L’anno senza estate. Climate Change, vulcani, bici, paesaggi di Turner e altre connessioni

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Cambiamento climatico, paesaggismo inglese ottocentesco, Frankenstein e la bicicletta: che hanno in comune queste quattro cose?

Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas? fu il titolo di una conferenza tenuta dal matematico e meteorologo statunitense Edward Lorenz nel 1972 (all’American Association for the Advancement of Science di new York).

Da allora questa locuzione, conosciuta come l’effetto farfalla e con più varianti, è diventata di uso comune per indicare che eventi o scelte apparentemente irrilevanti possono innescare processi irreversibili e remoti che non erano stati previsti.

Va detto che già il grande matematico britannico Alan Turing, in un saggio del 1950, anticipava questo concetto esplorando l’universo infinitesimale:

«Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza.»

Questa teoria non si limita ad indagare solo l’aspetto filosofico ma poggia le basi su importanti fondamenti scientifici. Certo, nel caso che andiamo ad esaminare non si è trattato proprio di un battito delle ali di una farfalla ma dell’eruzione di un vulcano, una delle più potenti eruzioni almeno dalla fine dell’ultima Era glaciale e tale da innescare una serie di cambiamenti del pianeta di tipo fisico fino ad andare ad incidere su alcuni aspetti culturali, tecnologici, sociali e sulla vita quotidiana degli esseri umani.

Antefatto

Isola di Sumbawa, 10 aprile 1815: il cielo sopra l’Indonesia si oscurò, preludio di un evento che avrebbe scosso il pianeta. Il vulcano Tambora, una immensa montagna alta oltre 4000 metri dormiente da secoli, si risvegliò con una violenza inaudita.

L’eruzione fu di una tale potenza da far tremare la terra a migliaia di chilometri di distanza e da oscurare il sole per giorni. La colonna di cenere e gas espulsi raggiunse un’altezza di oltre 40 Km diffondendosi ampiamente nella stratosfera, cambiando il clima globale per gli anni a venire.

Le temperature medie globali diminuirono, causando quello che è stato chiamato l’anno senza estate”.

Questo evento catastrofico, come accennato prima, non solo ha avuto un impatto profondo sul clima e sull’ecosistema, ma ha anche influenzato la società e la cultura in modi che riecheggiano ancora oggi.  Non a caso, e come indicato dagli studiosi citati, e non solo, tutto è collegato…

L’anno successivo all’eruzione, infatti, nel continente europeo distante migliaia di miglia si verificò un evento inaspettato, di raffreddamento esteso – eccolo, il… battito d’ali di farfalla – tanto che il 1816 è stato infatti soprannominato “anno senza estate” a causa di anomalie climatiche connesse all’eruzione che generò una diminuzione delle temperature globali medie di 0,4-0,7 °; quelle estive in Europa sono state le più fredde di sempre registrate tra il 1766 e gli anni 2000.

Tutto ciò causò – come in un ulteriore… battito d’ali di farfalla –  enormi danni all’agricoltura e conseguente crisi alimentare in tutto l’emisfero settentrionale. L’impatto significativo penalizzò parte delle popolazioni europee soprattutto quelle dell’Europa centrale, costrette ad emigrare: come da teoria: quel… battito d’ali si estese e si estenderà ulteriormente…

La fame e le condizioni meteorologiche avverse spinsero molte migliaia di persone, in particolare le famiglie agricole messe in ginocchio dagli scarsi raccolti, a lasciare il proprio paese in favore dell’America, in particolare nei Territori del Nord-Ovest alla ricerca di un clima più ospitale, terreni più ricchi e migliori condizioni di crescita.

Alla crisi climatica, alla carestia e alla miseria seguì una epidemia di colera causata da una serie di altri eventi: secondo alcuni esperti, l’epidemia si verificò a causa di una grave e prolungata siccità, seguita successivamente da forti piogge.

Questo portò allo sviluppo di un nuovo ceppo mutageno di colera. il contagio iniziò in India, nel Bengala, dove le condizioni igienico-sanitarie erano pessime e aggravate dalla siccità e dalle piogge intense che seguirono l’eruzione. Poi l’epidemia, tramite le consuete rotte commerciali, giunse infine anche in Europa.

