Philippe Halsman. Lampo di genio. Il fotografo che ha fatto saltare le celebrità.

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Philippe Halsman. Lampo di genio al Museo di Roma in Trastevere fino al 7 gennaio 2024 è una mostra dedicata a uno dei più originali ed enigmatici ritrattisti del Novecento.

Attraverso 100 immagini, di vario formato, provenienti dall’Archivio Halsman di New York, spaziando tra il colore e il bianco e nero, e ripercorrendo la sua intera carriera, si può comprendere quale sia la chiave creativa delle sue immagini: a metà tra documento e invenzione, come è proprio nella tradizione dei grandi ritrattisti cui è chiesto di interpretare il soggetto facendolo emergere, o nascondere, dietro il suo personaggio anche a costo di inventare una forma particolare, personalissima, di documento fotografico.

Come Halsman stesso ha chiarito:

“Nessuno scrittore si vergogna per aver scritto di cose che esistono solo nella sua immaginazione.
Nessun fotografo dovrebbe essere biasimato quando, invece di catturare la realtà, cerca di mostrare cose che ha visto solo nella sua immaginazione.”

Ma chi è stato, che vita ha avuto e che fotografo è diventato, Halsman? La retrospettiva ce ne indica molto, il resto è storia, che vi racconto qui.

Nato nella colta Riga, in Lettonia il 2 maggio 1906 (morto a New York il 25 maggio 1979, con cittadinanza statunitense presa nel 1948), Halsman comincia la sua carriera di fotografo a Parigi negli anni Trenta, seguendo la sorella ivi sposatasi e formandosi in quella che era ancora una capitale delle arti e della cultura, all’avanguardia e cosmopolita. Lavorerà poi per riviste come “Vu” e “Vogue”, per la quale firmerà ben 101 copertine.

Fotografò quindi amici ma anche personalità che, se non lo erano all’inizio, il più delle volte diventavano suoi sodali: nel tempo, André Gide (tra i primi), André Malraux, Marc Chagall, Le Corbusier, Jacques Tati, Fernandel, il versatile Jean Cocteau (1949)…

Esigente e raffinato nel suo linguaggio visivo e nella tecnica, arrivò a ideare, nel 1936, un apparecchio fotografico più idoneo alle sue necessità; si fece quindi costruire – da un nipote di François-Simon-Alphonse Giroux, quel celebre restauratore ed ebanista francese che aveva realizzato la prima Daguerreotype camera per Louis-Jaques-Mandé Daguerre – una reflex biottica 9x12cm per lui più pratica e duttile ai suoi scopi e migliorata poi nel 1947.

Il proseguimento biografico a Parigi lo ha raccontato lo stesso Halsman, riassumendo, nella sua autobiografia:

“(…) un giorno è apparsa una giovane ragazza francese e ha chiesto timidamente se poteva diventare la mia apprendista. Dopo un anno di lavoro nel mio studio, Yvonne è diventata una fotografa indipendente e due anni dopo ci siamo sposati. Molto spesso per scherzo consiglio ai giovani fotografi che il modo migliore per sbarazzarsi di un concorrente è sposarlo.
Un anno dopo, ci è nata una bambina. L’abbiamo chiamata Irene, che letteralmente significa pace.  (…)”. 

Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale iniziano le incursioni aeree tedesche in Francia. Così prosegue nella sua narrazione Halsman:

“A quel tempo, mia sorella e i suoi figli stavano partendo per gli Stati Uniti, e io mandai con loro mia moglie e nostra figlia. Due settimane dopo Parigi cadde e, con un milione di altri parigini, ero in macchina e per le strade del sud della Francia. Tutto quello che avevo portato con me erano alcuni vestiti, la mia macchina fotografica-Halsman e una dozzina di stampe fotografiche. 

Alla fine raggiunsi Marsiglia e lì vidi il console americano. Mi ha informato che non potevo andare in America poiché avevo un passaporto lettone e la quota di immigrazione lettone (diciotto persone all’anno) era stata riempita per i successivi sette anni. Ero disperato perché sapevo che i soldi di Yvonne stavano per finire e che non poteva lavorare perché aspettavamo la nostra seconda figlia, Jane.”

