale tutto organizzato approfondendo le due principali campagne fotografiche commissionata rispettivamente dall’Agenzia governativa statunitense Farm Security Administration (FSA) e dal dipartimento fotografico War Relocation Authority (WRA).

La prima, datata fine degli anni Venti, doveva documentare la crisi del paese: le condizioni di vita e di lavoro dure, la frugalità e la miseria sono evidenziate dalla Lange con profonda empatia.

I lavoratori del cotone e del tabacco, i braccianti e la loro lotta nei campi contro la siccità, gli agricoltori migranti, le loro famiglie, bambini e madri si ergono ad epici monumenti di enorme dignità e volontà di riscatto ma anche come plastico palesamento dello sfruttamento e della sperequazione sociale ed economica.

Tra i tanti scatti nella realtà rurale della Grande Depressione dopo la famigerata crisi finanziaria del ’29, quelli a una madre con i suoi figli, segnata dalle preoccupazioni e dal sole, piegata dalla fatica e riparata in una casa-tenda temporanea in attesa di spostarsi per cercare migliori condizioni di vita.

Florence Owens Thompson, così si chiamava la donna, divenne per tutti l’iconica Migrant Mother, della California, appena superato la città di Nipomo e immortalata un pomeriggio piovoso dei primi giorni di marzo 1936. Una foto che ancora oggi ha un valore politico, oltre a una sua forza antropologica universale.

La seconda campagna che ha impegnato Dorothea Lange riguarda il periodo durante la Seconda Guerra Mondiale, e fu voluta dalla WRA, istituzione nata per gestire l’internamento dei giapponesi americani durante il conflitto, nel 1941, dopo l’attacco di Pearl Harbor e con prevedibile richiesta governativa di celare alcune criticità e abomini: censura a cui la Lange mai si piegò, riuscendo a mostrare la desolazione di quei campi, muri, guardie e filo spinato, alludendo a quanto stavano patendo davvero quegli stranieri in America ma anche e soprattutto i nuovi americani proprio perché di provenienza od origini dal Sol Levante.

La Lange, che John Szarkowski ha descritto come una “osservatrice sociale per scelta e artista per istinto”, ha svelato scene e retroscena di temi ancora oggi di grande attualità, confermando – per dirla alla Carlo Levi – quanto “il futuro” abbia davvero “un cuore antico” e dunque anche il quanto il lavoro di questa importante fotografa sia pertinente per riflettere sul nostro presente.

Aveva proprio ragione lei, Dorothea:

“La macchina fotografica è uno strumento che insegna alle persone come vedere senza la macchina.”
(in: Milton Meltzer, Dorothea Lange: A Photographer’s Life, Paperback, 2000)

[[1]] fondata a NYC da un consorzio di fotografi e sostenitori della fotografia: la Lange, Ansel Adams, Barbara Morgan, Beaumont Newhall, Minor White, Nancy Newhall e poi divenuta anche Fondazione.[[/1]]

Dorothea Lange. Racconti di vita e lavoro

  • A cura di Walter Guadagnini e Monica Poggi
  • Fino all’8 ottobre 2023
  • CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – Via delle Rosine 18, 10123 – Torino
  • camera@camera.to

Note

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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