Avanguardia Futurista dei Giovani Marchigiani

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Dal 1909, quando Marinetti pubblicò sul giornale francese Le Figaro il Manifesto del Futurismo, fino al secondo conflitto mondiale, questo movimento ha cercato di cambiare lo stile di vita degli italiani in tutti gli aspetti della quotidianità, imponendo ai passatisti di modificare le pietanze sulle loro tavole, di vivacizzare la foggia e il colore dei loro abiti, di pensare e di agire come fulmini, nel nome di una velocità che appare come la vera e propria religione fondante il movimento.

Da questa finestra nazionale un gruppo di giovanissimi artisti di provincia emerge trasportandoci in una dimensione culturale, non solo creativa, ma psicologica, una dimensione visionaria di singole personalità che hanno dato vita a un gruppo intorno al quale si raccolgono numerosi intelletti che hanno la necessità incontenibile di mostrare come lasciarsi il passato alle spalle.

E stranamente, proprio la regione Marche, che a torto molti ritenevano sonnolenta ed estranea alle dinamiche del contemporaneo, subisce le conseguenze della passione cinetica del Futurismo e da Macerata, grazie all’intraprendenza di alcune giovani menti creatrici con una grande forza di attrazione, si sviluppa un percorso all’insegna della modernità.

Per comprendere gli sviluppi delle ricerche futuriste nelle Marche è bene tener presente il clima storico-artistico che informa la cultura nella regione dagli anni Dieci agli anni Quaranta.

Su un terreno di base caratterizzato dall’influenza di un verismo tardo-Ottocentesco, d’impostazione positivista, Osvaldo Licini FOTO 23 e Mario Tozzi, negli anni della frequentazione dell’Accademia di Belle Arti bolognese, si accostano a investigazioni di derivazione postimpressionista, mentre a Parigi Anselmo Bucci accoglie tematiche realistiche, interpretandole in modo individuale. Di diversa matrice è il realismo di Luigi Bartolini teso verso un classicismo rivisitato, che lo oppone al crepuscolarismo dannunziano e all’accademia.

In questa atmosfera eclettica, risultano poco incisive la serata futurista organizzata da Licini, a Monte Vidon Corrado, e la rappresentazione di Teatro Sintetico Futurista tenutasi al Teatro Stamira di Ancona, ad opera della Compagnia Berti, nel 1915.

Né, d’altro canto, muta la situazione negli anni venti con l’adesione di Bucci e Licini a Novecento, con la partecipazione di Tozzi a Valori Plastici. Fra gli artisti marchigiani Osvaldo Licini, nel periodo in cui frequenta l’Accademia di Belle Arti di Bologna, è tra i protagonisti di alcuni incontri futuristi che ebbero luogo nel 1913 a Modena e nel 1914 all’università degli studi di Bologna, dove, nell’Aula di Anatomia, Marinetti pronuncia una vivace prolusione su “La cultura dannosa” conclusasi con le consuete accese polemiche.

L’adesione al Futurismo di Osvaldo Licini non investe direttamente la sostanza della sua ricerca; il legame con l’avanguardismo futurista lo spinge a prendere parte alle celebrazioni del trentennale della fondazione “Movimento” e a giustificare tale partecipazione con l’affermazione che Marinetti combatteva “per la libertà dell’arte e dello spirito”.

Nell’estate del 1922 un evento artistico destinato ad avere una vasta risonanza veniva a scompaginare il quieto train de vie di Macerata, dove all’arena Sferisterio i melomani e l’alta società marchigiana si davano appuntamento in quelle stesse settimane per assistere alle rappresentazioni della Gioconda di Ponchielli: nelle sale del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, il promettente pittore Ivo Pannaggi aveva organizzato la prima rassegna marchigiana dedicata al Futurismo, esponendo opere di Balla, Boccioni, Depero, Marasco, Paladini, Pannaggi, Prampolini, Scirocco, Sironi firmatari del primo Manifesto della pittura futurista.

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L’elenco dei quadri esposti nel 1922 a Macerata è contenuto nel catalogo, rilegato con una copertina rosso acceso marcata con un fascio littorio stilizzato e completata dalla scritta “Marciare, non marcire” FOTO1: nella sua presentazione il poco più che ventenne Pannaggi scriveva provocatoriamente: “La persona di un imperatore o il bel vaso in porcellana di una moderna latrina sono dal punto di vista pittorico ugualmente interessanti: ciò che ci colpisce è la costruzione del soggetto, il ritmico accordo delle linee e dei piani che lo costituiscono”.