Turning a crisis into an opportunity

Londra in particolare seppe trasformare questo grave problema in una risorsa. Quella che allora era la capitale  di un grande impero, già afflitta da problemi di igiene pubblica, fu ulteriormente messa alla prova quando la malattia si diffuse rapidamente a causa, anche lì, di generali cattive condizioni igienico-sanitarie.
Questa crisi mise in evidenza la necessità di un sistema di fognature efficiente e moderno. Fu così che, spinti dall’urgenza di prevenire future epidemie, i londinesi iniziarono a progettare e costruire quello che sarebbe diventato uno dei sistemi di fognature più avanzati del mondo.

Ma come questo fenomeno ebbe influenze persino sulla pittura?

Nell’Inghilterra vittoriana in quegli anni operava il pittore William Turner (23 aprile 1775, Covent Garden, Londra -19 dicembre 1851, Chelsea, Londra), noto esponente del Romanticismo inglese, oggi conosciuto anche come  pittore della luce, apprezzato per i suoi paesaggi e opere che hanno anticipato l’Impressionismo e per certi versi pure l’Astrattismo.

Ma procediamo con ordine: anche a quelle latitudini, a causa dei ricaschi di quell’eruzione, il cielo si riempì di particelle sottili, fenomeno conosciuto con il nome di “cascata di cenere” che può estendersi per grandi distanze e durare nel tempo. Questi elementi nell’aria portarono a un altro fenomeno, ovvero quello di diffusione della luce solare in modo particolare, creando tramonti estremi, di un rosso intenso, intensissimo, e cieli notturni stranamente luminosi.

Proprio alcuni dei paesaggi al calar del sole di Turner, mostrano l’intensità e il cromatismo degli effetti dell’eruzione del Tambora. Le sue opere dipinte dopo quell’evento remoto, mostrano un’attenzione particolare agli effetti di luce, che sono diventati i protagonisti indiscussi delle sue opere contribuendo a creare alcuni dei suoi paesaggi più memorabili e, allo stesso tempo, ci confermano un inquinamento atmosferico e i suoi risultati visivi…

E cosa c’entra Frankenstein con una remota eruzione vulcanica e la pittura?

Quel sovvertimento climatico ebbe un impatto significativo anche sulla letteratura dell’epoca, influenzando la Poesia romantica dell’epoca, con molti poeti che scrissero opere che riflettevano l’angoscia e la disperazione causate da una diversa percezione della luce, da una modificazione dell’atmosfera e, insomma, delle condizioni meteorologiche avverse. Così fu anche per la Letteratura.

In particolare, quell’estate, la scrittrice britannica Mary Shelley (Mary Wollstonecraft Godwin: 30 agosto 1797, Somers Town, Londra 1 febbraio 1851, Chester Square, Londra), con George Gordon Noel Byron, VI barone Byron, meglio noto come Lord Byron, con Percy Bysshe Shelley e John Polidori, decisero di passare le vacanze a Villa Diodati sul Lago di Ginevra.

A causa della pioggia incessante, dei temporali notturni e di un  cielo perennemente color grigio piombo, gli scrittori si ritirarono all’interno della dimora e trascorsero gran parte del loro tempo a leggere storie di fantasmi e a scrivere le loro opere.

Sembra che proprio Byron propose al gruppo una gara su chi avesse scritto il racconto più terrificante. In queste  situazione claustrofobica e di pesantezza climatica, quindi, Mary Shelley fu ispirata alla scrittura del suo racconto gotico Frankenstein (1818), che poi è diventato uno dei romanzi più famosi della letteratura inglese, mentre John Polidori, ispirato, avrebbe scritto nel 1819 Il vampiro riuscendo a trasformare la figura popolare del vampiro transilvano sospeso tra mito e legenda nella forma che oggi è più conosciuta, ovvero quella del demone aristocratico che cerca le sue prede nell’alta società.

Fin qui il filo logico della legge “causa – effetto” sembra seguire una certa ed inaspettata linearità.

