60. Biennale di Venezia. All’Esposizione Internazionale d’Arte non vogliamo santi.

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Sotto il vento grecale si raccontano i giorni tanto attesi della 60ª edizione della Biennale internazionale d’arte di Venezia (dal 20 aprile al 24 novembre 2024), curata da Adriano Pedrosa e titolata Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere.

Sembrano iniziate solo ieri le intense discussioni sulla nuova modalità di selezione per il curatore del Padiglione Italia, eppure sono già passati sei mesi dal bando pubblico che ha portato alla nomina di Luca Cerizza. Un periodo abbastanza lungo per riflettere attentamente sulla decisione di quest’ultimo di ospitare Massimo Bartolini al Padiglione Italia, intitolato Due qui/To Her.

Sarà perché è un uomo di penna più che di palco, sarà perché scrive di critica più che criticare, sarà perché è un po’ fuori dai giri dei soliti noti, ma comunque più aderente a uno spirito dei tempi, sarà quel che sarà, sta di fatto che la scelta curatoriale di Cerizza si è posta, con squisita armonia e coerenza, controversa a quella cattiva abitudine di una parte della comunità dell’arte di qualificare chi può o non può fare arte, chi è più o chi meno artista, di chi utilizza criteri di selezione che tengono sempre meno conto dell’oggetto di cui tratta l’arte, cioè l’individuo.

Una posizione condivisa nel suo più ampio spettro dall’intera operazione Padiglione Italia, a partire dall’inedita modalità di selezionare il curatore tramite bando pubblico, alla scelta di sfavorire una controcultura le cui norme entrano in conflitto con i nuovi valori di una società neutra, forse non del tutto pronta ma sicuramente non più prona a considerare e seguire criteri discriminatori di derivazione.

Se, infatti, da una parte servirsi per la prima volta di una selezione pubblica è risultato in alcuni passaggi naif, perfino pasticciato, a modo suo anche l’istituzione Biennale ha capito che innovare il suo ruolo diviene necessario consolidando il percorso di ricostruzione intrapreso nelle ultime edizioni: quello di demolire lo status quo di luna park dell’arte per addetti ai lavori, di istituzione statica e superficiale, per abbracciare una nuova identità impegnata nell’affrontare le sfide del presente.

Non è un caso che anche quest’anno Venezia accoglie la testimonianza importante di un curatore impegnato in prima linea per la lotta alle discriminazioni, come Adriano Pedrosa, il quale dedica al visitatore il titolo Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere, anche se si è del posto. Non importa in quale categoria si rientri, se si tratta di disparità dettate dalla differenza d’identità, nazionalità, razza, genere o sessualità.

In ogni caso, l’elemento discriminante mantiene sempre la sua priorità, senza alcuna gerarchia, perché la discriminazione è sempre discriminazione. Questa condizione vale anche e soprattutto per l’artista, ancora soggetto a criteri di squalifica per limiti di età e formazione. Di questo, e non mi stancherò mai di dirlo, la Quadriennale di Roma, come tanti bandi e concorsi, ne ha fatto un amaro esempio, imponendo la conditio sine qua non dell’under 35, oltre alla mole di documenti da produrre per accedere alle collaborazioni.

Gian Maria Tosatti a parte – che, come si sa, agisce per amore di scienza e nulla altro -, l’idea che un individuo, nella sua totale libertà di ricrearsi e riposizionarsi, debba rinunciare al riconoscimento dei suoi traguardi esclusivamente per una questione anagrafica è inaccettabile al punto in cui siamo. Abbiamo ancora davanti a noi tanta strada da fare per neutralizzare il pregiudizio, ogni forma di autoritarismo, ogni condizionamento.

Bisogna studiare ancora molto per comprendere il nostro ruolo nella lotta, rafforzare le nostre comunità di riferimento per generare vocabolari comuni, lasciare andare il pregiudizio là dove si è generato, ma soprattutto saper ascoltare senza alcuna pretesa d’insegnamento, perché una discriminazione nasce sempre da un dolore e, per questo, non potrà mai tradursi con le parole, ma solo con la testimonianza del proprio vissuto.

A noi non resta che auscultare il nostro passato, trovare quel sentimento di dolore che, seppur diverso da tutti gli altri, custodisce la nostra tolleranza e capacità di comprendere l’altro. Ed è proprio questo il focus a cui si riferiscono le opere di Bartolini per il Padiglione Italia.