Grazie all’iniziativa del giovane artista, assai apprezzata dallo stesso Marinetti, l’esigenza di rinnovare il linguaggio figurativo entrava prepotentemente nel dibattito artistico marchigiano, sollecitando l’attenzione di molti pittori che davano vita, sia pure con un certo ritardo rispetto alla pubblicazione del Manifesto del 1909, a un percorso futurista destinato a grande fortuna.

Ivo Pannaggi approda al secondo periodo del “Movimento futurista” mostrandosi operoso a Roma nelle sale accoglienti della Casa D’Arte Bragaglia. L’artista, dunque, si precisa subito come una delle personalità più complesse e dinamiche del momento, tanto che, nel breve volgere di appena un decennio, dal 1921 al 1932, con altri interpreti dell’Avanguardia italiana, è disponibile al fine di proporre un discorso nuovo, di respiro europeo, sufficiente a vivificare l’atmosfera del Paese e, soprattutto, quella dell’assonnata provincia di origine.

“All’età di 25 anni, Pannaggi è alto un metro e ottantasei centimetri e pesa 75 chili. Nato a Macerata il 28 agosto 1901, è l’antitesi di Giacomo Leopardi la cui patria è lontana da Macerata una trentina di chilometri. L’arte di Ivo Pannaggi, pittore e architetto di spirito ultramoderno e internazionale, si distingue per un ardore suo proprio, intenso ma contenuto entro i limiti di una serenità olimpica: classicità tipica dell’arte italiana derivante dal calore del sole italiano e dalla luce della nostra radiosa tradizione. Sono queste le caratteristiche peculiari dell’arte di questo giovane rivoluzionario che vive all’ombra della Cupola di Michelangelo”, sono le parole di Anton Giulio Bragaglia, Roma 1926 (tratto da “Pannaggi”, Reclamo Trykkeri, Oslo, 1962).

L’influenza di Pannaggi nelle Marche appare essenziale per un’ampia apertura intellettuale e per una adesione sincera al dibattito nazionale e internazionale che si accende con violenza e partecipazione di stampa fin dalla prima Esposizione Futurista organizzata nel giugno 1922 al Convitto Nazionale di Macerata.

Il rompere con la tradizione di una pittura figurativa, che in quegli anni si esprime attraverso le significative esperienze di Anselmo Bucci, di Mario Tozzi, di Osvaldo Licini, debitori delle lezioni di Courbert, dell’Ecole de Paris, di Cézanne o di Luigi Bartolini, che guarda a un classicismo rivisitato per trarne conforto e sostegno essenziale ed efficace, è davvero un atto di coraggio notevole.

È proprio questa decisa lacerazione del tessuto vivo che lo circonda a sospingere Pannaggi ancora di più verso quelle Avanguardie Storiche, oggi patrimonio comune dell’Europa, nelle quali trova subito la propria collocazione di uomo e di artista.

Sensibile fin dalle prime produzioni pittoriche e grafiche alle tematiche puriste di Ozenfant e Jeanneret e a quelle futuriste, postulate dalle proposizioni di Umberto Boccioni, quale naturale sviluppo dei tempi nuovi, in breve accoglie anche le lezioni neoplastiche olandesi maturate attraverso la lettura de “L’esprit nouveau”, di “De Stijl”, di “Valori Plastici”, riviste sulle quali compaiono gli scritti teorici di Theo Van Doesburg, di Piet Mondrian, di El Lisitskij, di Kasimir Malevic, ecc.

Il continuo viaggiare per l’Europa e la diretta partecipazione alle più importanti manifestazioni artistiche internazionali, lo rendono consapevole delle punte più avanzate raggiunte nel campo delle ricerche plastiche e pittoriche, collegandolo a un universo ideologico nel quale trova quella libertà di espressione sempre più soffocata nel clima culturale italiano, ormai poco a poco dominato dai miti fascisti.