Ma alla bicicletta come ci si arriva?

Come si riportava prima, la crisi climatica, con quel freddo anomalo causato dalla diffusione di gas e particelle nell’atmosfera che velarono di fatto il sole schermandone gli effetti del calore dei suoi raggi, compromise molti raccolti e molti campi gelarono impedendo all’erba di germogliare e di trasformarsi poi in fieno che, come è noto, è l’alimento principale dei cavalli che furono così decimanti prima dalle guerre e poi anche da quel freddo e dalla conseguente carestia.

Tale disgrazia colpì molto l’inventore tedesco di Karlsruhe, Karl Drais (29 aprile 1785 – 10 dicembre 1851); per esteso il suo nome era Karl Drais Friedrich Christian Ludwig Freiherr Drais von Sauerbronn ma essendo un uomo animato da forti sentimenti illuministi e democratici rinunciò al titolo nobiliare si fece chiamare semplicemente Karl Drais.

L’inventore si era già distinto in passato per alcune singolari idee tra cui una macchina da scrivere a tasti, chiamata Schnellschreibklavier (pianoforte per scrivere rapido), un tritacarne, un estintore, un riflettore a luce solare e un sottomarino munito di periscopio fino ad arrivare all’antenata della bicicletta.

La Laufmaschine (macchina per correre) che in seguito prese il nome di “draisina” in onore del suo inventore, pesava 22 Kg, era fornita di due ruote di legno rinforzato con elementi di ferro con otto raggi ciascuna e di un manubrio mobile per la direzionalità, e avanzava grazie alla spinta dei piedi sul terreno e poteva raggiungere la velocità di 15 km/h ma molto dipendeva dalla qualità delle strade e dalla resistenza del conducente.

Sempre per i suoi ideali democratici, Drais sosteneva che la sua “macchina per correre” potesse rendere il trasporto personale veloce più condiviso, sociale, accessibile a una più larga fetta di popolazione, sostituendo quindi il cavallo, la cui forza, vita e durata erano messe in crisi da quell’accidente climatico e da ipotetici altri incidenti a venire.

Tuttavia, la sua invenzione non ebbe il successo sperato: incontrò l’ostilità dei contadini, che la ritenevano dannosa per i loro campi, e dei cocchieri, che la vedevano come una concorrenza per le loro carrozze a cavallo; inoltre, dalla nobiltà e dalla ricca borghesia fu vista più come un divertimento che come un mezzo utile per sostituire il cavallo.

Le innovazioni, si sa, fanno sempre un certo effetto su chi vive con la testa rivolta al passato e non sa accettare i cambiamenti ineluttabili che la storia dell’umanità ciclicamente richiede. Nonostante le difficoltà, però, Drais continuò a perfezionare la sua invenzione e a promuoverla in vari paesi europei fino a farle percorrere circa 80 km, la distanza che separa Karlsruhe da Kehl, che considerando le strade e l’abbigliamento di allora, doveva essere una prova estremamente impegnativa.

Il suo inventore morì purtroppo in solitudine, internato e in miseria: triste e comune destino per molti esseri umani mossi da grandi passioni e forti ideali. Ma alla sua draisina va dato comunque atto di essere “la macchina” che diede inizio alla nascita della moderna bicicletta, che avvenne solo nella seconda metà dell’Ottocento, in Francia, con l’aggiunta dei pedali e dei freni (fu il cosiddetto “velocipede”) mentre la draisina è oggi considerata l’antenata della balance bike, la bicicletta senza pedali usata dai bambini per imparare a stare in equilibrio.

La draisina è e resta però un simbolo di resilienza, dell’ingegno umano e della passione per la mobilità sostenibile.

Conclusioni

Come è accaduto, come sta accadendo oggi e come accadrà in futuro, il pianeta Terra è un organismo (ancora!) vivo.

I vulcani continueranno ad esplodere con tutte le loro conseguenze (sono fatti recenti gli abituali dinamismi dello Stromboli e dell’Etna in Sicilia; del preoccupante rianimarsi di Campi Flegrei e del timore per il Vesuvio; delle attività vulcaniche per certi versi spettacolari ma assai preoccupanti del Fagradalsfjall nella penisola di Reykjanes).