Il percorso volutamente circolare ideato da Cerizza inserisce il visitatore all’interno di un dialogo che tenta quanto più possibile di preservare l’esperienza del vuoto. Lo si percepisce già accedendo dalla tesa, dove ad accoglierci solitaria troviamo una piccola scultura reinterpretata da Bartolini del Bodhisattva, che contrariamente alla dottrina buddista, riflette indeciso se reincarnarsi per dedicarsi ad aiutare gli altri esseri umani o raggiungere il nirvana. Il tutto viene presentato da una prospettiva aerea, resa dalla passarella cava percorsa dal suono prolungato di una frequenza flebile.

L’invito non è tanto quello di fermarsi a riflettere, ma di procedere lentamente mentre interroghiamo i nostri pensieri e il nostro sentirci al riguardo.

Si prosegue celebrando il vuoto, oltre che esteticamente, anche fisicamente e mentalmente, raggiungendo il nucleo centrale, dove in una selva di tubi di sismica memoria risuona un lieve suono fisso in là bemolle.

Il percorso inizia a farsi labirintico tra le lunghe siringhe di ferro, per poi dipanarsi davanti alla fontana minimalista Conveyance (2024), a testimoniare la posizione filosofica dell’artista per cui i sensi sono la fonte ultima della conoscenza umana. L’invito è quello di sostare per godere della celestiale composizione di Caterina Barbieri (Italia, 1990) e Kali Malone (USA, 1994) mentre si contempla il respiro ipnotico di un liquido a base di acqua e argilla che si muove pulsando ritmicamente su moto perpetuo.

Non solo, la scelta di Cerizza di dedicare l’intero padiglione a Bartolini, un artista maturo, con anni di carriera alle spalle, risponde all’idea di riposizionamento di chi oggi è chiamato a pensare all’arte come risultato del suo oggetto: l’individuo, la persona, il soggetto, e tutte le declinazioni che ne derivano, ma anche di fare di questa opportunità «un progetto che ha natura collaborativa, con polifonia di voci e relazioni, di provenienze ed età diverse», sottolinea Cerizza.

È il caso del Giardino delle Vergini che vede coinvolgimento di uno dei maestri della musica di ricerca e minimalista Gavin Bryars (1943, Gran Bretagna), insieme a suo figlio Yuri Bryars (1999, Canada); della scrittrice e illustratrice per l’infanzia Nicoletta Costa (1953, Italia) e del romanziere e poeta Tiziano Scarpa (1963, Italia) per le performance appositamente commissionate a far parte del Public Program.

Ciò che racconta il lavoro che c’è dietro questo Padiglione ci ricorda che pensare all’arte con mente calcolante, performativa e vincolata ai criteri di selezione escludenti, sacrificali, non aggiunge nulla all’orizzonte, ma anzi toglie il punto di vista di chi, con la propria esperienza, ha arricchito il panorama dell’arte di significati che altrimenti andrebbero perduti.

Non si tratta qui di fare Santini, ma di riconoscere onestamente che sia Cerizza che Bartolini hanno compreso e condiviso l’insegnamento di Pedrosa, che invita a riconoscersi coinvolti attivamente in ciò che accade a noi e intorno a noi, interagendo indiscriminatamente con gli altri, e sempre consapevoli del continuo cambiamento e trasformazione dell’ambiente circostante.

 Info Massimo Bartolini in collaborazione con Caterina Barbieri, Gavin Bryars, Kali Malone

  • Due qui / To Hear il progetto espositivo per il Padiglione Italia alla 60. Esposizione Internazionale di Arte – La Biennale di Venezia, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
  • A cura di Luca Cerizza (con l’assistenza di Francesca Verga)
  • Padiglione Italia 60ª Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
  • 20 aprile – 24 novembre 2024
  • Tese delle Vergini, Arsenale, Venezia
  • www.duequi-tohear.it – creativitacontemporanea.cultura.gov.it

Ufficio stampa

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Roberto D’Onorio (1979) vive e lavora a Roma. Inizia la sua carriera artistica collaborando con la cattedra di Fenomenologia delle Arti Contemporanee di Cecilia Casorati all’Accademia di Belle Arti di Roma e nel 2010 con Cecilia Canziani e Ilaria Gianni per la NOMAS Foundation. Nello stesso anno affianca Anna Cestelli Guidi in occasione della Biennale Fluxus (Auditorium Parco della Musica, Roma). Nel 2012 lavora presso la Galleria Marino di Giuseppe Marino, Roma. Dal 2013 collabora con la Galleria 291est, Roma, rivestendo i ruoli professionali di Curatore e Responsabile Management.

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