Gli ideali razionalisti e meccanicisti sono, in effetti, divenuti in quel momento storico il campo di prova dell’Avanguardia; da Léger a Jeanneret, da Ozenfant a Mondrian, da Van Doesburg a Rietweld, da Malevič a Lisitskij, s’avverte un’atmosfera di estremo interesse per la tecnologia, per quella «modernolatria», postulata a suo tempo da Boccioni quale unica possibilità di sopravvivenza dell’arte.

Nasce così la prima edizione del “Manifesto dell’arte meccanica” firmato da Pannaggi insieme a Vinicio Paladini e pubblicato nel 1922 sulla rivista “Lacerba”. Nello stesso anno in cui Pannaggi redige il Manifesto dell’arte meccanica futurista vedono la luce una serie pregevole di studi, illustrati anche attraverso l’omonimo scritto dell’inizio degli anni Settanta, dedicati alla rappresentazione della mano sinistra, sempre nel 1922, nell’ambito della “Ia Esposizione futurista”.

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Successivamente Sante Monachesi FOTO 5-6 con le sue ricerche plastiche espresse dai lamierini a luce mobile, lo scultore Umberto Peschi, il giovanissimo Tulli e lo stesso Pannaggi sperimentavano linguaggi nuovi che negli anni Trenta si uniformavano all’evoluzione in direzione aeropittorica del primo Futurismo, condividendo all’innesto di forze nuove.

Le tele dedicate al volo da Monachesi, da Gerardo Dottori, da Tullio Crali, da Filippo Masoero e da Alfredo Gauro Ambrosi compongono così un insieme coerente con le linee programmatiche elaborate da Marinetti ed esprimono l’ammirazione per l’aeronautica, uno dei miti della società italiana degli anni Trenta, alimentato dal successo dei voli transoceanici di Italo Balbo e dai progressi compiuti nel campo del volo per merito dell’ingegnere marchigiano Luigi Stipa e di Giovanni Battista Caproni.

L’esaltazione della velocità e dei moderni mezzi di trasporto, coltivata dal Futurismo sin dal suo nascere, veniva così ulteriormente rafforzata dando origine ad alcune composizioni assai spettacolari: è il caso del dipinto di Tullio Crali significativamente intitolato Le forze della curva, FOTO 7 che sembra travolgerci con le scie rosse allusive all’inarrestabile corsa di un bolide lanciato sulla pista di un autodromo.

Ogni ricerca di Pannaggi dimostra una fedeltà indiscussa all’ideale meccanico non soltanto nella sua attività di scenografo o di scenotecnico, ma anche in quella pittorica, plastica e architettonica. Nel 1926, presenta, nel Padiglione Sovietico alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, una vera e propria mostra personale, nella quale le Funzioni, sia architettoniche che geometriche, riescono a focalizzare l’attenzione della critica più attenta alle novità del momento.

Ivo Pannaggi riesce ad esprimere in maniera globale la propria sensibilità e i propri interessi nella ristrutturazione interna di quattro stanze della Casa Zampini, a Esanatoglia, lavoro commissionatogli da un industriale del luogo, aperto agli sviluppi più recenti dell’arte e interessato a soluzioni uniche e originali per la propria casa.

Le Architetture interne di quell’edificio rappresentano uno dei pochi tentativi, concretizzatisi in Europa, di risolvere i problemi dell’ambiente familiare con un gusto moderno e, giustamente, hanno avuto una risonanza, a quel tempo, considerevole, tanto da interessare in modo piuttosto ampio alcune tra le più significative riviste dell’Avanguardia internazionale.

È da ricordare come la progettazione e la realizzazione di quei locali rivelino l’intima propensione di Pannaggi verso una estrema razionalizzazione degli arredamenti, mentre le vetrate eseguite per la stessa abitazione presentano richiami evidenti alle ricerche di Mondrian e di Van Doesburg. In sintesi, l’analisi delle quattro Architetture interne della Casa Zampini palesa, con estrema chiarezza, la natura delle varie influenze avanguardiste di cui sono permeate.

È sufficiente, per di più, riferirsi alle forme geometrizzanti e primarie dei mobili dove, superata la necessità decorativa, sono, invece, debitamente evidenziati gli equilibri stabiliti dall’incrociarsi delle linee di forza, per comprendere quale fosse la sua capacità di sintesi e la rispondenza degli arredi stessi ai possibili sviluppi dinamici e statici, propri delle loro effettive esigenze costruttive.