È qui che entra in ballo Albert Einstein che il fotografo conosceva e con il quale, circa dieci anni prima, aveva iniziato un’amicizia epistolare:

 “Mia sorella e mia moglie fecero visita al professor Albert Einstein (…) e, su (suo) intervento (…) il mio nome è stato aggiunto all’elenco di scrittori e artisti in Europa a cui è stato concesso il visto dall’Emergency Rescue Committee, organizzato dalla signora Eleanor Roosevelt.”

 Una volta negli Stati Uniti, a New York la vita per un immigrato pur di talento non fu inizialmente facile, come lui stesso ricorda bene:

“Sono arrivato il 10 novembre 1940 e per me è iniziato un periodo molto difficile. Ero conosciuto in Francia, ma quasi nessuno in America aveva sentito parlare di me. Parlavo cinque lingue, ma non conoscevo quasi l’inglese. Non avevo amici e quasi senza soldi.

Ho passato i primi tre mesi a cercare lavoro. Alla fine ho firmato un contratto di due anni con Black Star, l’agenzia fotografica, che mi ha mandato a fotografare una varietà di soggetti, tra cui il circo e molte sfilate. In questo periodo ho dovuto apprendere la tecnica del flash multiplo, allora sconosciuta in Europa. Noi quattro vivevamo in una pensione, stipati in un’unica stanza, ma anche così il mio anticipo settimanale non bastava per due adulti e due bambini. (…).

Un giorno in un’agenzia di modelle mi colpì il profilo di una ragazzina. Per me simboleggiava tutto ciò che mi piaceva in America: la giovinezza, la bellezza e la forza di questo nuovo paese.

Il nome della ragazza era Connie Ford; aveva diciotto anni, aveva appena iniziato a fare la modella, ed era felice di posare in cambio delle fotografie che le avrei scattato. Ho deciso di fare una fotografia che potrei chiamare “The American Profile”.

Mi sono comprato una bandiera americana di carta. La mia illuminazione consisteva in due normali proiettori. Quando Connie è venuta nella nostra stanza ammobiliata, ho posato la bandiera sul pavimento e lei si è sdraiata con la testa sopra. Ogni dieci minuti squillava il mio telefono. Era la madre di Connie, che si assicurava che non accadesse niente a sua figlia. Diffidava dei fotografi francesi che lavoravano in stanze ammobiliate. A Connie è piaciuta la foto e l’ha inserita nel suo portfolio.

Mesi dopo, ha mostrato il suo album al magnate dei prodotti di bellezza Elizabeth Arden, che ha deciso all’istante che questa era la foto che stava cercando per pubblicizzare il suo rossetto Victory Red.

Il paese è stato invaso da pubblicità e manifesti che mostravano la mia foto della testa di Connie sulla bandiera, e Connie Ford è diventata famosa da un giorno all’altro. Questa è stata la mia prima vera svolta in America. La fotografia ha vinto l’Art Directors Club Medal e mi ha aperto molte porte.

Una storia di moda sui cappelli da donna ha portato alla mia prima copertina per la rivista LIFE. (…). Da quel momento in poi, LIFE ha iniziato a usarmi frequentemente per vari incarichi, in particolare quando speravano in una copertina interessante”.

Era arrivato il vero successo.

La sua fama di grande ritrattista si consoliderà ancora di più: grazie soprattutto a “Life” fotograferà via via da Bogart e Bacall, a Sinatra, Ingrid Bergman, Bette Davis, Judy Garland, Sammy Davis Jr (1965), Marina Vlady, Tippi Hedren (anche durante le riprese de Gli uccelli di Hitchcock, 1962), l’étoile statunitense Maria Tallchief e la divina Martha Graham e la sua compagnia di danza contemporanea; Marlon Brando, Vivien Leigh, Ava Gardner, Märta Torén, Barbra Streisand, un impacciato Woody Allen, una giovanissima Anjelica Huston, l’atomica Rita Hayworth, l’iconico Andy Warhol, e grandi statisti e politici come John F.Kennedy e Winston Churchill ripreso in modo originalissimo, di schiena, all’aperto, in panorama bucolico, nel 1951.

E poi Alfred Hitchcock, coordinato al suo capolavoro Gli uccelli, con il sigaro e poi nelle strepitose, lunghe conversazioni con il giovane François Truffaut nel 1962 che realizzerà un libro cult quattro anni dopo. Tra parentesi, di queste giornate intense, eternate da Halsman, sono mostrate, con il fotografo e alcune loro conversazioni, nel bel documentario Hitchcock/Truffaut, di Kent Jones – co-sceneggiato insieme a Serge Toubiana – visto a Roma nel 2015 alla Festa del Cinema di Roma 2015.

