Art Fair di maggio. Hot and not. Focus on: New York

Nada, photo credit Casey Gleghorn

Art fairs are hot and not”, dicono gli art dealer americani. Cosa vuol dire? Che la stessa fiera un anno prima o dopo si puo’ presentare in maniera completamente diversa e, quando le aspettative superano il risultato, come nel caso di Frieze New York 2014, e’ proprio il caso di porsi alcune domande.

Frieze e Nada are the step before Basel” (e su questo punto molti sembrano concordare), ma a volte per mantenere un certo livello e’ indispensabile sacrificare il lato poetico dell’arte in virtu’ di una linearita’ commerciale che elude la sperimentazione: mentre Nada, infatti, ha stupito con effetti speciali coinvolgendo gallerie quali Unosunove, The Sunday Painter, Galerija Vartai, The Hole, Fright + Volume, Frieze, di contro, si e’ attenuta ad una visione asettica e poco futuristica, limitandosi a trasmettere un’immagine glamour sulla scia di Downtown ArtFair. Da Pulse l’atmosfera era spenta, priva di energia. Nada si e’ distinta nella sua veste di fiera giovane, ma non trendy sfidando i visitatori a dover ammetere che si puo’ andare incontro al concetto di elaborazione creativa senza incorrere nel solito sensazionalismo pop con approccio naïf oppure eccessivamente disincantato. “Nada is fresh”, hanno affermato alcuni visitatori davanti ad un macchinario che “fumava sigarette in 20 secondi”, mentre al lato opposto una sirena di gommapiuma occhieggiava al centro di un curioso stand portoricano, quello di Roberto Paradise.

Da Frieze (9 – 12 maggio) c’erano gallerie francesi, italiane, americane di alto livello, fra cui Alfonso Artiaco, Galleria Continua, Gladstone, Gagosian, Marian Goodman, Hauser & Wirth, Yvon Lambert, Lisson, Lelong, Perrotin, Thadeus Ropac, Victoria Miro, Lorcan O’Neill, White Cube, David Zwirner, ma si puo’ dire a gran voce “Niente di nuovo, in fin dei conti”: una vetrina per soliti noti. Almeno c’erano le movie stars a riscaldare l’atmosfera, come ad esempio Julianne Moore, vestita di nero, senza trucco, scarpe basse e capelli rossi legati, diva non diva in versione down to earth.

Downtown ArtFair (8 – 11 maggio), meno bidimensionale di Pulse a livello contenutistico, si è presentata, invece, fin da subito con un tono poco rivoluzionario tendente al “decorativismo da IKEA”, ma fra i corridoi si potevano incontrare personaggi straordinari del calibro di Matt Gleason (fondatore di Coagula galleria e magazine, il “Jerry Saltz della costa occidentale”), Jim Kempner e Drew Arstark dell’omonimo tv show The Madness of Art (themadnessofart.com) e il critico d’arte Anthony Haden-Guest.

Pulse (8 – 11 maggio) vuol dire battito cardiaco, ma il paragone con Nada non regge (di pulsante c’erano soltanto le tempie dei galleristi, delusi almeno quanto i visitatori), dunque la fiera scende di un gradino rispetto all’ultima edizione. Divertente la performance di Sean Fader, #wishingpelt, con relative foto su Instagram. Tanto di cappello a Beta Pictoris, con Colvin, Somerville e Lutz a mantenere aperta l’interazione dialettica con l’osservatore.

Nada Art Fair (9 – 11 maggio), decisamente hot, sembra scalare tutte le classifiche, proponendo artisti e gallerie emergenti caratterizzati da una generale sensibilita’ astratta e concettuale, mentre le arti figurative fanno capolino prendendo forme inconsuete, ma non per questo gratuitamente provocatorie. Da notare M/L ARTSPACE, project space itinerante che normalmente espone fra ponti, parcheggi e marciapiedi, quest’anno relegato ad un corridoio esterno in uno stand invisibile a vendere nasi finti per 100 dollari al pezzo. In conclusione, 10 e lode agli organizzatori di Nada, che hanno curato l’evento con gusto e ironia; 7 per quanto riguarda i siti web delle gallerie selezionate, praticamente illegibili; meno della sufficienza sul versante delle altre fiere satellite (quasi nessuna differenza fra Pulse, Cutlog e Select, mentre Insider di Mark Flood e Outsider hanno ricevuto delle ottime recensioni).

Bilancio finale: top of the food chain: Frieze; the real deal: Nada; al terzo posto con riserva Pulse, che ha ospitato l’opera “Giardini Infantili” di Ekaterina Panikanova e Downtown ArtFair, dove gli unici booth decenti erano Coagula e Kempner Fine Art, ma soltanto grazie a Swoon, Bochner e Salgado. Interessante l’opera “Sell The Fucking Christopher Wool” di Jim Kempner.

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Deianira Tolema è nata a Salerno. Fin da bambina si è dedicata all’arte e alla poesia, facendo del disegno e della scrittura i suoi principali strumenti espressivi. Dal 2008 collabora con artisti, curatori e direttori editoriali occupandosi principalmente di testi e traduzioni. Attualmente vive e lavora fra Italia e Stati Uniti.

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