Tutto è sempre in movimento, tutto muta finché la Terra esisterà: con o senza la specie umana. Oggi il cambiamento climatico – che non è una ideologia ma tangibile realtà, semplicemente il cuore che batte in aritmia e il respiro in affanno del nostro pianeta – è una sfida globale da affrontare e che dipende da cause cicliche naturali ma assolutamente aggravate dalle emissioni di gas nocivi prodotte dai sapiens.

Queste emissioni aumentano l’effetto-serra e il riscaldamento del nostro habitat, con conseguenze su diversi settori della vita: tutta e di tutte le specie. Tra le aree più colpite c’è l’Artico, dove il ghiaccio si scioglie e cambia il clima dell’emisfero nord alterando la corrente a getto polare, che regola il clima nell’emisfero boreale.

Una corrente a getto più debole e irregolare può portare a eventi meteorologici estremi e opposti come tempeste, siccità, innalzamento marino, ondate di calore e inverni rigidi. Qualcosa che stiamo già patendo.

Come abbiamo appena visto, un vulcano da solo è stato in grado di portare, oltre e distruzione e morte, mutamenti di molti aspetti della vita umana a livello globale. Più ampiamente, quindi, il generale e diffuso cambiamento climatico sta già avendo e avrà effetti diretti e indiretti su molti aspetti della vita naturale, sociale e psicologica; ne sono e ne saranno coinvolti la biodiversità, la salute, l’agricoltura, l’energia, l’economia, la sicurezza e l’umore delle persone; a suo modo anche la cultura e le arti.

Crisi climatica, migrazioni di popoli, pandemie sono eventi ciclici e costanti che, se si conosce bene la storia, perdono parte della loro eccezionalità e quel grottesco senso di complottismo che affligge parte dell’umanità semplicemente spaventata dagli eventi, rientrando piuttosto nella rimozione, nella perdita della memoria collettiva e nell’incapacità (planetaria!) di far fronte alle situazioni critiche, possibilmente prevenendole.

Infatti, a proposito dell’effetto farfalla, se si fosse tutti anche solo più lungimiranti, e si avesse quella memoria storica di cui abbiamo detto, potremmo scoprire in anticipo delle connessioni tra fenomeni apparentemente distanti o casuali; oppure, magari, vedendo, attraverso la nostra immaginazione o l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale (o AI), un vulcano che esplode mentre sotto un cielo nuvoloso passa Frankenstein pedalando in bicicletta: il tutto dipinto in un quadro di Turner.

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Paolo Di Pasquale si forma studiando prima Architettura poi Disegno Industriale a Roma, specializzandosi in Lighting design. Nel 2004 è co-fondatore dello STUDIOILLUMINA, dove si occupa principalmente di Architectural Lighting Design e Luce per la Comunicazione: lo Studio progetta e realizza allestimenti espositivi e museali, ideazione della luce, corpi illuminanti, scenografia notturna - nel settore della riqualificazione urbana e in progettazione di arredi (porti turistici, parchi, giardini, piazze etc.)-, piani della luce per alcuni Comuni italiani e spettacoli di luce. Nel 2007 fonda lo Studio BLACKSHEEP per la progettazione di architettura di interni e di supporto alla pianificazione di eventi, meeting e fiere. E' interessato alla divulgazione della cultura della luce e del progetto attraverso corsi, workshop, convegni e articoli. Ha insegnato allo IED e in strutture istituzionali. E’ docente di Illuminotecnica presso l’Istituto Quasar - Design University Roma di nel corso di Habitat Design e in quello di Architettura dei Giardini. E' Redattore di art a part of cult(ure) per cui segue la sezione Architettura, Design e Grafica con incursioni nell'Arte contemporanea. Dal 2011 aderisce a FEED Trasforma Roma, collettivo di architetti romani che si interroga sul valore contemporaneo dello spazio pubblico esistente, suggerendone una nuova lettura e uso con incursioni e azioni dimostrative sul territorio metropolitano.

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