Insomma, Halsman in America era finalmente diventato un fotografo molto richiesto immortalando in un modo suo caratteristico politici e statisti, luminari, letterati, artisti, vips dell’epoca spesso arrivando a trasmetterne l’ironia celata da una maschera di compostezza; sempre cogliendone l’anima più nascosta, come solo i grandi fotografi sanno fare.

Collaborando con grandi testate e ritraendo protagonisti della cultura e dello show business hollywoodiano, egli ha indagato la psicologia umana, ha creato un genere e uno stile unico e rivoluzionario.

Con l’amico Salvador Dalì, per quasi quarant’anni dal 1941, realizzerà una serie di ritratti in cui l’artista e il fotografo sembrano tutt’uno, in immagini surrealistiche e quasi delle performance artistiche (le cosiddette fotografie di idee tra le quali Dali Atomicus, quella compresa di secchiata d’acqua e gatti lanciati per ben ventisei volte prima del risultato finale; e la divertente serie Dali’s Moustache).

Soprattutto, Philippe Halsman è riuscito a far saltare – letteralmente – di fronte al suo obiettivo teste coronate, scienziati, capi di stato e divi dello schermo: ha inventato un metodo per divertire e sorprendere i suoi soggetti, mettendoli a proprio agio sino a lasciarsi completamente andare: facendo giocosamente balzare tutti di fronte all’obiettivo; così, verso i primissimi anni Cinquanta nasce “jumpology”, in modalità liberatoria e briosa, che coglie, in sospensione, a mezz’aria, Marilyn Monroe, ad esempio, da lui deificata moltissimo, in almeno una 50na di immagini.

Alcune di queste, circa 19 stampe in gelatina, le abbiamo apprezzate alla Heritage Auctions nel novembre dello scorso anno quando sono andate in asta, provenienti dalla collezione di Frederich Voelker, e datate 1949, 1952 e 1954 ($ 5.750 ciascuna), tra salti, esercizi in palestra, insieme ad alcune successive manipolazioni fotografiche (tra le varie sue, creò Le tre Marilyn e un’inquietante volto della star trasformata in… Mao Tse-tung, 1967).

Della Beautiful Child, come la definì Truman Capote, Halsman restituisce la sensualità ma allo stesso tempo l’innocenza, quella vena infantile dolce e fragile individuata anche da Capote, e la libera da quell’erotismo carnale esaltato dal Cinema: rivelandone, piuttosto, le persona – mentre mangia un Hamburger, ad esempio – e una inaspettata dote dell’ironia e dell’autoironia.

 “Del gruppo di starlett è emersa solo Marilyn. I fotografi di scena hanno scoperto il suo talento naturale nel flirtare con l’obiettivo della fotocamera e il suo aspetto biondo di disponibilità immediata l’ha resa la ragazza pin-up più popolare d’America. Marilyn sentiva che la lente non era solo un occhio di vetro, ma il simbolo degli occhi di milioni di uomini. Sapeva come corteggiare questo obiettivo meglio di qualsiasi attrice che abbia mai fotografato”.

Jumps, dunque: anche per Brigitte Bardot, Audrey Hepburn, Grace Kelly, Chagall, l’immancabile Dalì, la coppia attoriale comica Dean Martin e Jerry Lewis, abbracciati; la nostra Sophia nazionale, la Loren; colleghi fotografi come Edward Steichen; i Duchi di Windsor, il fisico teorico Robert Oppenheimer e persino l’allora vicepresidente degli Stati Uniti Richard Nixon…

La gioia di vivere di Halsman, che cercava anche nei suoi soggetti, era orientata anche a migliorare la sua professione e quella dei colleghi, tanto da impegnarsi per proteggere i diritti creativi e lavorativi dei fotografi e, nel 1945 a farlo come primo presidente dell’American Society of Magazine Photographers (ASMP).

Il suo entusiasmo, la sua generosità, la vis divulgativa – insegnò alla The New School negli anni Settanta (Ritrattistica psicologica) – e le qualità indubbie della sua fotografia lo fecero nominare proprio dai suoi colleghi, nel 1958, “uno dei dieci più grandi fotografi del mondo”.

Le sue fotografie sono frutto di una vulcanica creatività e delle sinergie che scattano nell’incontro con grandi e illustri amici; attraverso i suoi ritratti possiamo ricostruire un pezzo rilevante della cultura e dello spettacolo del Novecento.

