Cosa succede a Vienna: a Good Day. Installazione di Andrew M. Mezvinsky. Con Intervista

A good day

“Né bisogna dimenticare la storia di Edel Trut, che in tutto il Paese non aveva rivali nel tessere la seta e per ciò fu chiamato dal barone, un giorno d’inverno, che la neve era alta come bambini, un freddo dell’altro mondo…
– Cosa vedi, Edel?
Nella camera della figlia, il barone sta in piedi di fronte alla parete lunga, senza finestre, e parla piano, con una dolcezza antica.
– Cosa vedi?
Tessuto di Borgogna, roba di qualità, e paesaggi come tanti, un lavoro fatto bene.
– Non sono paesaggi qualunque, Edel. O almeno, non lo sono per mia figlia.
Sua figlia. Immagina un velo di seta trasparente, qualunque cosa potrebbe stracciarlo, anche uno sguardo, e pensa alla mano che lo prende. Così. Questa stanza è quella mano, e mia figlia è un velo di seta.
– Non voglio cascate, Edel, ma la pace di un lago, non voglio querce ma betulle, e quelle montagne in fondo devono diventare colline, e il giorno un tramonto, il vento una brezza, le città paesi, i castelli giardini. E se proprio ci devono esser dei falchi, che almeno volino, e lontano.
Sì, ho capito. C’è solo una cosa: e gli uomini?
Il barone tace. Osserva tutti i personaggi dell’enorme tappezzeria, uno ad uno, come a
sentire il loro parere. Passa da una parete all’altra, ma nessuno parla. C’era da aspettarselo.
– Edel, c’è un modo di fare degli uomini che non facciano del male?”

A Good Day è un lavoro che sembra venire da lontano e che si sia preso tutto il tempo necessario per farlo. La citazione, qui sopra, da Oceano Mare del 1993, di Alessandro Baricco, rappresenta la mia prima sensazione nel trovarmi trasportato in un mondo di silenzi, di piccole figure, di chiaroscuri, di immagini tessute. L’ispirazione ed il tributo, da parte dell’autore Andrew M. Mezvinsky è a Primo Levi, al suo Se questo è un uomo scritto tra il 1945 ed il ’47:

“…al mattino, quando è ancor buio, tutti scrutiamo il cielo a oriente a spiare i primi indizi della stagione mite, e il levare del sole viene ogni giorno commentato: oggi un po’ prima di ieri; oggi un po’ più caldo di ieri; fra due mesi, fra un mese, il freddo ci darà tregua, e avremo un nemico in meno…”.

A Good Day viene da lì, il nome di un capitolo del libro, dal semplice raggio di sole che scaldando la pelle ed il cuore definisce la giornata, le giornate a venire.

“È la primavera ad arrivare ed il freddo si sta allontanando, possiamo sentire che stia nascendo una piccola speranza nel mondo…” nelle parole dell’artista. La Primavera: chi di noi non l’ha aspettata almeno una volta con trepidazione, lenta ad arrivare, il confine sul quale si schiude la vita dopo i lunghi mesi invernali nel libro di Primo Levi; la stessa Primavera che Strawinski aveva visto come una danza rituale e propiziatoria al nuovo che si concludeva però con la morte della danzatrice, nel suo Le Sacre du Printemps.

L’installazione fonde queste due anime nelle tre parti di cui si compone: la proiezione di un quadro animato nella prima sala, un paesaggio disegnato a matita e carboncino su superficie trasparente, tratto dalle opere dei maestri antichi della Pittura Paesaggistica Olandese, come Jan van Goyen e Jacob van Ruisdael, sulla quale vengono proiettate silhouette in movimento di ballerine ed animali, accompagnati dal volo di mongolfiere in cielo, nell’aria il commento musicale remixed fonde note barocche di Scarlatti con Le Sacre di Strawinski e Thriller di Michael Jackson. Nella sala grande seguono 38 disegni a matita ritagliati nella forma di piccole sculture di carta a due dimensioni montate su uno sfondo di tessuto jeans che ne rappresenta l’orizzonte. In questa sala come in quella precedente lo spettatore partecipa attivamente al sorgere del sole ed al volare in cielo delle mongolfiere: dei sensori seguono il nostro movimento e lo tramutano in quello nei quadri. Nella terza sala si trova un trittico simile ad un altare, un omaggio dove, in questo caso direttamente sul tessuto jeans trattato in modo stone washed dall’autore stesso, sono disegnati a carboncino i rappresentanti di una delle dodici Tribù d’Israele, discendenti dei figli di Giacobbe, i Levi, di cui facevano parte sia Primo Levi che Levi Strauss.

