Disordini e mobilitazioni durante Art Stage Singapore 2019

Nell’impeccabile città di Singapore ogni azione corrisponde ad un’istruzione ed ogni istruzione riesce nel suo intento perché disciplinata da una sanzione. Tale dinamica definisce una società idealizzata che, formatasi all’interno di una città ideale, non farà mai nulla di assurdo e di cattivo, come chi si modella sulle leggi della buona creanza non sarà mai un vicino scellerato.

immagine per Art Stage Singapore

Durante il mese di gennaio però qualcosa di sconveniente è accaduto nella città del leone: la più importante fiera d’arte contemporanea del Sud-est asiatico è stata annullata una settimana prima dalla sua apertura prevista per lo scorso 24 gennaio 2019.

Mentre in Italia l’implacabile emorragia di fiere dilaga, dall’altra parte del mondo, nel bel mezzo dei preparativi di Art Stage Singapore i 35 espositori partecipanti hanno ricevuto una e-mail dal Presidente della fiera Lorenzo Rudolf, che chiedeva loro di «cessare tutti i preparativi».

Sul volto odierno della città asiatica s’affaccia una ruga al di sopra del naso, una crepa profonda che rivela un momento di decadenza. Insomma, proprio quando si guarda a Singapore come un contesto in cui la perfetta congiunzione tra narcisismo e realtà può avvenire con il controllo e le censure,  le stesse regole e modelli distruggono il genio e l’arte, ma non solo.

Iniziata dallo stesso Rudolf, Art Stage Singapore è stata concepita nel 2011 come risposta ad Art Basel Hong Kong e, successivamente, definita la fiera per eccellenza del Sud-est asiatico.

Determinante è stato il ruolo di Rudolf che, in qualità di direttore della società che organizza Art Basel, è riuscito a garantirsi il sostegno delle agenzie governative singaporiane tra cui il Comitato per lo sviluppo economico e il Consiglio del turismo di Singapore. La prima fiera ha presentato opere di artisti del calibro di Ai Weiwei e registrato vendite incisive per milioni di dollari.

Tuttavia, si è verificata la stessa condizione che ha visto la cancellazione di Art Stage Jakarta dello scorso anno diretta dallo stesso Rudolf. Questa volta la colpa è stata la mancanza di afflusso e le diminuzioni delle acquisizioni nel corso degli ultimi anni.

Alla Art Stage 2018 si erano presentati solo 84 espositori, rispetto ai 131 del 2017 e ai 170 del 2016 mentre quest’anno il numero è sceso di un altro 26 per cento.

Questo uno dei motivi che ha spinto il governo singaporiano a chiudere il rubinetto dei finanziamenti in favore della più locale fiera collaterale SEA Focus, diretta da curatori locali e ospitata alla Gillman Barracks, un complesso di gallerie all’interno di un percorso pedonale poco distante dal centro città.

Secondo Rudolf le cause del fallimento sono da individuare nel rapido sviluppo economico delle realtà vicine che, offrendo condizioni di miglior favore rispetto al carovita di Singapore, sono diventate meta ideale dove far incontrare fruttuosamente la domanda e l’offerta. La forte concorrenza di Hong Kong, dell’Indonesia e delle Filippine rende più difficile per Singapore attrarre gallerie e artisti nel suo bacino commerciale.

In una recente dichiarazione Rudolf ha affermato che «Un gallerista filippino guarda Singapore e pensa: per uno spazio inferiore a un terzo di quello che potrei avere nelle Filippine, dovrei pagare l’affitto 10 volte di più. Posso vendere arte ad un prezzo che è 10 volte di più del suo valore? No. Quindi, come posso aprire a Singapore? ».

Il direttore continua incolpando i duri censori della città per la scarsa ed insufficiente produzione artistica locale e al tempo stesso punta il dito contro lo straordinario aumento dei prezzi per l’arte considerata valida dal governo –che è al centro di Art Stage– scoraggiando quella piccola manciata di collezionisti presenti sul territorio. Quando infatti gli scambi sono in crisi, la domanda è in difetto, ed ogni vendita o acquisto espone a pericoli di perdita.

Non c’è da stupirsi dunque se la decisione del governo singaporiano di privare Art Stage dei finanziamenti sia caduta sulla testa di artisti, collezionisti e galleristi come una mannaia, facendoli correre ai ripari in un clima di crescente confusione.

Per rimediare al dannoso evento, in concorso con la Singapore Art Week, è stato creato in quei giorni un gruppo di Facebook chiamato “Art Stage SOS” per cercare spazi alternativi dove mostrare i tanti lavori oramai spediti e in viaggio.

Per quanto la mobilitazione sia stata tempestiva, la mancanza di tempo per i giusti preparativi, le enormi distanze che la città copre e la quantità di spazi occupati dalla stessa Art Week hanno reso complicato la fruizione di un’offerta varia e diffusa.

C’è un corto circuito, su tutto questo, che ha del paradossale: da un lato c’è un governo che, in quanto storicamente accentratore e portatore di una visione nazionalizzata della cultura, afferma il suo successo con infrastrutture di straordinaria qualità; dall’altro una serie di azioni che invece premono per avere una visione meno “sterile” della cultura, non rinunciando però a funzioni di monitoraggio e controllo.

La questione, in realtà, affonda le sue radici in un’occasione per certi versi mancata: l’utilizzo prevalentemente promozionale che è stato fatto della cultura a Singapore negli ultimi anni ha portato ad una profonda discrasia tra gli obiettivi statutari dell’arte e della politica, privilegiando questi ultimi a discapito della qualità delle iniziative che sarebbe stato possibile realizzare.

www.artstage.com

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Roberto D’Onorio (1979) vive e lavora a Roma. Inizia la sua carriera artistica collaborando con la cattedra di Fenomenologia delle Arti Contemporanee di Cecilia Casorati all’Accademia di Belle Arti di Roma e nel 2010 con Cecilia Canziani e Ilaria Gianni per la NOMAS Foundation. Nello stesso anno affianca Anna Cestelli Guidi in occasione della Biennale Fluxus (Auditorium Parco della Musica, Roma). Nel 2012 lavora presso la Galleria Marino di Giuseppe Marino, Roma. Dal 2013 collabora con la Galleria 291est, Roma, rivestendo i ruoli professionali di Curatore e Responsabile Management.

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