Traspare da ciò, quanto l’azione architettonica intrapresa nella Casa Zampini sia informata a un pragmatismo accentuato e a un sincretismo, pronto a recepire da ogni indirizzo quegli apporti indispensabili, non solo per definire una individuale filosofia dell’arte, ma anche per delineare la personalità dell’autore e la sua vocazione a lavorare su un piano soprannazionale.

Giungere alla definizione della ricerca di Ivo Pannaggi, sempre più informata allo sviluppo di quei rapporti intellettuali ed affettivi nei quali l’uomo trova la giusta misura di se stesso, è, a questo punto, possibile soltanto guardando la qualificazione psicologica e pratica delle Architetture, ideate come una «machine à habiter». Anche in questa occasione, l’artista maceratese riconferma la sua piena adesione alle tematiche puriste di Jeanneret (Le Corbusier) e ai postulati di quel Manifesto dell’arte meccanica, a suo tempo ideato e firmato. FOTO 8-9-10-15

LA NASCITA DEL GRUPPO BOCCIONI 1932-1935

Nel dicembre 1932 nasce il Gruppo Boccioni, forse incoraggiati dai successi romani di Bruno Tano e di Arnaldo Bellabarba, si riuniscono a Macerata in un caffè del Corso Filippo Corridoni, oggi della Repubblica, Sante Monachesi, Rolando Bravi, Mario Buldorini e Ferdinando Paolo Angeletti con l’intenzione di costituire un gruppo artistico ispirato alle ideologie futuriste.

Angeletti, su incarico degli altri tre, scrive a Marinetti per chiedergli il patrocinio dell’impresa e a Tano per informarlo e forse anche per chiedergli un intervento propiziatorio presso i dirigenti del Movimento.

Marinetti accetta di buon grado di sostenere il nuovo Gruppo, non solo per l’entusiasmo con il quale era solito accogliere le iniziative giovanili, ma soprattutto perché pensava di aver riscontrato tra i promotori la presenza di elementi di sicura capacità organizzativa e ricchi di effettiva volontà operativa, sia artistica che propagandistica.

Il ricordo dell’attività futurista di Osvaldo Licini, di Ivo Pannaggi, di Giuseppe Steiner, lo spingono forse a curare con particolare attenzione il Gruppo Maceratese, che anzi definirà in una più tarda occasione “Marchigiano”.

Il poeta si dimostrerà, infatti, sempre sollecito alle richieste degli artisti maceratesi, invitandoli alle più importanti rassegne artistiche in Italia e all’estero, citandoli nei suoi scritti, dedicando loro una parte del suo tempo prezioso per presenziare le manifestazioni locali e per galvanizzarli con i propri discorsi.

“Futurismo maceratese” è il titolo di un breve trafiletto comparso su «Futurismo» per dare notizia della costituzione del nuovo Gruppo artistico. Poco più tardi, su «Futurismo» viene pubblicato un foto-montaggio, opera di Rolando Bravi, dove, dietro una testa di Marinetti che campeggia, sono raffigurati otto futuristi marchigiani. FOTO 11

Dopo la costituzione del Gruppo Futurista, persino a Macerata qualcosa si muove. Nel maggio 1933 si inaugura, infatti, la I Mostra Provinciale d’Arte Giovanile, organizzata dal Gruppo Universitario Maceratese, che viene allestita in una sala del Teatro delle Terme.

L’esposizione, aperta a tutti, vede la partecipazione massiccia di oltre un centinaio di concorrenti, tra i quali figurano i futuristi locali: Sante Monachesi, di cui il pubblico apprezza le vivissime e molto simpaticamente riuscite illustrazioni sull’arte futurista e Bruno Tano, del quale la critica ufficiale della capitale ha avuto modo già di parlare con una certa serietà.

Sulla stampa maceratese si sviluppa, nel frattempo, un’accesa e interessante polemica tra Monachesi e Tano da un lato e Valfrido Giannobi dall’altro in merito ai rapporti intercorrenti tra arte moderna e Futurismo, polemica che in breve rimbalza in campo nazionale, portando i termini della questione all’esatto dilemma, se cioè l’arte debba avere una funzione stimolatrice dell’intelligenza, provocandola, o se, invece, affondando le proprie radici nell’animo popolare, debba interpretare le istanze più semplici in esso contenute.