Andrew M. Mezvinsky vive e lavora a Vienna, è nato a Philadelphia 31 anni fa e si definisce un nomade che viaggia tra i continenti, la cui passione per la pittura dal ‘500 al ‘700 porta il filo temporale della sua Installazione fino a noi. A Good Day è una storia nella storia, è un susseguirsi di piani che si perdono all’orizzonte, è un sovrapporsi di prospettive, punti di vista che si sommano e si separano prendendo direzioni diverse, storie diverse.

Commenta il nostro artista:

“In Se questo è un uomo ci sono più storie in una; le storie degli uomini si confondono con la Storia segnata dai grandi eventi, Auschwitz, la guerra, i diversi punti di vista; le ho fuse in questo artwork una a fianco all’altra, come strati su strati, che creino una sorta di sospensione dalla quale ognuno possa poi trarre le proprie riflessioni. Mi piace dare delle linee guida ma non dirò mai a nessuno come interpretare il mio lavoro, quello che una persona, davanti ad una mia opera, pensa potrebbe essere molto più interessante di quello che io penso. Lo immagino come un racconto aperto, come qualcosa di interattivo, un dialogo dove lo spettatore riempie e completa l’opera”.

Linee disegnate quelle dei paesaggi, ritagliate delle nuvole, le figure a cui manca il viso sostituito spesso da una maschera tratta dal carnevale barocco, che si stagliano su linee di tessuto jeans a mo’ di sfondo. Andrew Mezvinsky attraversa nella genesi di un’opera un lungo periodo di studio, ricerca delle forme e delle figure che ricopia e ritaglia con un bisturi da disegno per apportare cambiamenti e rimontarle su uno sfondo anch’esso frutto di un lavoro di cut in –cut out. Se la Storia dell’Uomo non è nient’altro che “flussi e strati di storie che si susseguono, come viene detto nella bella introduzione al catalogo a cura di Danielle Spera, Direttrice del Museo, allora il processo da cui nasce questa installazione si dispone sin dall’inizio in una architettura di strati simbolici, da Primo Levi e le sue memorie in parole a Levi Strauss e le sue memorie tessute.

“Volevo raccontare una storia che fosse più storie contemporaneamente, tutte sulla Primavera… per questo mi son servito di un tessuto narrativo che unisse frammenti provenienti da direzioni differenti e tesserle insieme.”.

Durante questa intervista siamo nell’Atelier dell’autore dove tutt’intorno, alle pareti, è possibile vedere il percorso intrapreso attraverso lo studio dei capolavori del passato, in questo caso i maestri della Pittura Paesaggistica italiana, i quadri più conosciuti ma anche tutti gli schizzi e gli studi disponibili, che vengono analizzati, estrapolati, frammentati, per poter andare a formare alcuni degli archetipi o fondamenta o strati o semplicemente quinte della messinscena finale. L’artista prende gli ingredienti di un’immagine: lo sfondo, il primo piano, le figure principali e le secondarie, le prospettive, dal paniere delle sue osservazioni, del suo studio e costruisce una figura antica nell’aspetto, nuova nei contenuti, moderna nella forma.

“Ho lavorato per anni sui tessuti, li ho decolorati ed usati come superficie, tela, su cui disegnare, ora uso la carta, la puoi tagliare, piegare, incollare, frammenti che ti aiutano a costruire un’immagine, in realtà crei una struttura composta da tasselli che devono trovare una forma, un qualcosa tra la trama di un racconto ed una messinscena teatrale, nella loro disposizione in uno spazio che sia mentale e fisico al tempo stesso; le figure che uso provengono da dipinti che non son neanche più nei musei ma solo in collezioni private ed amo l’idea che possano essere di nuovo visibili in una mia opera, che vadano a creare quadri composti da piccolissime figure e… mi piace pensare che il tutto sia avvolto da una specie di magia, nata dall’uso di ingredienti semplici: carta, matita e chi lo guarda si chieda quale sia il significato del tutto.”

