Giorgio de Chirico, Gioco e Gioia della metafisica.

Settanta opere, tutte provenienti dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, sono in mostra a Campobasso, nello spazio espositivo dell’ex GIL, edificio che ben si accompagna alla poetica del grande maestro del Novecento; assieme ad altri luoghi molisani, la struttura architettonica, firmata da Domenico Filippone, si inserisce perfettamente nella “Metafisica costruita” d’ambito razionalistico e costituisce solo uno dei numerosi esempi del debito che l’arte e le avanguardie hanno nei confronti del Pictor Optimus. 

Il titolo calzante della mostra, Gioco e gioia della Neometafisica, ci introduce al decennio 1968-1978, l’ultima stagione della lunga vita artistica di de Chirico.

Il curatore Lorenzo Canova torna così ad occuparsi del celebre pittore, (dopo la pubblicazione nel 2010 del volume Nelle ombre lucenti di de Chirico, e altri scritti e contributi, uno dei quali in prossima uscita) e lo fa riallacciandosi e proseguendo gli studi di Maurizio Calvesi sulla Neometafisica, ricerca che ebbe inizio con la mostra tenutasi nel 1995 a San Marino.
A coloro i quali provano vivissima avversione nei confronti della pittura, converrebbe, per una volta, superare il pregiudizio e verificare come de Chirico utilizzi questo mezzo espressivo per tradurre con tela e pennello le proprie interpretazioni dei complessi rapporti spaziotemporali enunciati dai filosofi a lui cari, le proprie originali letture, quasi psicologiche, su archetipi più o meno conosciuti; un’operazione, questa, condotta con estrema disinvoltura, nella quale il pittore anticipa alcune tendenze, s’incunea nell’arte contemporanea delle avanguardie, avvicinandosi, per esempio, come sostiene Renato Barilli, e come ricorda Canova, a Marcel Duchamp, proprio in chiave concettuale.

Questo grande errore di giudicare attardato nello spirito e nei contenuti il suo repertorio successivo alla Metafisica degli esordi -malinteso nel quale incappò la pur perspicace e accorta Palma Bucarelli, dal maestro peraltro battezzata, con verve polemica, «amazzone delle croste» – ci dà ancor oggi la misura di quanto poco attento fosse  – e tutt’ora in parte è – il mondo della critica e dell’arte in generale nell’osservare il lavoro di questo straordinario maestro.

Parte della sua opera è ancora vista e interpretata da alcuni come una produzione quasi seriale, sia per ciò che concerne i temi, che per quanto riguarda i contenuti.

Basterebbe leggere uno dei testi dello stesso de Chirico per comprenderne appieno l’intento poetico e narrativo:

«(…) Tuttavia, la pittura, col suo lato materiale e operaio, ci occupa quanto gli aspetti enigmatici e inquietanti del mondo e della vita. Questi arricchiscono la pittura e la rendono più degna di esistere; dal canto suo la pittura permette di mostrare questi aspetti non solo dal lato enigmatico e inquietante, ma anche da quello lirico e consolante; ed è bene che sia così, altrimenti saremmo costretti a ritirarci nelle nostre botteghe, nel tepore dei nostri focolari e a dedicarci alla pura meditazione (…)»
(da Statue, mobili e generali, 1927).

La de-contestualizzazione degli oggetti ipnotizza lo spettatore che vuole lasciarsi condurre in questi meandri, rivela, per poi subito celare nuovamente, la chiave interpretativa di alcuni enigmi che lo circondano; non si tratta sempre e soltanto di raffinate riflessioni filosofiche: il nostro rapporto con il mito, con il passato, la volontà quasi rivoluzionaria di ribaltare ciò che la percezione visiva ci impone, questo è stato -anche- il gioco di de Chirico. Un divertimento spiazzante e misterioso che richiama le composizioni altrettanto equilibrate, ma talvolta stranianti, delle tavole di Piero della Francesca. Un’ambizione ineludibile, quella di de Chirico:  esaltare lo spazio bidimensionale della tela, affollandolo di presenze all’apparenza discrete, ma enigmatiche e inquietanti, riconducibili alla storia, alla filosofia, alla stessa arte visiva. In uno spazio circoscritto, ma dilatato, il mare può occultare un’invisibile profondità e diventare un periplo claustrofobico per Ulisse, il sole e la luna somigliano a installazioni al neon che giocano a nascondino negli spazi urbani e negli studi dei pittori, noi stessi viaggiamo nelle piazze d’Italia, ci riposiamo su poltrone accoglienti in uno spiazzo deserto, dialoghiamo, senza accorgerci, con un passato in divenire.
Alcuni temi, quelli sì, reiterati, ottengono un nuovo impulso nella singolare e rifiorita tavolozza del de Chirico neometafisico; interessato come sempre in modo equanime, sia alla forma che al significato, il pittore conquista uno sguardo sempre più disincantato, sotto la lente di un’acquisita consapevolezza e ci restituisce opere d’intensa luminosità, dove dettagli invisibili a un occhio distratto, modificano, talvolta radicalmente, nella sostanza, il medesimo tema trattato 30-40 anni prima. Prospettive che si trasformano, colori che perdono cupezza e conferiscono nuova luce e nuova interpretazione agli oggetti e alla scena che l’artista torna a proporre.
Scoprire lo spirito giocoso e smaliziato del maestro, che viaggia nei panni di Hebdomeros o del signor Dudron, deve essere stata un’avventura appassionante e affascinante per gli autori dei pregevoli – e piacevolissimi – testi in catalogo: Maurizio Calvesi, Elena Pontiggia, Katherine Robinson, Flavia Monceri, oltre naturalmente al curatore Canova. A loro va il merito di aver sviscerato il multiforme, ingegnoso ed enigmatico universo di Giorgio de Chirico, le sue frequentazioni personali (da Apollinaire a Cocteau) quelle letterarie e filosofiche (Nietzsche e Schopenhauer) la sua passione per l’antichità (Eraclito, Omero, la mitologia) il suo grande e sottovalutato talento di scrittore.

Come l’uroboro, attraversare la parabola conclusiva del percorso di de Chirico significa rintracciarne nel contempo i passi iniziali: passato e futuro si specchiano l’uno nell’altro e l’artista è lì, maestro dallo sguardo consapevole e saggio, artefice sopraffino, in una ritrovata, quasi infantile, leggerezza.

Info mostra

  • Giorgio de Chirico, Gioco e Gioia della Neometafisica
  • A cura di Lorenzo Canova
  • presso Fondazione Molise Cultura, Palazzo ex GIL
  • via Gorizia – Campobasso
  • fino al 6 aprile 2015
  • dechiricocampobasso@gmail.com
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Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

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