“Ogni volto che vedo sembra nascondere – e talvolta rivelare fugacemente – il mistero di un altro essere umano. In seguito, catturare questa rivelazione è diventato l’obiettivo e la passione della mia vita. Sono diventato un collezionista dei riflessi dell’io più profondo delle persone che hanno affrontato la mia macchina fotografica.”

 Nasce da questo spirito la meravigliosa, nota serie dedicata ad Anna Magnani, quella in cui la grande attrice invitò il fotografo – poi anche i responsabili truccatori – a non celare le sue rughe perché, dirà, “…c’ho messo una vita a farmele!”.

Affermerà:

“Il mio più grande interesse è sempre stato verso l’individuo. L’essere umano è mutevole, i suoi pensieri e stati d’animo cambiano, così come le espressioni e persino i lineamenti.

Ed ecco che arriviamo al problema fondamentale del ritratto: se le sembianze di un essere umano consistono in un infinito numero di immagini differenti, quale in particolare dovremmo cercare di catturare?

Secondo me, l’immagine che svela nel modo più completo possibile l’aspetto esteriore e interiore di un soggetto. Questo è ciò che chiamiamo ritratto. Un ritratto fedele dovrebbe essere, oggi come cento anni fa, una testimonianza del suo aspetto e di che tipo di persona fosse”

 Info Mostra Philippe Halsman. Lampo di genio

  • A cura di Alessandra Mauro
  • Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
  • Organizzata da Contrasto e Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con BNL BNP Paribas e Leica Camera Italia
  • Catalogo è edito da Contrasto
  • Museo di Roma in Trastevere – Piazza S. Egidio 1b – Roma
  • Orari: dal martedì alla domenica ore 10.00 – 20.00 (ultimo ingresso un’ora prima della chiusura)
  • Biglietto: unico comprensivo di ingresso al Museo e alla Mostra per l’importo di € 8,50 intero e di € 7,50 ridotto, per i non residenti; biglietto unico comprensivo di ingresso al Museo e alla Mostra per l’importo di € 7,50 intero e di € 6,50 ridotto, per i residenti; gratuito e ridotto per le categorie previste dalla tariffazione vigente. Ingresso gratuito al museo per i possessori della “MIC Card”.
  • Info: 060608 (tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.00)
  • www.museodiromaintrastevere.it
  • Ufficio Stampa Contrasto: vgrego@contrastobooks.com gpatera@contrastobooks.com
  • Ufficio stampa Zètema Progetto Cultura: Chiara Sanginiti  c.sanginiti@zetema.it

 

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Con una Laurea in Storia dell'Arte, è Storica e Critica d’arte, curatrice di mostre, organizzatrice di eventi culturali, docente e professionista di settore con una spiccata propensione alla divulgazione tramite convegni, giornate di studio, master, articoli, mostre e Residenze, direzioni di programmi culturali, l’insegnamento, video online e attraverso la presenza attiva su più media e i Social. Ha scritto sui quotidiani "Paese Sera", "Liberazione", il settimanale "Liberazione della Domenica", più saltuariamente su altri quotidiani ("Il Manifesto", "Gli Altri"), su periodici e webmagazine; ha curato centinaia di mostre in musei, gallerie e spazi alternativi, occupandosi, già negli anni Novanta, di contaminazione linguistica, di Arte e artisti protagonisti della sperimentazione anni Sessanta a Roma, di Street Art, di Fotografia, di artisti emergenti e di produzione meno mainstream. Ha redatto e scritto centinaia di cataloghi d’arte e saggi in altri libri e pubblicazioni: tutte attività che svolge tutt’ora. E' stato membro della Commissione DIVAG-Divulgazione e Valorizzazione Arte Giovane per conto della Soprintendenza Speciale PSAE e Polo Museale Romano e Art Curator dell'area dell'Arte Visiva Contemporanea presso il MUSAP - Museo e Fondazione Arazzeria di Penne (Pescara), per il quale ha curato alcune mostre al MACRO Roma e in altri spazi pubblici (2017 e 2018). È cofondatrice di AntiVirus Gallery, archivio fotografico e laboratorio di idee e di progetti afferente al rapporto tra Territorio e Fotografia dal respiro internazionale e in continuo aggiornamento ed è cofondatrice di "art a part of cult(ure)” di cui è anche Caporedattore.

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