Il problema, irrisolvibile anche oggi, protrarrà lo scontro per qualche tempo, chiudendosi poi per stanchezza. Monachesi inizia così la collaborazione, quale corrispondente da Macerata, con il periodico milanese “Nuovo Futurismo”, e, quale caricaturista, con diversi quotidiani.

A Recanati, il 26 agosto 1934, viene inaugurata l’Esposizione d’Arte Antica e Moderna in seno alla quale un’intera sala, la decima, è dedicata a Sante Monachesi. Marinetti visita la Mostra, soffermandosi a lungo dinanzi ai lavori del giovane artista maceratese, di cui acquista un’aeroscultura”.

Lo scrittore rileva «le caratteristiche estetiche e gli intendimenti d’avanguardia» di Monachesi, sottolineandone l’entusiasmo e la fantasia «che viene messa al servizio di una ricostruzione degli elementi universali dell’arte», presenti nella nuova estetica della macchina.

L’irrequietezza dei caratteri di Tano e di Monachesi influenza lo svolgersi del futurismo marchigiano, creando una fertile atmosfera, aperta a quelle intuizioni profonde della vita, congiunte l’una all’altra, indicate da Marinetti nel suo Manifesto della letteratura futurista del 1912, quali linee generali di una psicologia intuitiva, da propagandare e diffondere come apporto centrale di una poetica aggressiva e illuminante.

Bruno Tano ritiene opportuno esporre il più possibile, convinto della funzione educativa che assume la fruizione visiva, delle possibilità di rompere con il tradizionale spirito passatista e segue coerentemente quella linea di condotta, compatibilmente alle proprie condizioni di salute

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Il gruppo futurista Boccioni sarà attivo fino al 1942, anno della morte di Bruno Tano. Lui stesso, un anno prima di morire scriveva a Benedetta Marinetti, era malato da lungo tempo: soffriva atrocemente inchiodato in un lettino dell’Ospedale Civile di Macerata, ciò nonostante lavorava e creava come lo provano le sue partecipazioni a tutte le mostre, sino a un mese prima della sua scomparsa.

“Gentile Signora, ho ricevuto per mezzo di amici gli auguri Vostri e di Marinetti. Vi ringrazio. Le mie condizioni le conoscete: non ho più che un corpo irrigidito sensibile solo al dolore. Mani e spirito due cose ancora che posseggo pienamente vive. Due cose che lavorano e lavoreranno per il futurismo.

Dall’ospedale prima o poi sarò trasferito al ricovero di mendicità. A ventotto anni non è troppo incoraggiante, ma se questo incrudelisce il mio destino non intacca minimamente il mio spirito. E chi mi conosce e chi mi vive vicino sa che non esagero affatto affermando questo. Il futurista collaudato dal dolore è il più sicuro e il più forte. E il mio male provocato da fame e freddo sofferti per raggiungere un ideale non può che rendermi orgoglioso. Non nascondo che qualche volta mi sento solo e inutile tra gente che non può capirmi…. a Voi i miei ringraziamenti e auguri. Tano.” FOTO 18

E il 23 luglio 1942, due mesi dopo appena l’ultima mostra, Bruno Tano moriva all’età di 29 anni. Per volontà di Wladimiro Tulli il gruppo prese il nome di “Boccioni-Tano”, proseguendo l’attività fino al 1944 circa.

Arriva 1’8 settembre 1943, con l’annuncio dell’Armistizio di Cassibile l’Italia, uscita dall’alleanza con la Germania, divenne in pratica “territorio di guerra”. Nel 1945, il Gruppo Futurista Marchigiano è distrutto. Resta, però, una pagina preziosa nella storia dell’arte delle Marche e in quella nazionale per l’apporto vitale di energie e di entusiasmi del movimento marinettiano. FOTO 19

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Barbara Caterbetti si è laureata in Storia e Conservazione dei Beni Culturali con una tesi in Museologia, ha conseguito diversi Master tra cui uno in ricerca storica e un altro in comunicazione e valorizzazione del patrimonio letterario, documentario e vocale. È critica d’arte, docente di Lettere e organizzatrice di eventi culturali. Ha contribuito come storica alla produzione di film-documentari. Redige cataloghi d’arte. Scrive di arte contemporanea e di cultura in generale. Collabora con alcune gallerie private e istituzioni museali. Cura il blog “Ipsumars” dedicato all’arte.

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