Il jeans, Andrew Mezvinsky comincia diversi anni fa ad usarlo in processi di decolorazione e lavaggio con pietra pomice, con l’intento di usare un tessuto, un indumento che fosse uno status symbol tra gli artisti, come superficie dove rappresentarli, disegnarli, in questa mostra fa da sfondo ad un trittico in omaggio alla famiglia Levi.

A Good Day è anche uno spazio vuoto ma solo in apparenza che risulta, ad uno sguardo più attento, densamente popolato di figure in comunicazione tra loro e non importa se siano persone o animali o nuvole. “I quadri, gli schizzi, da me ripresi, sono stati fatti dai Maestri nel passato per raccontare delle storie, perchè era l’unico modo per tramandarle, per tenerle vive alla memoria, la maggior parte della popolazione di allora non sapeva leggere; mi piace sapere che nelle scene che compongono questa Mostra ogni singolo soggetto, piccolo o grande, in primo piano o sullo sfondo, ha una ragione molto ben precisa e studiata per essere dove si trova.”

Mi dice guardandomi diretto negli occhi:

“Sai una cosa? Bisogna concedersi il tempo per uscire fuori, prendere un respiro profondo e cercare di registrare il momento presente, la nostra capacità di concentrazione ha bisogno di un attimo per relegare la sensazione attuale in una posizione di seconda fila rispetto a qualcos’altro, ecco il mio lavoro consiste nel riportare l’attenzione sulle cose, alcune cose, importanti, in modo che non vengano dimenticate.”

A Good Day parla di vita dopo il buio dell’inverno, della sopravvivenza e del nuovo che è nato in noi, parla di figure che si muovono libere e di nuvole in cielo ma soprattutto del nuovo giorno che sta arrivando.

“- E gli uomini?
Edel sorrise.
– Se proprio ci devono essere degli uomini, che almeno volino, e lontano.
Il barone scelse la luce del tramonto per prendere sua figlia per mano e portarla nella sua nuova stanza. Edel dice che lei entrò e subito arrossì, di meraviglia, e il barone per un istante temette che la sorpresa potesse essere troppo forte, ma non fu che un istante, perché subito si fece udire l’irresistibile silenzio di quel mondo di seta dove una terra clemente riposava lietissima e piccoli uomini, sospesi nell’aria, misuravano a passo lento l’azzurro pallido del cielo.
Edel dice – e questo non potrà dimenticarlo – che lei si guardò a lungo intorno e poi voltandosi – sorrise.”

Questo lavoro voleva trovare un’intimità come fosse un luogo, dove far incontrare cose in apparenza distanti tra loro, la tragedia dell’Olocausto, la pittura paesaggistica, il Barocco, il tessuto, prendendoli e portandoli in viaggio attraverso colline e pianure dal tratto leggero, declivi che scendevano fino al mare e nuvole che salivano verso il cielo, un viaggio, quindi, in cui non fosse importante la meta ma il rispetto per ogni cosa e l’armonia che ne discende.

Info

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Dario Lombardi nasce a Roma, si diploma all’Istituto Superiore di Fotografia. Vive e lavora a Vienna come freelance. Ha affrontato diversi generi nella sua professione, dalla fotografia di scena, teatro e danza, passando per la moda ed arrivando al ritratto. Si confronta negli ultimi lavori con la tematica dell’essere umano ed il suo rapporto con il contesto in cui vive. Nel 2008 espone “Hinsichtlich”, reportage sulla donna che veste il velo come scelta religiosa e come confine tra la sfera privata e pubblica. Nel 2009 pubblica insieme con Gianluca Amadei una serie di interviste e ritratti sulla scena professionale ed artistica dei designers in Polonia, dal titolo “Discovering Women in Polish Design”. Attualmente si occupa della mostra-installazione “Timensions” per il Singapore Art Museum 2012, una ricerca sul rapporto tra l’uomo e lo spazio/tempo.

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